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SICUREZZA

Se ne fa un gran parlare. E’ parola di  moda.  Invocata, richiamata ad ogni pie’ sospinto, elevata a valore e a diritto.

Lidia Menapace, in occasione della presentazione del suo ultimo libro, l’ha dichiarata di destra.  Ed in bocca a Maroni Bossi e Berlusconi è davvero di destra, di quella più becera, per di più. Una parola iniqua. Non richiama soltanto sbarre alle finestre e porte blindate, che già non sono un bel vedere (ricordo la vergogna che provai la prima volta che le misi anch’io, le sbarre, alla mia casa, dopo che vi erano entrati tre volte dalle finestre, di notte, ed avevo figli e figlie piccoli), ma evoca  discriminazioni di massa, espulsioni, respingimenti, livori. Addirittura odio e disprezzo. In nome suo si lasciano morire i poveri ed i disperati, li si manda incontro a sicure torture, quando non li si uccide direttamente. Che brutta parola! Anche se la si usa a sinistra.

Ma se la stessa parola si applica ai luoghi di lavoro, o all’ambiente, oppure la si usa per ricordare che la prima fondamentale sicurezza è che si possa mettere insieme il pranzo con la cena ed avere un tetto sulla testa, oppure in opposizione alla precarietà alla quale tante, troppe persone sono condannate, allora sicurezza diventa una parola bella, giusta.

Il fatto è che le parole sono – per così dire – tutte ambigue. Anche nei pochi casi in cui non hanno più di un significato, esse esprimono cose diverse a seconda del contesto in cui sono inserite, cioè a seconda delle altre parole dalle quali sono accompagnate, del luogo in cui sono dette e di chi le pronuncia e come, con quale tono della voce ed espressione del volto ed atteggiamento del corpo.

Questa parola esprime però un bisogno insopprimibile di ogni essere umano: se ne ha bisogno di più da piccoli: senza sicurezza affettiva non si cresce o si cresce male, non si diventa adulti, non ci si costruisce un equilibrio; se ne ha ancora più bisogno da vecchi, quando le forze diminuiscono e mancano le energie necessarie per affrontare l’imprevisto, mutamenti rilevanti, sicché le cose, le case, i luoghi acquistano l’importanza vitale di qualcosa cui appigliarsi.

Cioè: quando si è deboli e più si è deboli, più si ha bisogno di sicurezze.

L’attuale invocazione ricorrente alla sicurezza denuncia quindi la debolezza di c chi la invoca, che si sente impari rispetto alla sfida del nuovo. Non a caso, nel gioco delle destre,  l’invocazione della sicurezza è la risposta che si dà alla paura.

Ma sicurezza è una parola cristiana?

A me sembra di no. La fede, la ricerca di fede, l’esperienza di fede sono fatte di dubbi, di speranze, non di certezze. Di scommesse e di sfide, non di approdi definitivi. Dell’esplorare sentieri sconosciuti, non  percorsi sperimentati e sicuri. Di scoperte provvisorie e di novità incerte, non di sicurezze.

Guai quando la fede è fatta di sicurezze. Nel passato le sicurezze della fede sono state illuminate dai roghi. Ed oggi…

Nino Lisi

CdB di San Paolo (Roma)


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