Due religioni, due misure

 

Il consueto accavallarsi di eventi nella cronaca quotidiana, ha fatto scivolare senza molto dibattito sulla stampa la chiusura della scuola privata "islamica" di via Quaranta a Milano da parte del comune di Milano, con il pretesto dell'inidoneità dei locali, e la successiva negazione della parificazione dell'istituto da parte del Ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti.

È difficile nascondere che il principale elemento che ha concorso al provvedimento sia il sospetto che una scuola organizzata e gestita da islamici possa diventare fucina di futuri giovani integralisti e potenziali terroristi.

Né gli assessori competenti né il ministro si sono posti troppo il problema che una iniziativa come quella della scuola per ragazze e ragazzi di famiglie di tanti paesi di religione islamica, presenti ormai a Milano come in tutta Italia sulla spinta della ricerca di un'esistenza possibile, sia dettata dal desiderio di salvaguardare gli elementi fondamentali della cultura d'origine, come la lingua e la religione.

D'altra parte, nel rispetto delle leggi vigenti, in Italia sono già presenti, oltre alle numerose scuole cattoliche, scuole private e parificate gestite da altre comunità religiose o nazionali. Pensiamo ad esempio alle scuole delle comunità ebraiche e alle varie scuole internazionali.

Vorrei cogliere soprattutto la contraddizione tra chi, come ipolitici in questione, rivendica il diritto per le famiglie cattoliche italiane a voler dare una educazione cattolica ai propri figli e figlie, sostenendo anche con sussidi economici la scelta per questi di scuole private cattoliche, e poi nega lo stesso diritto a chi appartiene ad un'altra religione, anche avanzando, in questo caso come pretesto, la necessità della integrazione culturale nella scuola pubblica italiana.

Quello che ci siamo detti tante volte nelle comunità cristiane di base è la necessità per la chiesa cattolica di abbandonare ogni forma di privilegio, dall'insegnamento della religione nelle scuole pubbliche al mantenimento di tanti istituti privati confessionali.

Anche come credenti dovremmo far sì che la scuola pubblica sia sempre più un terreno di incontro e di crescita per giovani di culture e fedi diverse e dovremmo desiderare che tutte le religioni trovino i propri spazi al di fuori della scuola, per trasmettere i propri patrimoni di fede, la propria storia e le proprie tradizioni ai giovani che vorranno conoscerle.

 

 Stefano Toppi

della CdB di San Paolo di Roma      

 


 

NOTA

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