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Commenti, domande e risposte alla rubrica "In Primo Piano"

 

 


Interventi sul primo piano del 4 febbraio 2010

ASSUMERSI LA RESPONSABILITÀ DI SBAGLIARE

di Marcello Vigli


No, caro Marcello, non ci sto a passare per uno che pecca di omissione. Sono fra quelli che hanno ormai distinto da un pezzo la propria ricerca di fede da ciò che fa e disfa la gerarchia cattolica. In questo senso ne ho preso le distanze. E prendo le distanze anche da  coloro che, con o senza disagio - e nel primo caso dichiarandolo o tacendolo – intendono restare  sottomessi ad una gerarchia che si occupa di antiquate semplificazioni d’intuizioni profonde, di minuziose definizioni e complicate elucubrazioni del passato quando non  si preoccupa di  conservare e gestire il proprio potere. (E le due cose stanno insieme).   

Ne ho preso le distanze, non perché consideri irrecuperabili i singoli membri della gerarchia né singolarmente quelli/e che le restano sottomessi/e. Ma perché si tratta di persone adulte, dotate di normale discernimento, pienamente responsabili delle proprie scelte. Eppoi, a cosa dovrei recuperarle? E perché io? E a cosa pensate voi di poterle recuperare? E perché voi?

Dicono alcuni: perché sono fratelli e sorelle nella fede. Davvero? Che forse chi sta nella mia stessa fede mi è più fratello o sorella di chi sta in un’altra fede o non ne ha alcuna?

Il punto è un altro. Gesù è venuto a fondare una chiesa o ad annunciare la venuta del regno? E chi tenta di seguirlo di cosa deve occuparsi? Ognuno stia dove vuole o pensa di dover stare.

Per quello che mi riguarda penso che anche se il confiteor non la enumera fra i peccati anche la dispersione di energie e di cure può esserlo, specialmente quando di persone che hanno bisogno di cure, attenzione e dedizione ve ne sono tante. E le energie sono poche.

Un abbraccio affettuoso.

Nino Lisi


Carissimo Nino, non puoi compiere questo peccato di omissione perché hai detto NO alla necessità di costruire una chiesa altra, NO alla fede che per la permanenza del Vangelo nella storia sia necessaria una struttura purché sia (istituzione leggera ma pur sempre istituzione .... anche il nostro Collegamento lo è!!!); NO, quindi, alla necessità di impegnarsi a costruirla. L'omissione è di chi dice SÌ a tutto quello che tu neghi e si comporta come te evitando (tu lo fai coerentemente loro no!!!) l'impegno ad impedire che quella che c'è (burocratizzata nel tempo) sia di ostacolo non solo alla costruzione di una Chiesa decente (che non sarà mai perfetta) ma anche di quel Regno al quale è finalizzata, perché ad esso serve la permanenza del Vangelo nella storia (ovviamente insieme a tante altre cose). 

Per inciso nessuno di noi si propone di convertire vescovi o di portare sulla buona strada "fratelli cristiani che sbagliano", solo vorremmo moltiplicare coloro che s'impegnano sulla strada, che noi riteniamo buona, di costruire una chiesa altra dato che di una chiesa pensiamo ci sia bisogno.

Sta tranquillo, quindi, avrai tanti altri peccati da farti perdonare, come tutti noi, non quello di questa omissione perché hai escluso dal tuo credo la Chiesa santa cattolica apostolica. Non sei il solo né il primo e al Regno servi tu come tanti che non fanno riferimento al Vangelo..... spero di servire anch'io che continuo a credere nella Chiesa, senza farmi dominare da nessuna gerarchia, cercando di mantenere attraverso la condivisione di segni e l'uso di un comune linguaggio una comunicazione con altri che dicono (e non posso giudicarli se non dai fatti) di seguire il Gesù del Vangelo non risparmiando loro le mie critiche se quei fatti non li compiono. Non voglio commettere peccato d'omissione come quelli che di queste critiche non si fanno carico.

Ti abbraccio,

     Marcello


Vedi anche sul tema l'articolo di Enzo Mazzi da il manifesto del 12 febbraio 2010:

Per uno sciopero della liturgia

 

 

 


Interventi sul primo piano del 21 gennaio 2010

 

EUCARESTIA

di Misa Chiavari


Grazie per la tua riflessione, Misa. Condivido: "fate questo " non si riferisce alla distribuzione, tanto meno alla consacrazione del pane, ma ci dice "spezzate la vostra vita, come io ho spezzato e messo a disposizione la mia". Così pure "questo" è il mio corpo, cioè questo pane spezzato, non il pane. Forse è davvero meglio non avere più presidenti dell'assemblea eucaristica che benedicono il pane pregando su di esso, ma che ognuno e ognuna si spezzi il boccone che poi mangerà. Non so: credo che anche il pane andrebbe sostituito con altri segni, ogni tanto, altrimenti è difficile liberarlo dall'aura magica che ormai lo circonda...

Un abbraccio a tutta la comunità.

Beppe - Pinerolo


 

D’accordo sulla sostanza con Misa e con Beppe. È quello che ci diciamo da anni in comunità: spezzare il pane, come metafora della vita spezzata, cioè messa a disposizione per gli altri, condivisa con gli altri. Credo di ricordare che da noi sia stato Giovanni a farci vedere il significato dell’ultima cena in questa prospettiva e così la spiega tuttora ai bambini e bambine del laboratorio di religione (vedi anche “Parabolando - Una  lettura del Vangelo con i bambini” – 1993). Dico questo non per ossequio ai nostri “patriarchi”, ma per dare il giusto riconoscimento a chi per primo ci ha  trasmesso questa visione.

D’accordo quindi sulla sostanza, ho qualche perplessità sulla forma, così come ce la prospetta Beppe.

Non sento proprio la necessità di sostituire, nella simbologia, il pane con qualcos’altro.

Questo perché credo sia opportuno conservare il senso della riconoscibilità. Essere riconoscibili, anche nei nostri segni da tutti e tutte. La nostra comunità, ad esempio, ma credo anche quella di Pinerolo, è aperta sulla strada e quasi ogni domenica c’è almeno un volto nuovo, che magari non rivedremo più.

Credo quindi che conservare un minimo di riconoscibilità nella nostra assemblea domenicale sia doveroso.

Mi è capitato recentemente di partecipare ad un’assemblea eucaristica in una comunità ecumenica di Amsterdam, formata da cattolici, protestanti di varie denominazioni e persone che si dicono di nessuna chiesa (in Olanda è un fatto formale dichiarare la propria appartenenza religiosa). Lì una signora, una delle due pastore, vestita normalmente, da sola, ha pronunciato le parole in memoria della cena di Gesù. Anche non conoscendo l’olandese ho potuto percepire le parole pronunciate: “brood” e “wijn”.

È stato un segno riconoscibile e ad esso mi sono unito facilmente. (Se avessero utilizzato le aringhe crude, piatto nazionale olandese mi sarei sentito automaticamente escluso, non mi piacciono).

Anche nella chiesa luterana di Sibiu in Romania, anni fa, mi sono sentito di comprendere e partecipare alla “comunione”, in una liturgia in tedesco presieduta dalla vescova Margot Kässman, dove il pane erano ostie ed il vino servito in calici d’oro. In questo caso il significato ecumenico, universale del segno mi sembra avere più valore di esteriorità “antiche”.

Per questo credo che il pane e il vino rimangano un segno che abbia senso cercare di mantenere anche perché sono alimenti semplici che stanno sulla tavola di tutti, almeno nella nostra vecchia Europa.

Altro è porsi il problema di eliminare il vino per comunità dove ci sono alcolizzati o usare pane di farine senza glutine se ci sono celiaci. Questo è già successo nelle nostre comunità, non è una novità, ma il cambiamento per il cambiamento francamente non mi pare utile.

Tutto questo detto sempre nel rispetto delle differenze e avendo presente che quel che conta è la sostanza: "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri" (Giovanni, 13, 35-36)

 

  Stefano - Roma

 

 


Lettere di commento al Primo Piano del 21 gennaio 2010

…UNA BELLA GIORNATA!

di Corrado Maffia


Grazie Corrado, è bellissima la tua rilettura. Semplice ed efficace.

Beppe - Pinerolo


 

Caro Corrado,

mi unisco ai complimenti che ti ha fatto Beppe. Il tuo Primo Piano è molto bello. Si vede che hai una vocazione da sceneggiatore o da autore teatrale. Credo che piacerà molto anche a Giovanni (Franzoni non Battista!), che spesso chiede ai bambini del laboratorio di scrivere il seguito di una parabola.

Un caro saluto,

  Stefano

 


Risposta al Primo Piano del 23 dicembre 2009

LETTERA AL SINDACO DI COCCAGLIO

del Laboratorio di religione della CdB di San Paolo.

 

 


 

Cari bambini,

grazie per la vostra bellissima lettera che avete inviato al sindaco di Boccaglio. E’ proprio vero: noi “grandi” abbiamo molto da imparare da voi.

Buon Natale (anche se in ritardo…)

Ciao 

Dr. Davide Meggiato

  

Vicesindaco

Assessore alle politiche culturali, turistiche e agli eventi

Mira (Ve)

 


Risposta al Primo Piano del 29 ottobre 2009

BIGLIETTO D'INVITO

di Dea Santonico.

 

 


 

Accolgo molto volentieri l’<invito> di Dea e porto un piccolo contributo alla sua tavola così bene imbandita.

Capisco le motivazioni in base alle quali alcune sorelle e fratelli affermano di voler  “prendere le distanze” dalla chiesa: soprattutto la constatazione della (apparente) inutilità dei nostri ormai quarantennali sforzi per rendere questa chiesa “altra”. “Altra” può tuttavia significare molte cose; il mio “altra”, per esempio, è molto esigente; forse non si realizzerà mai, ma questo non mi esime dal cercare di fare il possibile, dentro e fuori la comunità, per non perdere le occasioni che si presentano e per cercarne di nuove verso quell’obiettivo, che mi sembra ancora meritevole di essere perseguito.  

Per fare un esempio concreto: nell’ultimo collegamento seminariale di Tirrenia una grande maggioranza di presenti auspicava che il movimento delle CdB prendesse contatto con i cosiddetti “cattolici del disagio” per offrire la nostra disponibilità a partecipare ad un eventuale nuovo incontro del tipo di quello da loro organizzato di recente a Firenze, con grande successo, e nel quale molti di noi sono riusciti a portare la loro testimonianza. Poiché alcuni si sono opposti, non se n’è fatto nulla con la motivazione che si trattava di  una di quelle scelte fondamentali per le quali occorre l’unanimità. Ma cosa vogliono questi “cattolici del disagio”, se non, anche loro, una “chiesa altra” con tempi e strumenti forse diversi dai nostri ma orientati verso la stessa direzione? E allora obietto: se la nostra scelta originaria, sintetizzata nell’espressione “chiesa altra”, è tuttora valida, l’unanimità (concetto che però non mi piace) occorre per cambiare eventualmente quella scelta ma non per aderire ad iniziative che vanno nella stessa direzione. Rispetto ovviamente la libertà di scelta di ognuno, ma troverei negativo che il movimento delle CdB, come tale "prendesse le distanze" perché questo significherebbe fare un grosso regalo alla parte più integralista di questa chiesa  e non aiutare quelle forze progressiste che pure in essa esistono come tanti fatti recenti comprovano.

