Pentecoste

Mandi il tuo soffio di vita e sono ricreati,

così rinnovi la faccia della terra    

(Salmo 103)

La festa liturgica di Pentecoste ricorre quest’anno per l’Italia nello scenario  di un Paese scontento, disorientato e diviso in molti ambiti e livelli.  Se si cerca di capire cosa significano realmente  le numerose ed ovvie sollecitazioni all’unità, si incontrano tanti diversi significati   che fanno risaltare  la “babele” da molti mesi ormai presente nei termini più usuali del linguaggio civico-politico. Riuscire a parlare  “lingue nuove” e al tempo stesso comprendere gli altri come se si parlasse la stessa lingua appare in questo momento quanto mai opera dello Spirito.

Tutti gli uomini parleranno come profeti.  La profezia di Gioele richiamata da Pietro negli Atti  spinge a cercare altrove segni messianici: a proposito di vie  per costruire le condizioni di una convivenza pacifica in un società politica ed ecclesiale dilacerata potrebbe essere presa in seria considerazione l’esperienza della  Commissione per la verità e la riconciliazione del Sud-Africa fondata su una tradizione caratteristica dello spirito africano, l’ubuntu.

Poiché risulta esaurito il testo del vescovo anglicano D.Tutu (Non c’è futuro senza perdono, Feltrinelli, 1999) mi riferisco al breve saggio di G. Zagrebelsky (La domanda di giustizia, Einaudi , 2003).

La Commissione, istituita nel 1995, mirava ad una catarsi sociale nell’accezione della giustizia africana orientata “alla reciproca accettazione, al riconoscimento dell’umanità delle persone, per farla emergere quando questa è umiliata dal crimine non solo patito ma anche commesso”  dato che si è esseri  fondamentalmente in quanto “parte di una cerchia di persone che riconoscono  reciprocamente il proprio valore, non sono minacciate dalla reciproca concorrenza e hanno una giusta stima di se stessi”. (pag. 37)

“Il solo fatto di aver fame e sete di giustizia, riconoscendo agli altri – in primo luogo i deboli, i perseguitati , gli esclusi che tendono al cielo le mani vuote -  la legittimità della pretesa di giustizia, significa condividere umanità e dignità, dunque eguaglianza di diritti e doveri; significa bandire sopraffazioni, violenze e umiliazioni tra gli uomini,  sostituendo l’ascolto” (pag. 41).

Andare allora a scuola anche dagli zulù? Sarebbe semplicemente riconoscere le insufficienze di questa certo ricca ma anche tanto orgogliosa eredità europea; un modo per confessare che lo Spirito percorre tutta questa bella d’erbe famiglia e d’animali; contribuire a far emergere dimensioni ancora inedite dell’umanità.

Non coinvolge tutto ciò anche la riflessione sulla laicità  proposta per il prossimo convegno nazionale? 

Anna Maria Marenco

del gruppo di Controinformazione Ecclesiale - Roma