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La nuova casta sacerdotale

La valenza politico elettorale del dibattito attorno all’aborto è evidente ed è stata da più parti sottolineata; le riflessioni e le manifestazioni delle donne hanno con chiarezza denunciato che ancora una volta è sui corpi delle donne e sulla loro libertà che vanno avanti i giochi di potere. Su questo sito, su cui navigano cristiane e cristiani, mi sembra, piuttosto, utile soffermarsi sulla valenza  simbolica di quel passaggio di parola che è andato avanti negli ultimi mesi dalla gerarchia ecclesiastica agli scienziati, ai ginecologi, ai tribuni televisivi. Si è andata così configurando una più ampia casta sacerdotale che ha “signoria di parola” sulla vita, che può dire ciò che è bene e ciò che è male, stabilire l’ordine simbolico da cui far discendere le norme della polis. Ancora una volta le donne sono “fuori dalla casta”: perché?

Fin dal dibattito sulla legge 40, la gerarchia ecclesiastica aveva assicurato che non sarebbe stata attaccata la legge 194 semmai si sarebbe richiesta  una “migliore applicazione” o revisione funzionale a questa; preferiva fare le sue battaglie sul riconoscimento del diritto del feto fin dal suo concepimento. Giuliano Ferrara ha fatto ricorso alla connessione moratoria sulla pena di morte – moratoria sull’aborto. I ginecologi, da parte loro, hanno posto l’accento sulle cure ai feti nati molto prematuri: cose già dette nella 194, ma annunciate ora con un rafforzamento del potere decisionale  della classe medica nei confronti di quello della madre.

Il nodo di fondo è dunque la “sacralità della vita”: un concetto astratto – la Vita – al di sopra delle vite reali di donne e uomini, che lega nascita e morte ad una volontà superiore. Rispetto a ciò il principio di autodeterminazione delle donne fa disordine perché mette a suo fondamento madre e feto non come due entità distinte ma in relazione inscindibile all’interno del corpo della madre: l’accadimento nascita-vita viene ricondotto dalla separatezza sacrale dei concetti religiosi o filosofici alla  accoglienza della relazione umana. Come sottolineava Claudia Mancina nel suo intervento al seminario “Le scomode figlie di Eva” (1988), il principio di autodeterminazione è “principio di riclassificazione del mondo, di ricodificazione dei valori sui quali la nostra vita è fondata”. 

Accettare questo dis-ordine per la nascita forse vuol dire far dis-ordine anche per la morte? Sembra anche questo il timore dei “signori della vita”. Solo il loro?

Giovanna Romualdi

Gruppo di controinformazione ecclesiale - Roma

 


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NOTA:

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