Antonio Guagliumi


Cara Dea,
il tuo appassionato Primo Piano non può cadere nel silenzio. Merita un confronto ampio e non banale. Perciò invito chi frequenta il nostro sito ed anche chi non lo frequenta a confrontarsi con te. Intanto comincio io.
Potrei raccogliere citazioni evangeliche in base alle quali sostenere che, sì, è vero, Gesù riunisce ed accoglie, è paziente ed attende, però è anche netto: taglia, separa e seleziona.. Ma per  questa via approderei a niente, perché nelle scritture si trova questo ed anche l'altro: c'è una sorta di duplicità, di doppiezza. Vogliamo chiamarla dialettica? 
Per spiegarmi mi aiuterò con quanto ho  ascoltato e letto di recente.
Il 15 ottobre, in Uomini e Profeti - la nota trasmissione di Rai 3 -  a proposito del logo, che è uno dei fondamenti se non il fondamento del cristianesimo, Roberta De Ponticelli ha rimarcato che logo può tradursi (e viversi, aggiungo io) come risorsa normativa, legge, regole e può farsi dottrina. Può anche tradursi (e viversi) come parola nascente, che fa essere le cose, parola creativa, che dà vita. Nella medesima trasmissione Vito Mancuso ha distinto due versioni dell'esperienza storica del cristianesimo: una di antinomia, di contrapposizione alla cultura del mondo, in cui prevale la visione della croce; l'altra che si sente  saldamente  inserita nel mondo ed in cui prevale la visione dell'incarnazione.
Azzardo ora io: il logo inteso come norma, legge, dottrina, se anima una visione della croce come contraddizione ed in contrapposizione con il mondo, dà luogo alla religione che tende a istituzionalizzarsi, a lasciarsi rinchiudere in una istituzione che a sua volta diviene una delle possibili forme che il POTERE assume. Il logo, inteso come parola nascente che fa essere le cose crea e dà vita, se s'incarna, se entra nel mondo, sprigiona fede. Si sa però che la religione, tanto più se rinchiusa in un'istituzione,prova a soffocare la fede. E questa mi sembra proprio una buona ragione per distanziarsene. Un limpido esempio di come la norma provi a soffocare la parola creativa che dà vita lo ha appena fornito la curia fiorentina con la vicenda di Alessandro Santoro.
Ma neppure la fede basta, se non è critica. Occorre che la fede si critichi attraverso la fede stessa, come si è detto al XXIII convegno dell'Altra Pagina che si è svolto lo scorso settembre [i cui resoconti sono stati pubblicati sul numero di ottobre del periodico (http://www.altrapagina.it/)] appunto sul tema "La fede critica". Serve <una fede che non si chiuda in se stessa facendosi le domande e dandosi le risposte, ma che accetti come luogo critico le domande dell'umanità> e al tempo stesso sia <critica della  mentalità dominante per non ridursi ad esserne lo specchio..Se  si impegna in questo duplice movimento, la fede diventa critica, perché accetta di  compiere su di sé un lavoro di verità che non finisce mai e la rende più umile ed umana>.
Quando Giovanna Romualdi ha scritto, e poi Peppino Coscione l'ha ripreso, di cercare "solo compagne e compagni con cui sperimentare - se ha ancora un senso - la sequela di Gesù sulle strade della Galilea." io credo volesse dire proprio questo: di muovere alla ricerca delle domande dell'umanità, accettarle e cercare insieme con gli altri/e uomini e donne, criticamente, le risposte. E' quello che pensavo di dire anch'io parlando del Regno, ma l'espressione di Giovanna è più limpida e schietta. L'accolgo volentieri.
Se a questo punto qualcuno/a mi chiedesse se io non pensi che  uno sprazzo di fede lo si possa scorgere anche nella religione, come si può ritrovare qualche balugine di religione nella fede, risponderei senz'altro di sì, perché parliamo di esperienze umane e  di esseri umani. Ma non credo che sia questo il punto. Per lo meno non lo è per me.
In questa mia stagione della vita ho bisogno di più chiarezza. Anche se continuo a dire, scherzando, di essere giovane e forte, in realtà ormai sono vecchio e mi sono abituato, per dirla con Eugenio Scalfari, a portare il falcone sulla spalla, cioè ad avere l'idea della morte come compagna. Ma non di una morte che neghi la vita e le sia antitetica; ma di una morte che ne è il compimento, l'epilogo naturale, ovvio e giusto, anche se  forse misterioso  e certo un po' buio, comunque doloroso, di un percorso di vita che si conclude  per entrare nella vita del creato. Quando sarà quell'ora, che non può più essere molto lontana, non saranno norme e dottrine a confortarmi ma la parola creativa, quella che dà vita, che genera amore. Ed, infatti, è l'amore che resterà dopo ciascuno/a di noi: l'amore che abbiamo ricevuto e quello che abbiamo dato. Ma intanto anche oggi, per vivere, mi sostiene l'amore, non la dottrina né la legge.
 

Nino Lisi

 

 


Dibattito sul Primo Piano del 22 ottobre 2009

A PROPOSITO DI “QUALE FUTURO PER LE CDB”

di Benedetto Musacchia

 


Caro Benedetto,

la rivisitazione del "linguaggio" è un problema che si avverte in tutti i campi. Qualche anno fa posi il problema in ambito "politico".Conservatori e progressisti. Due parole che da sempre hanno indicato l'una la destra (e per noi il male!) e l'altra la sinistra (e per noi il bene!). E' ancora così? L'utilizzazione senza soste delle risorse e il tentativo di "conservare" gli equilibri naturali dove vanno collocati? Il concetto di limite è un'accezione progressista o conservatrice? E la tradizione è tutta da buttare oppure è un valore da recuperare? Che dire di un sistema energivoro che è l'insegna del progresso. Come considerare in un tale sistema il controllo delle biotecnologie e i temi della bioetica?E potrei continuare con altri termini: radicalismo, libertà, assistenza, civiltà ecc. Per le Cdb la "comunicazione" è sempre stato un problema. Un problema per i rapporti con l'esterno, più che un problema interno. Io ho avuto sempre grandissime difficoltà a far comprendere, soprattutto ai "laici", cosa fosse una cdb e quali fossero i suoi obiettivi. Il linguaggio va rivisitato tenendo conto la necessaria proiezione verso l'esterno e verso i giovani. I richiami frequenti di Benedetto al vissuto,  alla coerenza nel quotidiano, sono importanti e... chiari. Rivisitiamo il "linguaggio" ma ,contemporaneamente, rafforziamo la nostra presenza nella società, come "lievito" nella pasta, ma anche come "lucerna" posta sul davanzale.

Aldo Bifulco

(Comunità del Cassano)


a proposito di

Yakaar. Una parola di speranza

di Nino Lisi della CdB di San Paolo di Roma, del 11 settembre 2009

___________

Una domanda di chiarimento di Nino e una risposta di Mira

 


Caro Nino,

ho letto il tuo "primo piano" e anch'io "non ci sto...".

E mi preme precisare che su quelle considerazioni del Censis, "la deregulation dei comportamenti", sul "primato del soggetto" e "la libertà di essere se stessi" c'é una stortura di fondo, cioè sono considerazioni strumentali fatte da una cultura maschile dominante, che si fonda su sé stessa senza relazionarsi.

Se "l'essere soggetto" non riconosce attraverso la relazione il diverso e la diversa da sé, é un soggetto che esercita il proprio dominio culturale, dominio che può divenire politico, religioso e così via. Questo dominio può avere anche molti altri nomi: totalitarismo, fascismo, patriarcato, paternalismo, ecc.

Per es. la cultura patriarcale ha fondato il suo dominio sul non riconoscimento della soggettività femminile: la donna era (e in molti paesi ancora é) un'appendice della cultura maschile, del desiderio maschile, e quindi di una politica maschile dominante nella famiglia come nella società, compresa la società religiosa. Il femminismo ha usato la politica del separatismo proprio per significare che i sessi sulla terra sono due: maschi e femmine (comprese tutte le varianti che madre natura ci dona). Questa è la prima differenza, fondante di ogni altra differenza, sulla quale le "soggettività" differenti si relazionano, in una politica di cambiamento e di crescita culturale. Dal vecchio separatismo femminile, attraverso la relazione con il maschile, spesso noi donne ci troviamo costrette ad un "conflitto fra i sessi" con conseguenze a volte belle e altre brutte.

Ho sentito il bisogno di risponderti perché molte donne delle CdB (e non solo) ancora non hanno capito il significato della politica della "differenza sessuale", rimanendo schiave dell'ideologia della parità uomo-donna. Invece mi sembra che la signora dell'associazione Yakaar presente il 5 settembre scorso alla riunione del Comitato 17 Ottobre, abbia esercitato insieme agli altri immigrati presenti, la propria "differenza" che ha potuto tradursi in una forte soggettività, capace di relazionarsi e di far passare il punto di vista degli immigrati.

 Ma se le donne restano chiuse in una visione culturale di parità con la cultura maschile dominante, senza la libertà di essere sé stesse e consapevoli della propria differenza e della propria forza, come possono diventare "soggetti" capaci di relazionarsi con quella soggettività maschile che in un primo momento voleva imporre il proprio pensiero perché espresso da "uomini importanti"?

 Ti scrivo queste cose di getto. Non ho il tempo materiale di dilungarmi per chiarire meglio il mio pensiero. Se pensi che sia utile scrivi pure tu stesso la mia risposta sul sito CdB.

Un abbraccio,

MIRA FURLANI


Cara Mira

Grazie del tuo bel commento. Mi piacerebbe approfondire il discorso con te, perché il patriarcalismo viene da lontanissimo, il maschilismo è più recente ma anch'esso molto antico; oggi il tutto è accentuato dall'ondata di iperindividualismo ed iperliberismo che dilaga da qualche decennio. Un sospetto: ma questa ondata non ha investito anche le donne? Ed una domanda: non ne risente anche il loro pensiero?

Un abbraccione.

Nino


Caro Nino,
Il tuo sospetto che individualismo e liberismo abbiano investito le donne (non tutte le donne...) è vero e di conseguenza ne risentono il loro pensiero e la loro politica. Però, per capirci meglio sull'individualismo femminile, bisogna usare categorie meno astratte come "le donne" o "il pensiero". Non esistono "le donne" o "il pensiero" in senso generico, ma esiste quella donna precisa e quella politica precisa e concreta che agisce in un determinato contesto e in un determinato modo. La politica femminile non é mai stata una sola e così il pensiero che la sorregge. Ciò che dobbiamo guardare é la realtà che quotidianamente viviamo, donne e uomini, nel bene e nel male.
Molte di noi donne pensano che la politica abbia come scopo quello di capire il reale, e nei limiti del possibile cercare anche di cambiare in meglio questo mondo. Ma per capire il reale bisogna tener conto che nel mondo i sessi sono due: questo é il senso del limite. La politica dell'onnipotenza, individualista e liberista, é senza limite e purtroppo oggi contagia anche molte donne, nell'illusione che questa strada le possa togliere dall'insignificanza sociale e dall'insignificanza nella politica istituzionale.
Perché fra i due sessi si abbia relazione bisogna avere senso del limite. La cultura maschile di onnipotenza che governa le nostre istituzioni e domina culturalmente, porta il pensiero di molte donne e uomini a non farsi relazione con l'altro/l'altra da sé perché é senza limite.
Il discorso é lungo. Come avrai capito personalmente seguo la politica della differenza. Esiste una rivista intitolata "Via Dogana" della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) dove scrivono uomini e donne che seguono questo pensiero e insieme si interrogano partendo da sé. E' trimestrale e l'abbonamento costa poco. Se puoi abbonati perché ne vale la pena.
Sono contenta d'aver avuto l'occasione di uno scambio d'idee con te. Cari saluti.

MIRA

 

 


a proposito di

SICUREZZA

di Nino Lisi della CdB di San Paolo di Roma del 26 giugno 2009

 


Il bel "primo piano" di Nino Lisi mi ha ricordato una cosetta che ho scritto recentemente sulle ronde, eccola.

 

Le mie ronde

 

Anch’io ho le mie ronde.

Le ronde che immagino

son fatte non di

nerboruti incattiviti

ma di spiritelli

miti e giusti.

Le ronde che immagino

scrostano la nostra memoria collettiva

e ci ricordano cosa vuol dire

esser poveri

essere migranti

essere respinti e rifiutati

e finalmente riconosceremo

che stiamo diventando

violenti e razzisti.

Le ronde degli spiritelli

voleranno nelle banche

a far finalmente pentire

banchieri senza scrupoli

che rovinano

i pochi risparmi degli indifesi.

Le ronde che immagino

voleranno nelle fabbriche e nei cantieri

perché la vera sicurezza

è non morire di lavoro.

Le ronde degli spiritelli

manderanno a casa

gli amministratori incapaci di eliminare

tutti gli ostacoli

che complicano

la non facile vita

degli invalidi.

Le ronde che immagino

voleranno in parlamento

perché non se ne può più di politica urlata,

di comitati d’affari, di collusi coi criminali.

Le ronde degli spiritelli

si presenteranno al governo

e riusciranno,

sì loro ci riusciranno,

a far dimettere il capo,

perché un paese democratico

non può essere governato

da un faraone straricco

attento solo ai propri interessi.

Le ronde che immagino

potranno vedere

tutte le violenze

di cui la terra soffre

per mano dell’uomo inquinante

e la cureranno,

come una madre malata

e sapranno trovare i responsabili

di tanti disastri

e farli lavorare

con stipendio minimo sindacale

per ripulire tutto.

 

Forza spiritelli,

molto miti e molto giusti,

quanto lavoro…

 

 

Bruno Fini

CdB La porta - Verona

 

 


a proposito di

NON E' SOLO CALCIO

di Rossella Grasselli del gruppo di controinformazione ecclesiale di Roma del 23 aprile 2009

 


Ciao,sono Michelangelo,
ci sarebbe qualcosa da fare per esempio i calciatori- si spera non razzisti - fanno uno sciopero - una volta si chiamava bianco - fintanto che il pubblico usa questi slogan smettono di giocare ed aspettano prima di ricominciare che quel pubblico esca dallo stadio. Inoltre si chiamino i dirigenti delle squadre dalla terza categoria fino alla serie A - a chiamarli siano i Sindaci e concordino il come attuare questo percorso virtuoso. Il tema è l'integrazione e finchè le amministrazioni comunali non se ne fanno carico il razzismo aumenterà in forma esponenziale. Dico questo in quanto ho organizzato un incontro sul tema e i candidati alle prossime elezioni ammininstrative, in particolare quelli del centro- destra si sono rifiutati di partecipare, il tema è stato affrontato ed è emerso che occorre farsene carico pena la barbarie.

Michelangelo Tumini


Il mondo del calcio e tutto ciò che gira intorno ad esso rappresenta da sempre  un ottimo punto di osservazione della società più in generale. Molte volte si pecca di sufficienza in certi ambienti  e si liquidano certi episodi come frutto di intemperanze dei tifosi della squadra avversaria. E’ certamente un modo di coprire  con un velo omertoso le manifestazioni di razzismo.

 Ma dagli stadi emergono anche altri orientamenti. Nella curva della Roma durante la giunta Rutelli girava una maglietta nera con la scritta:”Rutelli non è il mio Sindaco”. E di esempi se ne potrebbero fare anche altri.

I legami tra il calcio, la politica e la finanza sono al centro  di un libro di Oliviero Beha e Andrea Di Caro, Indagine sul calcio, Rizzoli, 2006. E’ un’indagine documentata sugli affari e il malaffare che ruotano intorno al calcio.

Rossella Grasselli


 

a proposito di

Le comunità cristiane di base, dopo 40 anni dalla loro nascita, devono uscire dalle catacombe

di Lorenzo Maestri della CdB Nord Milano del 29 gennaio 2009

 


In verità le Comunità di base da sempre hanno cercato modi chiari per far conoscere le loro prassi e le loro letture del Vangelo, ma sono stati "ricacciati" nelle catacombe nelle quali in verità non sono mai entrate se non per trarre forza ed esempio dai primi cristiani.... non devono, quindi, cominciare a farlo ma solo continuare a restarne fuori

Marcello Vigli


Il primo piano di Lorenzo Maestri è perfetto. Vorrei fargli arrivare i miei complimenti: avrei scritto le stesse cose.

Mauro Magini

 


a proposito di

Lo specifico

di Nino Lisi della comunità  San Paolo


Caro  Leo, mi hai sollecitato a riflettere con il tuo “Gesù non ha inteso fondare una chiesa, cosa ci combina voler costruire una "chiesa altra", suppongo in nome di Gesù? E' proprio necessario che ci siano delle chiese cristiane e addirittura dei "cristiani"? Non intendo addentrarmi in disquisizioni esegetiche sulle “intenzioni” di Gesù, mi limito a constatare  che se i suoi seguaci (apostoli, discepoli....) non si fossero impegnanti a tentare di vivere secondo i suoi insegnamenti e a diffonderne la conoscenza, noi non saremmo qui a discutere se è necessario che vi siano chiese. Parto da qui per darti ragione della mia scelta. Sono convinto, che la grande famiglia umana abbia  tratto più vantaggi che svantaggi dalla loro esistenza e che possa ancora trarne perché non è ancora venuto il tempo, di cui ha nostalgia Balducci:  “la nostalgia dei giorni durante i quali i cristiani non lo erano affatto, in attesa di un tempo in cui i cristiani non lo saranno più". Quale chiesa? Non soddisfatto di quelle che ci sono, mi sono impegnato a stare insieme a quelli che, senza pretendere di creare una nuova vera chiesa  si sono presi la responsabilità di sperimentarne non una nuova da contrapporre alle altre ma una altra che si intenda Chiesa come Via a più corsie in cui chiese diverse possano camminare insieme rispettandosi, convinte che la diversità è un valore e non un imperfezione da tollerare in un nome dell’ecumenismo. Da quarant’anni le Cdb, cara Ausilia, tentano faticosamente di tenere aperta questa Via: chiesa altra non altra chiesa come mi pare di avere scritto nella precedente risposta a Nino

Vi abbraccio

Marcello Vigli

Gruppo di Controinformazione ecclesiale  Roma


 

 

Commento

Lo specifico delle cdb indicato da te è davvero soddisfacente. Non perché sia uno specifico, bensì perché a-specifico: infatti introduce nel campo vasto del cristianesimo al di là delle singole chiese. Ciò mi conferma che le cdb non si identificano con la chiesa cattolica (si capisce, così com’è di fatto) o con le altre. Mi dispiace, però, l’incoerenza di chi si professa, tra le cdb, cattolico a pieno titolo, tanto da far credere che battesimi, matrimoni, funerali e quant’altro siano altrettanto (forse più) validi, nella loro efficacia, di quelli celebrati in seno alla vigente chiesa; e ancor più ci sono preti che si professano incuranti delle scomuniche, nella convinzione che tenendo un piede dentro e un piede fuori si possano stigmatizzare meglio gli orrori ecclesiastici. Non fraintendetemi! Nessuna condanna, da parte mia, per l’eretico! E’ l’incoerenza che mi sorprende. Le persone che “militano” (si fa per dire) nelle cdb sono meravigliose. Piene di fede e di spirito “buono”, molto impegnate nella prassi evangelica; meno nello spirito di adesione mistica col Dio che si fa uomo tra gli uomini…..

Ma un altro cenno. L’ideale - sì, chiamiamolo così - delle cdb è nel fondo del mio cuore, della mia mente, del mio spirito, e anima il mio impegno umano e cristiano. Ritengo, però, di non avere uno specifico per questo, semmai di accostarmi alle anime religiose di tutti i tempi, che hanno saputo guardare, al di sopra (non contro) le singole religioni e chiese. E proprio in virtù di questa visione universale, che va oltre il cristianesimo, sento di incarnarmi nella chiesa cattolica di appartenenza, assieme alla gente comune, pervasa di devozionalismo, ma tanto concretamente credente. Più di tutti coloro – e mi ci metto io nel fascio – che hanno visioni larghe e profonde… Noi ci ammantiamo di un sapere biblico, teologico e culturale col quale vogliamo sconfiggere (ahimè!) “l’invisibilità del Regno di Dio” a causa di una chiesa sbagliata!!! Mi dispiace la noncuranza del mistero dell’invisibilità, che è anima ed essenza della visibilità. Per me inginocchiarmi tra la gente comune durante la messa (gambe permettendolo) è motivo di vicinanza con l’umanità che CREDE e spera ed ama, pur con le incoerenze proprie, non inferiori alle mie.

Chiudo per dovere di spazio.

Ausilia Riggi 

 


Caro Leo,

tu poni due questioni: una a proposito  del mio primo piano, un’altra a proposito del commento di Marcello.

Quanto alla prima credo di essere d’accordo con te.

Ho scritto che la costruzione del regno è lo specifico di tutti coloro che si dicono cristiani e non sono andato oltre, perché ero concentrato nel rimarcare che a mio avviso lo “specifico” delle CdB  non sta  nel rincorrere atti e documenti della gerarchia cattolica con un contrappunto che ne faccia risaltare le stonature, ma nel “faticare” alla costruzione del regno, qui sulla terra. Per questo mi sono limitato a sottolineare che <questo però è lo “specifico” non di taluni e talune più che di  altre ed altri, ma di tutti coloro che  si dicono cristiani>. Mi dai l’occasione, e te ne sono grato, di aggiungere che credo che la costruzione del regno non sia un’esclusiva di alcuno, ma sia un’opera aperta a tutti e tutte gli uomini e le donne  <(credenti o non credenti, agnostici, atei e quant'altro)> che richiamandosi o no al Cristo siano dentro una prassi di fratellanza e sorellanza, condivisione, amore e giustizia.

Cade proprio a proposito il messaggio di Giovanna che ricorda come dentro il “percorso sul divino” delle scomode figlie di Eva vi sono anche donne che non si dicono più cristiane. E sottolinea: “un altro esempio di intersezione di insiemi”. Ecco il regno credo proprio che si frutto dell’intersezione di insiemi, di tanti insiemi.

Del resto ricordo bene che mi fu spiegato come l’annuncio della buona novella fosse stato dato  da angeli che cantavano <gloria in excelsis  Deo et pax in terra hominibus bonae voluntatis> e che la buona volontà non è quella – come la vulgata corrente vorrebbe - degli uomini, ma di Dio, sicché la pace annunziata è destinata agli uomini della Buona Volontà, cioè all’umanità intera.

Quanto alla seconda questione ci sto pensando. Per ora non so dirti altro che ciò che conta a parer mio è di essere “altro” e che faccio mio il titolo di un saggio di José Maria Vigil pubblicato su Adista documenti del 12 luglio dell’anno in corso: <Fuori della Salvezza non c’ è Chiesa>. Mi permetto di consigliarlo.

Un abbraccio fraterno.

Nino

 


Caro Nino,

ho letto il tuo intervento tutto d'un fiato e alla fine ho esclamato: bravo Nino, sono del tutto d'accordo!

Poi però, rileggendo con calma, mi sono nati dei dubbi; su alcuni sorvolo ma su uno in particolare mi pare doverti chiedere cosa ne pensi.

Se Gesù non ha inteso fondare una religione ed una chiesa (cosa che condivido al cento per cento) come si fa a dire che la prassi, che Gesù ha annunciato e praticato, è "lo specifico... di tutti coloro che si dicono cristiani", cioè che si riconoscono in una della tante chiese che si richiamano a Cristo? Non sarebbe più corretto dire che è lo specifico di tutti gli esseri umani che (credenti o non credenti, agnostici, atei e quant'altro) si richiamano al Gesù di Nazaret storico, quella persona che ha annunciato e praticato la prassi di cui parli?

Può sembrare una sottigliezza, ma non credo lo sia. Mi riferisco anche all'intervento dell'amico Marcello arrivato oggi (21 novemre), che indica come specifico delle CdB l'autoconvocarsi per costruire una chiesa altra, concetto peraltro comune e ricorrente nelle CdB italiane. A me sembra che non si abbia il "coraggio" di andare fino in fondo nei nostri ragionamenti: poiché Gesù non ha inteso fondare una chiesa, cosa ci combina voler costruire una "chiesa altra", suppongo in nome di Gesù? E' proprio necessario che ci siano delle chiese cristiane e addirittura dei "cristiani"? Mi piace citare un testo di Balducci: "Conservo in me la nostalgia degli anni in cui i cristiani non sapevano di essere cristiani [...] Ciò mi basta perché possa sentirmi libero di coltivare la nostalgia dei giorni durante i quali i cristiani non lo erano affatto, in attesa di un tempo in cui i cristiani non lo saranno più". Anch'io conservo in me quella nostalgia.

Un caro saluto

Leo Piacentini

Comunità del Luogo Pio, Livorno

 


 

Caro Nino hai ragione: lo specifico va cercato nella prassi della costruzione del Regno. Questo però è lo “specifico” non di taluni e talune più che di altre ed altri, ma di tutti coloro che si dicono cristiani.

Dobbiamo riconoscere, se non vogliamo considerarci detentori di un “marchio di cristianità” o peggio ergerci a giudici della fede altrui, che sono tanti e diversi. All’interno di questa diversità da quaranta anni taluni e talune hanno accertato di condividere l’intuizione che la via per costruire il Regno dovesse essere percorsa riuniti in gruppo/comunità; che in esse la responsabilità di costruire forme, gesti e parole per annunciare il Regno fosse comune; che se ne dovesse ricercare insieme l’individuazione leggendo i segni dei tempi; che si dovesse condividere comunitariamente la fatica di tradurle in prassi quotidiana dalla parte di quelli a cui Dio vuole bene.

Si sono trovati, così, a distinguersi dalle talune/i, che avevano scelto di aggregarsi intorno ad un leader e al suo progetto di chiesa, e da altre/i che continuavano a pensare impossibile assumere quella responsabilità se non per mandato della gerarchia. Autoconvocarsi per costruire una chiesa altra è diventato il loro “specifico” comune. Ad esso ciascuna comunità ne aveva ed ha continuato ad averne  altri in rapporto alla situazione in cui viveva e alle persone che la componevano. 

In quaranta anni di cammino comune, confrontando le loro prassi in convegni e seminari, hanno arricchito lo specifico iniziale che le accomunava. In particolare hanno maturato la consapevolezza che ogni profezia ha bisogno di un’organizzazione che ne faccia memoria nel tempo; non fa eccezione l’appello a costruire il Regno seminando d’amore, qui ed ora, la storia degli uomini.  Lo avevano capito anche le prime comunità di cristiani.

Il problema del rapporto dialettico fra istituzione e profezia non può essere ignorato solo perché è mal risolto dalla chiesa istituzionale che soffoca la profezia. 

A mio avviso la ragione d’essere, lo specifico delle Cdb e del movimento, che hanno costruito, sta nel proporne una soluzione diversa con la loro prassi di ecclesiogenesi, che rifugge da sofisticate elaborazioni ecclesiologiche: l’istituzione è in funzione della profezia e non viceversa.

 

Marcello Vigli

Gruppo di Controinformazione ecclesiale

 


 

Visto che parlate di specifico perché non mettete in primo piano la pagina invito all'incontro gruppi donne Cdb e non solo (con rinvio al programma)? In fondo è un percorso specifico, quello sul divino, di alcuni gruppi donne delle Cdb e di altri gruppi donne: un altro esempio di intersezione di insiemi. Attenzione: so bene che non è lo specifico Cdb; ci sono dentro anche donne che non si dicono più cristiane. E poi, visto che siete del "buoni padri", fareste anche un regalo alle vostre "scomode figlie".

Giovanna Romualdi

Gruppo donne cdB di Roma

 


a proposito di

Giovani, i penultimi?

di Gennaro Sanges della CdB del Cassano-Napoli


 

Il Primo Piano di Gennaro Sanges mi è piaciuto moltissimo. Tanto che l'ho inviato ad alcune decine di persone che assai probabilmente non frequentano il nostro sito. L'ho inviato anche ai miei figli.  Uno, che da quasi un anno sta in Messico cercando di lavorare, mi ha inviato un commento che partendo da  un accenno scherzoso  ad un pluridecennale dibattito tra lui e me sulla legalità dei mezzi di lotta, sviluppa un ragionamento che mi  interpella. Ne riporto il testo, non perché lo condivida del tutto, ma perché mi induce a qualche riflessione.

 

"Quando si avvicina per i nostri figli il tempo del lavoro, inizia per tutti noi, donne e uomini del Sud, l'ansia, l'angoscia per un'attesa lunga, interminabile, spesso amara. E in questa attesa si consumano tante volte i grandi guasti umani e sociali della devianza, della disperazione, della criminalità giovanile"

 

Caro papà

 se ci fosse qualche riferimento anche indiretto a me nei passaggi relativi alla "devianza e criminalità giovanile" oramai sono fuori tempo massimo e eventualmente si dovrebbe parlare di devianza e ciminalita' semisenile, he he...

Inoltre il tuo amico quando dice: "E' un bilancio molto amaro per uno che ha creduto nell'educazione all'onestà, alla legalità, alla solidarietà e che ad un certo punto, aprendo gli occhi, ha visto crescere i propri figli come agnelli in mezzo ai lupi", si dovrebbe interrogare se non sarebbe stato meglio educare i propri figli "all'illegalità diffusa" finalizzata alla riappropriazione collettiva per la messa in comune dei beni  materiali e non, che quotidianamente ci vengono estorti,rapinati, strappati dalla pelle. Di quale legalita' stiamo parlando? di quella al servizio di un sistema fondato sulla spoliazione di interi popoli? sul genocidio? sulle stragi intenzionali definite "incidenti sul lavoro" che quotidianamente si ripetono in nome del profitto di pochi sulla pelle di molti?

Dell'insicurezza fomentata ad arte per rendere le persone ricattabili e pronte a prendersela con chi sta' sul gradino appena al di sotto di quello su cui pensiamo di stare noi? E' questa la legalità su cui si dovrebbe misurare il concetto di onestà di cui parla? e la solidarietà a quel punto a che si riduce? "si va bene basta che non rompi i coglioni e accetti la tua condizione di schiavo magari moderno ma schiavo, e qualche briciola arriva pure a te e magari se mi sento buono non ti chiamo neanche più negro ma PERSONA DI COLORE"

Forse il tuo amico avrebbe dovuto piuttosto che educare alla "legalità" i propri figli, insegnargli quale e' il valore della rivolta contro l'ingiustizia e educarli alla sua pratica, come tu per altro hai fatto con me; vabbe' forse la cosa ti e' un po' sfuggita di mano e non e' andata esattamente nella direzione da te auspicata, tant'è.

Tanto per rimanere al Sud, ho sentito qualche giorno fa una canzone siciliana che faceva:

"ti lamenti, ma che ti lamenti, pigghia lu bastone e tira fori li denti".

Non disdegno di riservarmi, anche in futuro, l'opportunita' di sferrare contro chi ci opprime qualche colpo bene assestato. La rivolta oltre che una necessita' e' una gioia perche' contiene in se la forza della liberazione.

 

Un bacio grande

 

Michele

Omnia Sunt Communia

 

Dicevo che il commento di Michele mi ha indotta a pensare, a pormi degli interrogativi. Forse  non mi sono preso la briga di approfondire sufficientemente la distinzione tra legalità e legittimità? Di chiedermi se non ci sia una legalità che possa essere illegittima e nel contempo non sia  possibile una illegalità legittima?

Mentre leggevo il messaggio di Michele è venuta mia moglie a raccontarmi che una coppia di deliziosi vecchietti ultranovantenni, vicini di casa, che vivono appoggiandosi l'una all'altro e viceversa, hanno pensioni che insieme non raggiungono i mille euro. L'affitto ne assorbe oltre 500 sicché  si arrangiano a vivere con poco più di 400 euro al mese, medicine comprese. Non hanno figli né parenti. La loro speranza è che la morte li colga insieme.

Potete capire che i  miei dubbi si sono rafforzati.

Ringrazio Gennaro per il suo sofferto e bel Primo Piano, che spero susciti il dibattito che merita,

 Nino Lisi

 


a proposito di

Povertà e giustizia.

di Massimiliano Tosato del gruppo Ardizzone di Bologna

 


Condivido con Massimiliano l’attenta e lucida analisi della situazione. Analisi dura, ma rispondente a verità. Aggiungerei di mio solo alcune considerazioni.

Le parole di Gesu’ al giovane ricco (“Vai, vendi ciò che hai dallo ai poveri, poi vieni e seguimi” ) sembrano le uniche rispondenti pienamente al concetto che “la solidarietà deve divenire condivisione”. Tutto il resto e’ illusorio se non addirittura concretamente dannoso.

E sono queste, parole dure da mettere in pratica, perche’ il benessere, anche solo un piccolo benessere in piu’ rispetto ad un livello inferiore, e’ come una droga: ti prende, ti travolge, ti sprona a conservarlo e ad accrescerlo. E’ la forza vitale stessa che ti sprona a farlo: e’ come se l’istinto di sopravvivenza nell’uomo e donna non trovasse pace ne un suo limite ed equilibrio. C’e’ sempre qualcosa da migliorare; c’e’ sempre una minaccia da compensare con una sovra-abbondanza (di oggetti, di possibilità, di denaro, di sicurezza….).

Bene dice il salmo Sufi, intitolato “Salvami da me stesso”:

…..Dimentica tutto quello che ho fatto,nel bene e nel male;
liberami da me stesso
per la Tua grazia,
perché ogni mia azione,
buona o cattiva,
non serve che a forgiare
nuove gogne per il mio collo…….

Sorprendentemente si possono anche osservare segnali di disagio di questa situazione segnali che stanno venendo fuori anche dove meno te lo aspetti. Io me li aspetterei dalla Chiesa, intesa come un tutt’uno, a partire dal basso, ma anche dall’alto. Anzi chi ha piu’ potere dovrebbe dare gli esempi piu’ significativi. Invece ci sono segnali, molto particolari, da osservare anche con curiosità sorridente. Riporto sotto alcune frasi tratte da un recente articolo uscito su Repubblica:

“Vivere senza possedere nulla – il nuovo sogno americano”
“AUSTIN (TEXAS) - Come molte giovani coppie, Aimee e Jeff Harris hanno trascorso i primi anni di matrimonio accumulando di tutto: macchine, mobili, vestiti, elettrodomestici e, arrivati i bambini, anche giocattoli, giocattoli, giocattoli. Adesso cercano di liberarsi di tutto, comprese le fedi di nozze. Propugnatori di un movimento che alcuni chiamano "semplicità volontaria", fondato su un'utopistica visione di vita auto-sostenibile sulla Terra, sono pronti a donare in beneficenza ogni cosa in loro possesso e a mettersi in cammino alla fine di maggio.

"È sbalorditiva la quantità di cose che una famiglia può accumulare", dice la signora Harris, 28 anni, attribuendo la bella vita che possono permettersi alla "strabiliante quantità di denaro" che suo marito guadagnava come computer network engineer in questa prima mecca del wi-fi. Gli Harris sognano di poter presto diventare coltivatori di prodotti biologici nel Vermont. Finora, dicono, avevano lasciato che fosse il mondo a dettare la loro vita. Oggi coppie come queste non sono più l'eccezione. Matt e Sara Janssen, lasciata la casa per un camper alimentato ad olio vegetale, attraversano il Paese con la figlia di quattro anni, come nomadi della strada, e vivono con 1.500 dollari al mese.

Non è detto che la semplicità debba essere spartana: Cindy Wallach e il marito Doug Vibbert hanno dato una festa per liberarsi del contenuto dell'appartamento e adesso insieme al loro bimbo di tre anni vivono in un catamarano di 14 metri per 7 circa. "Il nostro sogno non è mai stato vivere tra quattro pareti con la moquette beige", riflettono……..

Dubito fortemente che qualcuno di noi voglia seguire questo esempio, molto americano; tuttavia e’ per dire che ci sono segnali di stanchezza e disagio, nel “mondo occidentale”: che siano segnali di speranza ? …….alla fine rileggo, meditandolo, il salmo Sufi “Salvami da me stesso”.

Claudio Giambelli - CdB San Paolo


a proposito di

Patologie dell'obbedienza

di Franco Barbero - CdB di Pinerolo

 


Le risposte di Franco Barbero:

Caro Signor Pantaleo,

sono contento che un fratello protestante segua con attenzione i "travagli " di molti cattolici anche perché la chiesa è una casa comune con tante stanze diverse, ma in questo condominio solidale possiamo aiutarci, correggere, stimolarci, andare insieme alla ricerca della volontà di Dio. Questa è forse la "sostanza" dell'ecumenismo.

Grazie.

Franco Barbero

 


Cara Rosaria De Felice,

trovo le sue riflessioni straordinariamente intelligenti, appassionate e attente a ciò che è possibile e fecondo.

Credo che Lei conosca il contesto molto meglio del sottoscrito. Anzi, ne sono sicuro. Però ritengo che il vescovo di Locri avesse creato una rete che gli permetteva - a differenza della esperienza di Gioiosa Ionica - di sollevare una obiezione, di attivare una trattativa in cui entrasse in gioco la sua chiesa locale. E, invece, la chiesa locale ha ricevuto la comunicazione come l'abbiamo ricevuta noi. Avrei in ogni caso preferito che la sofferenza di un vescovo dalla statura morale così evangelicamente ed umanamente così nitida e coerente non adottasse l'ambiguo linguaggio del "misterioso disegno di Dio". Inoltre nella mia piccola esperienza di vita - che non presume affatto di collocarsi al livello di mons. Bregantini - ho constato che la disobbedienza umile e motivata sparge semi di fecondità. Non sto esaltando l'irrazionale e le scelte "ideali". Condivido tutte le sue preoccupazioni, ma faccio fatica a restare nel ragionevolissimo solco del calcolo della futura fecondità. Resta il fatto che oggi è l'obbedienza istituzionale che prevale e ciò, a mio avviso, non aiuta il popolo a crescere.

Queste opinabili diverse valutazioni non mi allontanano di un centimetro dalla sintonia profonda che avverto con le Sue preziose considerazioni.

Ancora grazie. Le sue domande sono spesso anche le mie.

 

Franco Barbero

 


Obbedienza e disobbedienza

Condivido in gran parte quanto afferma Franco Barbero nel sito, ma ritengo che obbedienza e disobbedienza abbiano senso solo quando si calano in una realtà nella quale possano operare: aprire discussione, suscitare crisi feconde di esiti concretamente, storicamente apprezzabili.

Ma come strumento di comunicazione sono sempre davvero efficaci? Efficace, anzi sale e lievito, può essere una disobbedienza proposta come segno là dove la realtà sociale consente un’autonomia di comportamenti tale, da rendere le scelte di laicità limpide e conclamate. Ma in una realtà in cui il cattolicesimo come prassi sociale non coincide affatto, molto spesso, con il cristianesimo?

Troppe volte in Calabria esperienze ricche e promettenti (penso a quella di Gioiosa Ionica) sono state tacitate e soffocate senza clamore e senza scandalo. Personalmente so di uomini e donne che hanno lottato e sperato, riscuotendo anche qualche limitato successo e séguito, ma la cui sfida è stata ben presto insultata, silenziata, e talvolta anche gravemente infamata. 

Come operare cristianamente in un contesto in cui la rassegnazione e il conformismo consacrano come valori etici il frutto di consolidate compromissioni? Che possibilità comunicativa può aprirsi a chi parla una lingua spregiudicata, il cui significato spiazza troppo rispetto al comune sentire?

Allora, forse, importa anche la valutazione di quale esito avrebbe una sicura condanna al silenzio e all’anonimato (se non addirittura alla disapprovazione e alla diffamazione), rispetto alla prospettiva di operare altrove, forse con conseguenze meno dirompenti, ma ugualmente profonde nella sensibilità delle coscienze.

Rosaria De Felice

Gruppo di controinformazione ecclesiale - Roma


Vorrei felicitarmi con Franco Barbero per la sua bella e intensa perorazione della libertè dei credenti da forme di obbedienza che finiscono con il confliggere con la propria coscienza e le proprie convinzioni più profonde. Sono un evangelico che potrebbe limitarsi ad assistere con intima soddisfazione al travaglio dei fratelli cattolici, in quanto le nostre comunità non vivono questo conflitto. Ma nel dare la mia solidarietà a quanti nella chiesa cattolica si pongono la questione di direttive della gerarchia avvertite come ingiuste, al tempo stesso mi rendo conto della diversa strutturazione dell'autorità nella chiesa che configura l'obbedienza sempre come una virtù. Qui la necessaria umiltà di ciascun credente non può far tacere la testimonianza della varità.

Nicola Pantaleo

 


a proposito di

Gli invisibili

di  Rossella Grasselli De Rossi - Gruppo di controinformazione ecclesiale

 


 

Cara Rossella,

leggendo il tuo Primo Piano dedicato agli "invisibili" mi  viene in mente la frase con cui una voce fuori campo chiude il film di Olmi "I cento chiodi": <di quello che tutti chiamavano Cristo non si sono  più avute notizie>.

Anche lui invisibile, in questa nostra società.

 Ma la sua invisibilità, che è quella degli uomini e delle donne che noi  sottraiamo al nostro sguardo, dovrebbe fortemente interpellare non solo

sul piano della solidarietà individuale, ma anche su quello politico chi  dice di essersi posto alla sequela di Cristo.

A questo proposito, il teologo Benjamin Forcano, secondo cui i valori  egualitari, da sempre appannaggio della tradizione socialista, sono nel  dna cristiano, fornisce un'indicazione chiara: < Se prima l'eresia era  "cristiani per il socialismo", oggi è "cristiani per il capitalismo". È  morto il socialismo reale, sicuro. E allora? "Viva il socialismo utopico",  scrive il vescovo Casaldáliga.>  (da un suo articolo riportato nel n.  48/07di Adista Contesti)

Dovremmo proprio rimboccarci le maniche, come negli anni settanta, io  credo. Anche se i tempi non sono più quelli.

Anzi, proprio per questo.

Grazie, Rossella, per averci mostrato gli invisibili.

 

 Nino Lisi

 


a proposito di

Di ritorno da Sibiu

di  Stefano Toppi - CdB di San Paolo - Roma

 


1)    

Ho letto con interesse l'articolo di Stefano Toppi. Non sono stata a Sibiu e vi ho partecipato da lontano leggendo tutto quello che potevo e ascoltando prima e dopo i commenti di molti amici che c'erano. Credo che la conclusione che Stefano auspica e cioè smettere di cercare l'unità e preferire "una genuina e cordiale convivialità delle differenze, così come diverse furono le esperienze delle prime comunità che si sparsero nel mondo dopo la morte di Gesù di Nazareth" sia di per sé un grande obiettivo. Anzi, a mio avviso quella sarebbe la vera unità, quella neotestamentaria, che permette di convivere a chiese diverse, che danno priorità ad elementi diversi, ma che convivono e si parlano, si interpellano e discutono, senza pretese di primati. Il problema è che per avere questa convivialità delle differenze è necessario parlarsi, discutere, cercare di capire le posizioni dell'altro senza zittirlo, ed è esattamente ciò che è stato impedito a Sibiu. Il giallo del documento finale è proprio questo: evitare che le persone e le chiese possano esprimere con un voto la loro opinione e il loro punto di vista su temi rilevanti e imporre con il colpo di mano il punto di vista di una parte sola. Se tutte le chiese fossero disponibili a sedersi ad un tavolo rotondo, senza capotavola, l'unità della chiesa farebbe un salto in avanti notevolissimo. Ma ce n'è una che vuol sempre vincere, e si fa largo ovunque un po' a spallate, senza riguardi per nessuno e sostenendo di farlo per amore della verità, e cambia il tavolo e rivendica il suo posto a capo tavola. E' difficile parlare di unità in queste condizioni, ma è anche difficile pensare ad una "genuina e cordiale convivialità delle differenze".

Maria Bonafede


2)

Scrive Stefano Toppi nel "Primo piano" di questa settimana:

Al ritorno da Sibiu mi porto questa convinzione: che la strada dell’unità delle chiese sia non solo utopica e irraggiungibile ma forse anche non utile da perseguire; che non sia preferibile una genuina e cordiale convivialità delle differenze, così come diverse furono le esperienze delle prime comunità che si sparsero nel mondo dopo la morte di Gesù di Nazareth?

Condivido pienamente questa sua convinzione, che personalmente nutro da molto tempo. Non a caso il Consiglio Ecumenico delle Chiese (che riunisce anglicani, protestanti e ortodossi) preferisce parlare di "diversità riconciliata" piuttosto che di "reintegrazione dell'unità". La storia della chiesa, e lo stesso canone biblico, ci mostrano che non esiste (neanche tra i Dodici stessi!) un'età dell'oro dell'unità a cui tornare. Non sarà un caso che nel Nuovo Testamento abbiamo quattro vangeli, almeno sei cristologie, varie etiche, diverse versioni (anche contrastanti) degli stessi avvenimenti e discorsi fondamentali di Gesù. Piuttosto che un impossibile "che siano tutti uno" penso che la vera predicazione al mondo sia mostrare di essere capaci di convivere e di amarsi tra diversi, diversi che sono e vogliono restare tali.

Giorgio Guelmani (chiesa valdese di Milano)

3)

Grazie, Stefano, per esserci andato e averci riportato le tue considerazioni. Condivido fino in fondo quella finale sulla convivialità delle differenze: non è pessimismo, il tuo, ma l'ottimismo della vita, così complessa, fatta di parzialità che si muovono fianco a fianco: di genere, di colore, di cultura, di generazione, di fede... E' così, anche secondo me: non resta che invitare i gerarchi cattolici a smetterla di considerare il cattolicesimo la religione più... Non sarà facile, ma se aumenterà il numero di coloro che glielo chiederanno...

a presto

 Beppe Pavan - CdB Pinerolo

 


4)

Anch’io ho letto con interesse sia il testo di Stefano sia quello di Maria e mi trovo pienamente d’accordo con Stefano.

Vorrei, dal mio punto di vista, anche radicalizzare il pensiero di Stefano (….preferire "una genuina e cordiale convivialità delle differenze….): secondo me, la convivialità delle differenze non necessariamente significa che ci si debba sedere intorno ad un tavolo, anche se rotondo, senza capotavola, per rischiare di fare una finta di ecumenismo (….Ed i delegati: erano 2100, ma non si capiva per quale scopo e con quali compiti erano stati convocati….)

Questo puo’ accadere quando c’e’ una necessita’ reale di farlo: ed in questo caso, prima, e’ necessario condividere le regole dell’incontro.

Quello che e’ importante, secondo me, sono tre cose:

-         che ogni “comunità”, piccola o grande che sia, genuinamente e liberamente esplori la sua personale strada e offra testimonianze vive di questo percorso (le altre “comunità”, se vogliono, possono “leggere” questi percorsi e farsi contaminare);

-         che ogni “comunità” non percepisca le altre come un riferimento vincolante o un limite alla propria ricerca, ma liberamente, secondo la libertà che ci ha donato Gesu’, cammini sul suo proprio cammino;

-         sono le donne e gli uomini, di tutte le comunità, nella loro semplicità e immediatezza umana, che creano dal basso una possibilità di unione reale e concreta: difficile, se non impossibile concepire che le leadership si abbandonino alla tenerezza dell’incontro, sciogliendo i vincoli e privilegi da loro sostenuti, anche per secoli.

Claudio Giambelli - CdB S. Paolo - Roma


a proposito di

Un nuovo paradigma teologico

di Leo Piacentini  - CdB del Luogo Pio - Livorno

 


1)     Religione universale

("Primo piano" del 13 luglio 2007)

     Mentre si fa vivo il dibattito interreligioso è forse utile porsi ancora una volta una domanda importante e forse essenziale: ma Gesù di Nazareth ha voluto fondare una nuova religione o ha voluto insegnare e praticare un nuovo modo di essere religiosi?

      Incide non poco, nel cercare una risposta a questa domanda il come si definisce la religione.

      Lattanzio, cristiano, fa discendere questa parola dal latino re-ligare; cioè ri-legare. La religione è dunque un insieme di dottrine, di narrazioni epiche, di riti, di prescrizioni morali da conservare ed osservare per ottenere protezione dalle “potenze superiori” e remunerazione soddisfacente. Ne consegue che se una popolazione ha il suo dio deve sapere quale è la sua religione e praticarla con ossequio delle regole e dei sacerdoti o sciamani. Se si pensa che ci sia un solo dio, creatore e signore dell’universo, allora il problema si fa delicato ed escludente: non ci possono essere varie religioni per un solo dio, una è quella vera le altre, possono avere frammenti di verità ma sono praticamente false. Coerentemente quindi S.Tommaso d’Aquino, sulla scorta di Lattanzio, conclude che la religione è: un retto ordine verso Dio.Quindi una sola è quella vera: la religione cristiana nella quale siamo legati col vincolo della fede.

       Prima di Lattanzio Cicerone invece aveva concepito la religione come  re-legere, cioè rileggere e l’aveva imparentata con intus-legere, di-ligere, e-ligere cioè tornarci sopra a ogni giro di pista, riformulare il proprio amore e le proprie scelte e non dare mai per scontato di avere capito tutto e avere fatto tutto.    

      Gesù di Nazareth, senza conoscere Cicerone sembra più vicino a lui che a Lattanzio. Quando dice alla Cananea: “la tua fede ti ha salvato”, presumibilmente lo dice ad una persona che non essendo ebrea, praticava altri riti, forse anche politeistici, ma Gesù non la converte all’ebraismo e tanto meno la converte al cristianesimo e se la tira dietro, annettendola al gruppo.

      Gesù, senza abbandonare l’ebraismo lo ri-legge in chiave profetica. Per questo se la sua religione resta quella ebraica la sua forma religiosa, il suo modo di essere religioso è universale perché è compatibile con diverse culture. Qualsiasi induista, come Gandhi o Vinoba Bahve, qualsiasi islamico, qualsiasi animista può seguitare tranquillo ad abbigliarsi come dice la cultura della sua gente, mangiare o non mangiare secondo le abitudini culturali, seppellire i morti o attendere l’aldilà con varie tensioni nella speranza ma deve farlo nella forma gesuana perché questa è compatibile e non è escludente. In questa capacità di rilettura delle proprie radici nella novità di ogni situazione, credo sia l’universalità di Gesù che peraltro non è esclusiva perché anche altri c’erano arrivati. 

                        Giovanni Franzoni

 CdB di San Paolo - Roma


2) La lettera di Nicola Pantaleo

Ho letto con interesse ma anche con qualche sorpresa l'articolo di Leo Piacentini. Premetto che sono un credente evangelico battista e che seguo con profonda empatia e fin dall'origine il lavoro encomiabile delle comunità di base per la riforma della Chiesa cattolica (sono molto amico di Vincenzo d'Aprile, l'ex-parroco 'ribelle' di Conversano dei primi anni Settanta). Vorrei precisare che la mia cultura teologica non è particolarmente ricca e variegata. Sono fondamentalmente barthiano e non ho dimestichezza con la cosiddetta teologia pluralista e pertanto sarò, spero, scusato se scriverò cose superate o inappropriate. Rimango però dell'idea che un cristiano accetta come piena e completa la rivelazione di Dio in Gesù Cristo e che Lui è "la via, la verità, la vita". Come si può conciliare questo assunto centrale del cristianesimo con una proposta teologica che vede la via salvifica in tutte le religioni? Non ci spinge troppo in là in un'avventura dello spirito verso sponde eclettistiche? Allora aveva torto Paolo e ragione gli ateniesi quando si veneravano alla pari tutti i culti del tempo sull'Aeropago? Ha più senso allora il comandamento "Andate e predicate a tutte le genti, battezzandole"? Temo che con questo relativismo (uso questo termine non nell'accezione ratzingeriana che non condivido) si finisca col banalizzare la storia della salvezza e mettere tra parentesi la Parola di Dio.

Nicola Pantaleo


3) Un intervento di Beppe Pavan

Caro Leo, certo che apri un bel capitolo! Dai, cerchiamo di approfondire un po'. Io ti dico solo alcuni spunti su cui mi sta molto a cuore continuare la ricerca: in comunità la stiamo facendo, sia nel gruppo biblico settimanale che nel gruppo che si chiama appunto "ricerca".

Quando gli uomini si sono costruiti Dio a loro immagine e somiglianza, che li autorizzasse a dominare il mondo e su tutto/tutti e tutte coloro che non sono maschi adulti di potere... non era l'alba della creazione. L'umanità era già vecchia di milioni di anni...

Tutto cancellato! Noi viviamo come se il mondo fosse cominciato con il monoteismo ebraico e poi cristiano. Parliamo tanto di "amore di Dio", ma finiamo per mettere al centro Dio che si rivela occasione e strumento di odio, di guerra, di competizione... L'esatto contrario dell'amore, praticato e predicato da Gesù, ma a lui insegnato da una millenaria tradizione femminile, fino a quella donna siro-fenicia che gli insegna a rispettare i cagnolini. Se invece di continuare a dire "Dio è amore" (nessuno può affermare una cosa del genere perchè nessuno conosce Dio) cominciassimo a dire con convinzione che "l'amore è Dio", credo che cominceremmo a vedere e a nominare la centralità necessaria dell'amore in tutte le sue declinazioni. Allora vanno bene le religioni se tra loro praticano l'amore cioè il rispetto e la convivialità. Ma altrettanto si può dire di ogni organizzazione umana. In fondo ciò che davvero conta è che ci sia amore nelle relazioni tra uomini e tra donne, tra uomini e donne, tra adulti/e e cuccioli/e, tra umanità e il resto del creato, ecc. ecc.

Tutte le religioni sono vere, secondo me, se praticano e predicano l'amore. Ma Dio non sta nelle religioni: Dio sta dove c'è amore.

A me su questa strada mi aiutano a camminare soprattutto le donne, le femministe della differenza, le teologhe femministe, i loro libri.

Non trovo ancora altrove le cose che pensano e scrivono loro. Ne cito solo uno, l'ultimo che ho letto: "Nato di donna" di Adrienne Rich (Garzanti).

E su questa strada possiamo aprire grandi cantieri di riflessione sul presente e sul futuro delle nostre comunità di base. Grazie per le cose che hai scritto. Credo che nei prossimi mesi avremo la possibilità di continuare lo scambio.

Beppe Pavan - Pinerolo

 


4) un articolo di Giulio Girardi sull'argomento di qualche tempo fa:

LA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE NELL’EPOCA DI RATZINGER

Una previsione,  ampiamente fondata, sul pontificato di Ratzinger è che esso, sul tema della teologia della liberazione, come su tutti i temi dottrinali,  si manterrà in continuità con il pontificato di Woyitila. Il fondamento più sicuro  di questa previsione è il fatto che per oltre 20 anni il Cardinale Ratzinger, come prefetto della congregazione per la dottrina della fede, è stato il principale ispiratore e punto di riferimento di Giovanni Paolo II. D’altro lato, in queste prime settimane di pontificato, Benedetto XVI si è molto frequentemente riferito al suo predecessore , quasi a voler rendere esplicita la continuità tra i due pontificati.

Affermare questa  continuità     nel rapporto con la teologia della liberazione, significa confermare l’attualità dei documenti, redatti dallo stesso cardinale Ratzinger, di condanna della teologia della liberazione, insieme con il suo presunto fondamento, il marxismo. Significa in particolare riaffermare il giudizio di Giovanni Paolo II, nel suo secondo viaggio in Nicaragua, secondo cui la teologia della liberazione era morta,  dato che era morto  il suo fondamento, il marxismo. Si doveva dunque celebrare nello stesso tempo il funerale del marxismo e quello di sua figlia, la teologia della liberazione.

Affermare la continuità tra i due pontificati significa anche prevedere  la persistente ostilità del Vaticano nei confronti della teologia della liberazione; non solo ma anche la sua incomprensione nei confronti di una esperienza e di una dottrina che sono espressione di un’altra cultura, la cultura degli oppressi.

 Forse però bisogna anche riconoscere una certa discontinuità tra i due pontificati, dovuta al diverso contesto culturale in cui essi si muovono. Per il papa polacco, il nemico principale era  il marxismo,  cui la teologia della liberazione sarebbe, secondo la sua analisi, strettamente collegata.  Per il papa tedesco, è forse ancora prematuro individuare il nemico principale; ma molti riferimenti fanno pensare al relativismo, più esattamente al relativismo morale e al relativismo religioso,. che significa nel suo linguaggio “pluralismo religioso”.

Il pluralismo religioso rappresenta oggi una tappa avanzata della teologia della liberazione, ed è uno dei nodi sui quali , con molta probabilità,  si concentrerà nel prossimo futuro il dissenso tra la ricerca di base  e il magistero pontificio.

 Questa affermazione  sembra entrare in conflitto con una delle principali preoccupazioni manifestate da Benedetto XVI,  in continuità  anche qui con  le preoccupazioni di Giovanni Paolo II, quella di aprire la chiesa cattolica  e le altre confessioni cristiane all’ecumenismo    e di promuovere così l’unità tra i cristiani.

Ma per cogliere il significato del dibattito in cui prevedibilmente sarà  impegnata la teologia della liberazione nell’epoca di Ratzinger, bisogna distinguere l’ecumenismo, che il magistero cattolico promuove, dall’ecumenismo che il magistero cattolico condanna, che implica il pluralismo religioso. La presa di posizione più esplicita sull’argomento è la dichiarazione Dominus  Jesus, emanata  dalla congregazione per la dottrina della fede, e sotto la responsabilità principale suo prefetto, il cardinale  Ratzinger . in questo documento   il pluralismo religioso viene condannato , e qualificato appunto “relativismo”. Si  attribuisce pertanto ai fautori  del pluralismo religioso, per altro erroneamente,  la convinzione che la verità assoluta non esiste. Chi non riconosce  un’unica religione  pienamente valida, e precisamente la cattolica, non ammetterebbe l’esistenza della verità assoluta.

Ma per capire in che senso il magistero cattolico, quello in particolare di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, promuova l’ecumenismo, mi pare  si debba riferirsi ai due interlocutori del  dibattito ecclesiale, la gerarchia e il “popolo di Dio; nuova categoria, questa, introdotta, come è noto, dal Concilio  Vaticano II .Su questa base bisogna distinguere, mi pare, in funzione dei vari soggetti, fra ecumenismo istituzionale ed ecumenismo popolare. Questa distinzione permette di tenere conto   della complessità  dei movimenti ecumenici e della problematica che li riguarda. Vorrei tentare di chiarirla. Per  “ecumenismo istituzionale”  intenderei  il rapporto di rispetto,  stima e  collaborazione tra  le diverse istituzioni  religiose ,promosso dalle rispettive gerarchie.. Per “ecumenismo popolare” intenderei invece un rapporto promosso dal “popolo di Dio”, indipendentemente dalla gerarchia e spesso in contrasto con essa. Il contrasto si riferisce specialmente alla natura della relazione, che in questo ecumenismo, è di uguaglianza e reciprocità tra tutte le religioni, compresa la cattolica.

Un esempio tra i tanti che illustra il concetto di “ecumenismo  popolare”  è il movimento macroecumenico, nato nel V Centenario dell’invasione dell’America, erroneamente chiamata “scoperta ”, secondo l’interpretazione che ne  hanno dato gli invasori. Questo movimento è nato a Quito (Ecuador), nel 1992.  Si è qualificato “assemblea del popolo di Dio”, per distinguersi dall’assemblea episcopale che  si sarebbe celebrata alcune settimane dopo a Santo Domingo. Per distinguersi,  ma anche per contrapporsi. Infatti, l’assemblea episcopale assumeva il punto  di vista degli invasori e considerava  l’evento del 1492 una svolta estremamente positiva sia nella storia  dell’Europa , che accresceva così il suo potere e la sua ricchezza, sia nella storia della chiesa,  che vedeva dischiudersi nuovi orizzonti all’evangelizzazione, sia ancora nella storia dei popoli indigeni, che, sempre dal  punto di vista degli invasori, venivano “civilizzati”.

Ma per gli stessi  indigeni  coscentizzati, il 1992 era il centenario  del loro genocidio. Con pieno diritto essi proclamavano: “Non abbiamo nulla  da celebrare.”  D’altro lato, l’assemblea del popolo di Dio, ispirata dalla teologia della liberazione e fedele alla scelta dei poveri , faceva suo il punto di vista  delle vittime.  Pertanto la storia dell’Europa moderna, “faro di civiltà a tutte le genti”, comincia con  uno dei più gravi crimini contro l’umanità. Questa   tragica constatazione  cambia il senso della  questione del debito estero dei paesi del Terzo Mondo, che diventa il debito dell’Europa  nei  confronti del  Terzo Mondo.

Queste evocazioni storiche permettono di comprendere il significato dei temi teologici che vogliamo affrontare, in dialogo con papa Ratzinger ,  supposto che voglia ascoltarci.  Perché. il 1992 non è solo un crocevia storico ma anche un crocevia teologico. La contrapposizione tra la teologia ufficiale e la teologia della liberazione  nei confonti del pluralismo religioso si precisa nel rapporto fra la chiesa cattolica e le religioni indigene. La teologia cattolica ufficiale di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, per la quale il cattolicesimo è l’unica religione salvifica, considera legittima l’evangelizzazione conquistatrice;  essa si attribuisce il potere e il dovere imporre  agli indigeni   che si convertano   alla religione cristiana e  abbandonino le loro religioni millenarie , considerate diaboliche , e che la chiesa cattolica reprimeva violentemente.

Dalla teologia della liberazione nasce invece il macroecumenismo . Esso riconosce  la validità delle religioni indigene, condanna come antievangelica  l’evangelizzazione coercitiva, afferma il pluralismo religioso. Essa  introduce  nella storia dell’ecumenismo una  duplice novità. In primo luogo , quella di estendere l’ecumenismo aldilà delle confessioni cristiane. In secondo luogo, quella di affermare  un rapporto di uguaglianza e  reciprocità tra le varie religioni.

Così, mentre la teologia della liberazione si propone di aprire il cristianesimo alle altre religioni, la teologia ufficiale ritiene di dover valorizzare il cristianesimo affermando la sua superiorità su di esse.

Questo nuovo capitolo della teologia della liberazione impone un profondo ripensamento di alcune delle principali categorie teologiche, come quella di religione,  rivelazione,  fede,  popolo di Dio; impone in primo luogo un ripensamento del concetto di Dio.

Desidero appunto concludere  questo itinerario tornando sul suo principio ispiratore,  il vincolo che lega la scelta di campo per i popoli oppressi e la riscoperta dell’Amore Infinito di Dio, principio ispiratore della teologia della liberazione.

Riconoscere i popoli oppressi come soggetti storici, culturali, religiosi ci conduce a riscoprire l’amore appassionato di Dio per tutti e per ciascuno degli uomini, per tutte e ciascuna delle donne, per tutti e ciascuno  degli esseri della natura; conduce a riscoprire la sua presenza liberatrice in tutti i tempi e in tutti i luoghi della storia.

Ma perché parliamo di riscoprire? Perché le teologie cristiane avevano coartato Dio, il suo amore e la sua grandezza, entro i limiti angusti delle nostre chiese, delle nostre culture occidentali, delle nostre tradizioni, del nostro libro sacro, della nostra epoca storica. Fuori del mondo occidentale, pensavamo, non c’è salvezza, perché non c’è Dio. Il Dio chiamato cristiano era un padre  che dedicava la sua attenzione a una minoranza dei suoi figli e si disinteressava della grande maggioranza di essi.

In questo dio  come cristiani non possiamo  più credere. Il Dio  nel quale crediamo oggi è più grande del cristianesimo.  La sua verità è più ricca della bibbia.  Per rivelarsi  al mondo, egli non ha un solo cammino, ma infiniti, nessuno dei quali è  esclusivo, nessuno dei quali esaurisce l’infinita ricchezza del suo amore. Il Vangelo di Gesù tornerà ad essere per tutti e tutte una buona notizia solo se non pretenderà di essere l’unico messaggero dell’Amore, riconoscendo che Dio è più grande. “Dio è più grande” potrebbe essere uno dei nostri motti macroecumenici.

Da questa nuova prospettiva  sorge in noi il desiderio di esplorare  le altre strade della manifestazione di Dio nel mondo, di contemplare i volti di Dio che non conosciamo, di scoprire altre forme delle Sua presenza amorosa e liberatrice nella storia.

Ci incoraggia in questa nuova ricerca di Dio la parola di Gesù alla samaritana: “Credimi, donna,  giunge l’ora, e  ci troviamo già in essa, in cui voi adorerete il Padre senza dover venire né al al monte Guerizim né andare a Gerusalemme”.  Attualizzando questa parola, diremmo: voi adorerete il Padre senza andare in chiesa, né alla sinagoga né alla moschea.…”Viene l’ora, ed è quella che viviamo, in cui i veri adoratori adoreranno  il Padre in spirito e verità…Dio è Spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità”. (Giov. 4, 21-24)

Così la preoccupazione per l’egemonia  del cristianesimo cederà il passo alla preoccupazione per l’egemonia di Dio: del Dio Amore Liberatore di tutti i nomi.

Giulio Girardi  - Roma

 


 

a proposito di "Storie" (Primo Piano del 26/01/2007)

e di

"Errare humanum, perseverare diabolicum.

Ruini non si pente per Welby, rincara sui Pacs, ignorando le voci contrarie di Martini e dei preti “disobbedenti”, e sentenzia sulla politica governativa interferendo su scelte non di sua competenza". (Attualità del 26/01/2007)

 


Mi trovo sulla home page del sito delle CdB, con due testi su cui riflettere, quello di Primo piano e quello dell’Attualita’.

Entrambi sono attualissimi, uno perche’ le torture nel mondo non sono mai finite, se mai si sono diffuse e raffinate (direi si sono globalizzate, vedi i prigionieri trasportati da una parte all’altra del mondo per essere torturati in “centri specializzati”), l’altro perche’ riguarda temi cosi’ attuali e cosi’ vicini: il caso Welby, i Pacs, l’interferenza del Vaticano, la laicita’.

E sento qualcosa che non quadra, come spesso accade.

Appare che la Chiesa, almeno quella espressa dalla gerarchia, si esprima pubblicamente e con deciso vigore sui temi etici dei comportamenti individuali e sociali, su cui vuole esercitare un potere. E questo provoca fastidio in chi avverte un’ingerenza inopportuna. Spesso si commenta questo dicendo che, piuttosto, “la Chiesa dovrebbe volare alto”.

I grandi problemi mondiali (e la tortura e’ uno di questi), temi trasversali agli Stati, che quindi riguardano tutti gli uomini, nella loro umanita’, sono piuttosto trattati dalla gerarchia ecclesiastica, con parole di “raccomandazione”, “preoccupazione”, “rammarico”. Nulla piu’, almeno pubblicamente. Forse chissa’ la diplomazia vaticana e’ al corrente di tutti i dettagli, molti di piu’ di quelli che conosciamo noi e forse sta agendo nel silenzio, con azioni forti di diplomazia e di politica. Forse cosi’ facendo la Chiesa sta salvando centinaia di vite o sta mitigando migliaia di dolori, anche se non puo’ salvare tutti. Un po’ come e’ successo con gli ebrei protetti e nascosti durante la repressione del nazismo e fascismo, mentre la gerarchia, pur essendo informata, era molto prudente a prendere posizioni pubbliche, per non irritare gli alleati tedeschi. Forse e’ proprio per questo che la Chiesa vuole mantenere e rafforzare il proprio potere politico e morale, per fare del bene, senza troppa pubblicita’, quello che si puo’ fare, senza volere l’impossibile !

E allora cosa e’ che non quadra ?

A ognuno la sua personale risposta.

Per me la questione centrale che non va e’ il potere, quel potere sugli uomini a cui, secondo me, siamo chiamati a rinunciare, per cercare di stare con tutti a partire dagli ultimi, in mezzo a loro, dentro di loro, incarnati in loro, come dice Alex Zanotelli: “…..un'esperienza di missione significa l’INCARNAZIONE, il prendere carne dentro una realtà, assumerla fino in fondo. Sentendo le difficoltà, quello che significa camminare dalla mattina alla sera, quello che significa mangiare quello che mangia la gente; cioè, se non le vivi da dentro, se non le senti sulla tua pelle, non puoi capire nulla della gente. Per cui diventa per me fondamentale questo ‘saltare il muro’, questo immergermi,… meglio…, proprio la parola INCARNARSI, penso che diventa fondamentale.

E Etty Hillesum ha fatto, suo malgrado, questa esperienza drammatica di incarnazione con gli oppressi e li’ ha trovato Dio:

“In me c’è una felicità così perfetta e piena, mio Dio. Probabilmente la definizione migliore sarebbe: “riposare in se stessi”, e forse sarebbe anche la definizione più completa di come io sento la vita: io riposo in me stessa. E questo “me stessa”, la parte più profonda e ricca di me in cui riposo, io la chiamo “Dio”.

Claudio Giambelli - Roma

 

 


 

“Non chi dice Signore Signore ...”

di Marcello Vigli

 


Ho letto Primo Piano e mi e' piaciuto.

Anch'io ero rimasto stupito delle parole di Bruno Forte. Finalmente c'e' una ri-scoperta che "c’è peccato anche fuori della sfera del sesso" ?

Per quello che riguarda l'ultima frase "ma le parole possono diventare pietre se trovano qualcuno che le ri-lancia.", mi verrebbe piuttosto da dire che le parole affermate possono diventare macine per il proprio collo se non si traducono in una prassi concreta. Gli uomini di fede dovrebbero ben saperlo; infatti il punto e': questi teologi /vescovi/papi sono uomini di fede o sono dei politicanti retorici ?

Buona giornata.

Claudio


Caro Marcello il tuo Primo Piano va benissimo, ovviamente. ...

Quanto alla dichiarazione di Bruno Forte, rampollo di una notissima "famiglia cattolica" napoletana, raccontavo stamattina a Maria Teresa... che nel 1955 o '56   l'Ufficio Diocesano Professionisti  della GIAC - te ne ricordi? -   organizzò un corso di teologia per laici al quale invitò come docente mons. D'Agnese - Vicario Generale e Presidente del Tribunale ecclesiastico.

Nella discussione che seguì alla sua lezione Guido Scarlata (un amico che non c'è più e con il quale ho diviso la vita per molti anni)  ed io "ce lo mettemmo sotto", come si dice a Napoli, e lo costringemmo a riconoscere pubblicamente che l'evasione fiscale fosse un peccato grave. I nostri assistenti (Giacomo Nardi  e Filippo De Cicco, ambedue ormai deceduti da anni) erano anche loro d'accordo con noi. Dopo poco - non per questo motivo (ma con l'accusa di deviazionismi dottrinari)  fummo  estromessi dalla Giac insieme a Pasquale Colella. Sono passati dunque cinquant'anni ed ancora fa scalpore che un vescovo/teologo affermi una cosa che già allora era matura  nelle nostre coscienze. Meglio tardi che mai, si potrebbe dire. Ma quando il ritardo è di mezzo secolo io non riesco a non sentirmi afflitto.

Vedo che  la vecchiaia mi sta facendo andare alla ricerca di ricordi lontani oltre che diventare brontolone. Fortunatamente non mi impedisce - come a te e a tanti altri -  di continuare a stare sulla breccia.

Un saluto affettuoso

Nino

 

 


 

...a proposito di

Laicità, fede, religione

 


 

La replica di Tonino Cau a Leo Piacentini e tutti gli interventi precedenti:

 

Caro Leo,

         dialogo volentieri su questo complesso argomento, partendo metodologicamente da posizioni comuni sul concetto di laicità e sulla ideologia religiosa istituzionalizzata.

1- Sospetti che i fondamentalismi e le assolutizzazioni siano frutto di una appartenenza radicata nel LIBRO SACRO (qualunque esso sia) per sua natura immutabile e infallibile,  come anche la recente esperienza delle umane catastrofi da me descritta evidenzierebbero.

         Questa affermazione presuppone che le tre religioni  del Libro siano soggetti a una interpretazione esclusivamente letterale e che l’ispirazione divina del “Testo Sacro” sia “dettata”,-direttamente e materialmente, parola per parola-, da Dio o tramite un suo celeste messaggero all’autore del Libro, il quale autore sarebbe puro e strumentale oggetto fisico di trascrizione, senza alcuna influenza sul Testo.

         Delle 3 religioni del Libro, chi maggiormente si avvicina a questa descrizione è senza dubbio l’islam, anche se, faticosamente e timidamente, si sta facendo strada- per quanto minoritaria-,  una interpretazione del testo coranico e degli hadit che prenda in  considerazione nel determinarne il senso anche contesti storici e culturali del tempo delle origini.

Nelle interpretazioni del 1° e 2° Testamento da parte delle Cdb e del vasto e diversificato mondo “cristiano-progressista” (chiamiamolo così), non esiste un Libro Sacro con gli attributi da te riportati. Per noi, i 2 Testamenti non sono “sacri” e Dio non ha definito letteralmente questi testi. Per noi essi esprimono un lungo e straordinario viaggio di un popolo e di popoli che hanno messo al centro della loro esistenza un Dio storico, compagno di viaggio, anche Lui caricato da quei popoli delle contraddizioni e dalle convinzioni del tempo. Un Dio e un popolo che molto sono mutati nei secoli lunghi del 2° e 1° millennio a.e.v. negli scritti che di loro parlano, sino alla “rivoluzione” dell’ermeneutica contemporanea.

         Un Dio che lungo nel 1° millennio a.e.v. viene, da una parte, scrostato piano piano del carico a Lui imposto dagli “istinti” di identità esclusive e appropriazioni violente identitarie con riti regole istituzioni patriarcali (e non solo) e, dall’altra, la crescita di un Dio nonviolento, il Dio di Gesù di Nazaret: del figlio prodigo, del samaritano, non del merito ma della grazia, non del dogma ma della libertà, non dell’anatema ma del «ama i tuoi nemici e ripaga il male con il bene…». La prima è religione, la 2a è fede,  libertà dall’angoscia e dai sensi di colpa, accoglienza e pace.

         2- Essa (la fede) così concepita non indica soluzioni ai problemi della n/s quotidianità (come spesso fa la religione-istituzione), indica invece orizzonti (l’utopia di Galeano) che impegnano la n/s vita, quelli indicati or ora e definiti precedentemente nella n/s concezione della laicità. La “cosa” in più sta nel fatto che Gesù parla di un Dio che ci accompagna mettendoci come “paletti” proprio questi ideali universali (il regno di Dio) e invitandoci a non barattarli con le intolleranze di ogni genere (infallibilità compresa) proprio in nome di Dio.

         Certo, alle frasi bibliche da me citate se ne possono accostare altre di segno opposto. Ma quelle citate indicano appunto un orizzonte, non un dogma o una ingerenza.

         Alla fine del I° sec. p.e.v. poi, la trasformazione del gioioso annuncio in dottrina aprirà la strada alla dottrinalizzazione del messaggio di Gesù e alla nascita nella comunità di fede  di una autorità gerarchica difensore della dottrina, primo passo verso la religione istituzionalizzata e costantiniana.

         3- Per fortuna, però,  tanto fuori quanto dentro la stessa Istituzione, è viva la fede e la lotta, in vari modi, all’istituzione gerarchica, condensata –dalle stesse cdb- nello slogan: vogliamo non un’altra chiesa, ma una chiesa altra”. Anche se non manca chi afferma che la fede predicata da Gesù è possibile solo con un’altra chiesa. E, a proposito, la mia esperienza porta a sentirmi solidale con belle realtà, critiche (e in parte alternative) verso l’Istituzione ma dentro di essa come, per es., Pax Cristi, Beati Costruttori, la Caritas Nazionale (e non solo) per gli immigrati,  don Ciotti, p. Zanotelli, don Vitaliano e mille altre piccole e diffuse. Del resto, le nostre comunità di base non traggono buon alimento anche da queste realtà?

Come vedi, caro Leo, il problema è molto complesso. Ho cercato di evidenziare qualcosa che possa orientare una qualche risposta aperta, costretto anche a qualche semplificazione di troppo. Mi permetto di suggerire 2 pubblicazioni che danno spazio a queste tematiche: di Ortensio da Spinetoli il Commento al Catechismo della Chiesa Cattolica (Paideia, Brescia), assolutamente prezioso, e il  libretto –30 pagine- della cdb di S. Paolo/Roma (Se una Chiesa testimonia la risurrezione di Gesù), che parla della risurrezione di Gesù in modo così laico e carico di fede, così scientifico eppure così coinvolgente, così aperto alla relazione accogliente con tutti gli uomini e le donne, da suggerirlo caldamente a tutte le cdb italiane come testo di discussione nelle riunioni comunitarie.

Un abbraccio affettuoso e a te e alla tua bella comunità, con l’augurio di poterci vedere a Frascati.

                  Tonino Cau

della CdB di Olbia


 

L'intervento di Leo Piacentini:

 

Caro Tonino,

 ho letto con interesse il tuo In primo piano di questa settimana. Sono totalmente d’accordo che è l’ideologia religiosa istituzionalizzata che schiera le sue truppe per difendere la propria  unica ed infallibile identità e che è da qui che nascono i fondamentalismi ecc.

 Concordo pienamente con te anche sul fatto che è la laicità fondata sulla relazione, il dialogo e la commistione delle diversità che deve essere alla base della convivenza tra gli esseri umani.

 Mi riesce invece difficile capire come questa visione delle cose possa trovare una sponda o addirittura un fondamento “nelle Scritture”. E mi spiego. Le catastrofi umane di cui parli all’inizio del tuo scritto hanno per direttori di orchestra tutti personaggi che appartengono alle “religioni del libro”. Io ho il sospetto che il fondamentalismo e le relative assolutizzazioni nascano proprio dal mettere a fondamento della propria vita e della propria fede (che, tra parentesi, non so bene cosa sia, ma questo è un difetto mio!) IL LIBRO, Bibbia o Corano che sia. Il libro è come le tavole della legge: scolpito una volta per tutte, immutabile, contenente tutta la verità per i secoli dei secoli, il codice unico del bene e del male, la parola di un Dio legislatore universale infallibile. Insomma il contrario della laicità come l’hai bene delineata nel tuo pezzo e la pietra d’angolo del fondamentalismo.

 Io non citerò frasi e fatti della Bibbia ebraica e cristiana che contraddicono quanto dicono le frasi che citi tu, perché le conosci benissimo. Ho solo voluto farti partecipe di un mio malessere in una certa, a mio avviso, sopravvalutazione dei libri sacri. Ma mi sento in comunione con te e con tutte le compagne ed i compagni di viaggio nel cercare di vivere con cuore aperto e conviviale l’impegno quotidiano per un mondo diverso.

 Un cordialissimo saluto,

Leo Piacentini,     della C.d.B. “Luogo Pio” di Livorno

 


Cristiani di base: pochi e pure divisi?


11) Chiesa “altra” o un’altra cosa?

Il dibattito in corso sul sito mi sollecita una riflessione su queste “divisioni” che percorrono le pur esigue schiere dei cristiani di base “militanti” (perché di quanti siano coloro che da isolati vivano in coscienza la propria fede cristiana in modo libero e liberato non è dato sapere, ma da qualche parte saranno pur finite le migliaia di amici e amiche che ci seguivano negli anni passati).

La diversità è stata sempre interpretata, e molti intervenuti lo ricordano, come un motivo di ricchezza nelle comunità cristiane di base; diversità che si sono da sempre riconosciute e riscontrate tra comunità e che percorrono spesso trasversalmente anche ogni singola comunità.

Tra le tante differenze che si potrebbero citare in questo dibattito mi interessa evidenziare quella che, per categorie grossolane, si potrebbe definire con il titolo (redazionale) del Primo Piano di Leo Piacentini apparso mesi fa sul sito: “Altra chiesa, chiesa altra o un’altra cosa”.

Dando per scontato che nessuno nelle CdB abbia mai avuto intenzione di fondare un’altra chiesa, ce ne sono fin troppe, mi risulta invece sempre più evidente che, anche nella comunità cui appartengo, esista chi sia ancora fortemente motivato nel perseguire la strada di volere una chiesa “altra”, ossia diversa da come quella cattolica romana istituzionale da cui proveniamo si è andata conformando, e chi sia un po’ più orientato verso “un’altra cosa”, una realtà cioè non istituzionale, o che quantomeno tenda a prescindere da ogni legame con la chiesa cattolica. (Ma perché regalare la chiesa cattolica al papa e alla curia vaticana? Come disse una volta uno di noi a questo proposito).

Personalmente credo che non sia bene perdere questo riferimento e che si debbano ancora rivolgere segnali di attenzione e di disponibilità al confronto ed al dialogo verso i tanti che nella chiesa cattolica si riconoscono, (come ritengo siano, ad esempio, il recente documento della CdB di san Paolo in vista del convegno ecclesiale italiano di Verona, o la lettera della CdB del Cassano al nuovo vescovo di Napoli).

È anche esperienza di molti di noi quella di incontrare persone che hanno ancora un ruolo riconosciuto, anche se spesso emarginato, nella chiesa e che ci sono vicine e condividono con noi speranze e battaglie, anzi spesso, sul versante politico, meno forse su quello ecclesiale, si battono con anche maggiore determinazione di noi. Ho sempre apprezzato il reciproco riconoscimento con queste persone.

Credo quindi che senza far perdere alle CdB la dimensione “più ecumenica, più laica e conviviale” cui aspira Beppe, sia importante tuttavia non perdere il riferimento alle nostre origini e continuare a camminare “per fare altra la propria chiesa”. Non trovo infatti interessante una soluzione individuale al problema, la soluzione “politica” credo sia aspirare a uscirne tutte e tutti insieme.

Stefano Toppi

 della CdB di San Paolo di Roma


10) Crearsi un proprio ambito...   (Primo Piano del 14/7/2006)

Sono Carlo Rubini, un vecchio amico delle Comunità di Base, che considero compagne di strada nella fase della mia formazione etica e politica soprattutto nei miei anni '70. Ne ho preso un po' le distanze, già da molto tempo direi, anche perchè mi pareva che non riuscivano a dare le risposte alle domande che finalmente, come nell'articolo di Anna Cavallaro, vengono riproposte.

Resto convinto che la Chiesa Cattolica Romana abbia da sempre fornito una sua interpretazione del Vangelo e della Bibbia, e che tuttavia molte altre ve ne siano state e ve ne possano essere ancora e che ciascuna per esprimersi liberamente debba farlo prescindendo dalla Chiesa Cattolica medesima.

Non necessariamente in modo alternativo ad essa, ma più semplicemente aggiungendo una voce e una esperienza ad altre voci e ad altre interpretazioni. In una sfera totalmente gratuita come quella della fede l'essere alternativi non avrebbe senso. Ognuno in fondo in questo campo dovrebbe essere libero di dire, esprimere e manifestare quello che più ritiene giusto nei modi e nelle forme che più gli si addicono, senza chiedere il permesso. Se altre esperienze vogliono fare diversamente, lo facciano, qui lo spazio dovrebbe essere veramente illimitato.

In definitiva il principio di laicità per cui tutti si possono esprimere senza privilegi e senza preclusioni dovrebbe valere anche in questo caso. O no?

Se invece prevale la logica istituzionale tutto è più contradditorio. Per esempio il doversi sempre riferire all'istituzione, seppure per contestarla, finisce poi per legittimarla e per giustificare storicamente la sua presenza e il suo ruolo. Inoltre il contestare l'istituzione per proporre internamente un altro punto di vista , si muove nella logica delle guerre di religione, mentre i punti di vista e le interpretazioni sono liberi.

Quando, per esempio i vescovi intervengono sui temi etici nei modi e con i contenuti che conosciamo, siccome parlano a chi li vuole ascoltare, chi ha una propria comunità cristiana esterna ad essi, non dovrebbe minimalmente sentirsi coinvolto . Risponderà loro da libero cittadino, qualora, come fanno sovente, travalichino i limiti di una opinione e tentino di imporsi. Ma questo è normale. Tutti devono intervenire nel dibattito politico e dare giudizi di tipo politico e se la Chiesa cattolica politicamente è un avversario, politicamente la si combatte. Ma altra cosa è starci dentro, quando le visioni del mondo sono così diverse. In ogni caso anche standoci fuori, non è come " altra " chiesa che la si deve combattere.

Il privilegio che la Chiesa Cattolica gode con il Concordato va, per esempio, combattuto politicamente perchè è un privilegio a prescindere dai contenuti che essa esprime attraverso di esso. Il privilegio andrebbe combattuto anche se i contenuti ci andassero bene. Ma, ripeto, la mia , la nostra, dovrebbe essere una battaglia politica fatta da cittadini italiani laici, senza etichette ecclesiali, perchè le Chiese dovrebbero occuparsi di altre cose.

D'altra parte la Chiesa Cattolica è per sua natura antidemocratica e verticistica. Scelta sua. La Chiesa Cattolica non è lo Stato che nei tempi moderni e comunque in Italia deve costituzionalmente essere democratico. La democrazia negli ambiti non pubblici non è un obbligo, ognuno dovrebbe regolarsi come gli pare, nel suo ambito. Noi possiamo ben dire che l'autoritarismo e il verticismo contraddice il Vangelo di Gesù, ma questo è un problema loro.

Chi non si riconosce in questo metodo antidemocratico e verticistico e vuole una Chiesa basata sulla condivisione dovrebbe trarne le conseguenze e crearsi un ambito proprio per essere perfettamente a suo agio, naturalmente con una propria dialettica interna imprescindibile, come abbiamo visto che accade nelle comunità protestanti e in quelle ebraiche.

Anche l'Ecumenismo dovrebbe riflettere su questi aspetti, perchè da quando esiste coltiva il mito dell'unità. Insisto: nell'ambito della fede non si dovrebbe inseguire l'obiettivo che invece a livello mondiale inseguiamo come addirittura necessario, cioè il governo mondiale. Se la fede vive della sua gratuità e si riferisce comunque a qualcosa che non esiste storicamente e materialmente, che senso ha inseguire l'unità , che significa poi anche unità interpretativa? Non è più ricco e fecondo che ciascuno o ciascuna comunità faccia esperienze diverse e autonome , visto che non ci sono obiettivi storici da raggiungere, ma professare un credo su qualcosa che trascende l'esperienza terrena?

Mi rendo conto che poi ci sono le ricadute etiche del professare e qui il dialogo interreligioso ha forse qualcosa da dire, ma è un dialogo sempre possibile da uomini liberi a uomini liberi, in cui si confrontano i punti di vista etici, senza entrare nel merito dei propri presupposti di fede.

Carlo Rubini

Direttore responsabile della rivista trimestrale Esodo , Venezia


9) Chiesa altra o altra chiesa?       (Primo Piano del 7/7/2006)

Chiesa altra o altra chiesa? Inserendomi nel dibattito mi accorgo subito che il quesito mi sta stretto. E capisco il perché. Mi sta stretto che l’alternativa proposta sia circoscritta solo al modo di essere chiesa, termine che, evidentemente per mia formazione ed esperienza, mi riporta ad un luogo, reale e metaforico, chiuso e rigido. Mi chiedo se da subito non si possa ampliare il dilemma inserendo altre possibilità e guardando più in là ad una strada diversa che prescinda dal riferimento all’istituzione e che potrebbe forse essere più affine alla natura originaria delle comunità di base.

Esse sono sorte come spazio di libertà, espressione di una coscienza critica entrata in collisione con la rigidità dell’istituzione che ha spesso imbrigliato la dinamicità e la fecondità innovativa delle istanze della base. Come abbiamo detto più volte nel corso di confronti e riflessioni dei gruppi, la fede è esperienza fondante che non si lascia circoscrivere e di essa dobbiamo accettare la forza e pure le contraddizioni. Abbiamo osservato come la comunicazione  e la condivisione della fede sia il dato essenziale da cui deriva il valore di essere comunità.

Certo non mi nascondo che la libertà da ogni riferimento istituzionale potrebbe comportare rischi di frammentazione, di isolamento, la perdita di punti stabili di riferimento e la conseguente deriva. Ma questa potrebbe essere la sfida che le comunità di base dovranno affrontare in futuro. Ritengo che, per trovare ancora il senso del nostro percorso, sarà essenziale salvaguardare ancora gli spazi di libertà necessari allo sviluppo di una coscienza critica e tutelare il pluralismo, che tenga conto di posizioni differenti, frutto di percorsi differenti, in modo che ognuno senta riconosciuta la propria specificità senza che questa si scontri con la sua appartenenza.

Sono doni preziosi che hanno segnato il cammino delle Comunità di base e che forse ci indicano per il nostro futuro una strada difficile che non garantisce sicurezze ma ci permette di continuare in modo proficuo la nostra ricerca.

Anna Cavallaro

       della CdB di San Paolo di Roma

 


Altre due risposte, oltre a quella di Carlo Rubini pubblicata in Primo Piano, all'intervento di Anna Cavallaro

(NdR: ma questi della CdB di San Paolo non potrebbero parlarsi di più fra di loro?)


8) Scrive Nino Lisi:

Cara Anna,

la tua musica mi piace. Suona bene. Libertà e pienezza di vita, ricerca e responsabilità, confronto e condivisione sono il pentagramma sul quale hai scritto le tue note.  

Ora provo a fare un contrappunto. Il pentagramma credo sia proprio lo stesso.

Chi dice di non volere fare un'altra chiesa esclude appunto di replicare un'istituzione. Quando auspica una "chiesa altra"  esprime però la speranza  che sia possibile estendere la nostra presenza e la nostra prassi, non per amore della "istituzione" (chiesa cattolica, evangelica, metodista o che so io), ma per amore di chi subisce il peso delle istituzioni e, non riuscendo a liberarsene, invece di libertà, responsabilità, ricerca, condivisione trova subalternità, condanne, superstizioni, un annuncio di fede distorto. Pensa  alla sofferenza degli omosessuali, dei  divorziati, etc. credenti, che non hanno fatto un percorso di liberazione dalla istituzione. Pensa all'angoscia di chi ritiene di vivere perennemente in peccato.  E l'intera società non si avvantaggerebbe delle deistituzionalizzazioni delle chiese? Ma te l'immagini, ad esempio,  se non ci fosse la conferenza episcopale e Ruini annunciasse la libertà dei figli e delle figlie di Dio, invece che indire crociate contro la ricerca sulle cellule staminali e il cardinale di Bologna non tuonasse contro la manifestazione gay?

Utopia? Illusione?

Certo. Ma utopie e miti non sono tra i motori della storia?

A volte anche le utopie possono provocare danni, è vero,  (l'esperienza del comunismo realizzato insegni), ma questo fa parte dei rischi della vita. Che bisogna pur correre. Altrimenti si sfuggirebbe alla vita.

Che dici?

Nino  (Comunità di base - S. Paolo)


7) Scrive Mario Campli:

Cara Anna, tutto giusto quello che scrivi; ma… Ma attenzione alla magia delle parole!! Di “prezioso” c’è solo Lui. Gesù di Nazareth.  E “ dove due o più sono riuniti nel mio nome, Io sono in mezzo a loro”. Sta lì il fondamento delle Cdb. I nostri percorsi, le nostre specificità: sono il e i modi – tra i tanti possibili – di stare insieme nel suo nome (l’essere convocati da Lui). Per questo noi siamo  affezionate/i alle nostre specifiche strade, quanto altre sorelle e altri fratelli – “riunite e riuniti nel suo nome”- sono affezionate/i alle loro. La ecclesìa vasta, penso stia in questo convincimento esistenziale  che se si rompe qualcosa, tutte e tutti siamo più povere/i. Questa consapevolezza non ci frena ma certamente ci ri-dimensiona. Continuamente ed incessantemente. E, perciò,  ci fa bene. E’ questa “rete” –voluta non da qualche illuminato politico o filosofo o da qualche generoso rivoluzionario (forse neppure esplicitamente da Gesù stesso) ma da migliaia di sorelle e fratelli che nel tempo si “sono riunite/i nel suo nome” - che consente a te, a me, a Paolo di Tarso, a Tommaso detto didimo, a Pietro,  alla comunità di base in Gerusalemme (di quei tempi!!), alla Cdb di Efeso, di Corinto, di Tessalonica,  di non essere auto-referenti, ma  parte di una “convocazione” più ampia e che dura nel tempo .  Queste consapevolezze non indeboliscono per nulla la forza e il dinamismo delle nostre testimonianze (anche di quelle che noi a volte con ridondanza chiamiamo battaglie); al contrario: siccome conveniamo nelle nostre specifiche Cdb  mai  ad escludendum ma sempre ad includendum ( e in questo consiste  il servizio della carità nella ecclesìa, anche quando Paolo resiste a Pietro e gli dice apertamente e dinanzi alla comunità: tu stai sbagliando!),  ci assumiamo anche il rischio di alzare la voce quando le nostre coscienze ce lo richiedono.

Ciao

Mario Campli ; Comunità di base - S. Paolo.


6) Contributo al dibattito     di Antonio Guagliumi 

Il dibattito in corso sul sito delle Cdb e che si svolge sostanzialmente attorno alle domande : "Chi siamo?" e "Che ci stiamo a fare?" mi pare molto importante e vorrei tentare anch'io di dare un contributo.

La prima delle due domande esige innanzitutto una risposta storica (che è stata data di recente da diverse comunità in particolare nelle ricorrenze trentennali della loro nascita, e a tali narrazioni non si può che rinviare) e una, se così vogliamo dire, "teologica", più difficile perché comporta problematici interrogativi sul significato attuale del chiamarci "cristiani", sul significato del "trascendente", ecc. Anche su questo aspetto non credo sia il caso qui di soffermarmi, ma mi permetto di rinviare alla scheda elaborata in merito dal gruppo biblico della comunità di S. Paolo del quale faccio parte e che è anch'essa sul sito.

Sulla seconda domanda, invece, vorrei, naturalmente a titolo personale e sulla base della mia esperienza, dire qualcosa. Che ci sta a fare oggi la comunità di S . Paolo? Non è certo per proporre un modello se cerco di guardare con un po' di distacco la nostra comunità e di delinearne un sommario profilo, ma proprio per sottolineare quanto le circostanze storiche, ambientali, sociali, ecc. influiscono, pur partendo da una matrice comune, sul divenire di ogni singola comunità e quanto sia importante conoscerci reciprocamente. Il nostro cammino, come tutti sanno e come è accaduto per molte altre comunità, è segnato all'inizio da una forte discontinuità rispetto al contesto istituzionale dal quale proveniamo; una volta raggiunto il "deserto", trovandoci cioè privi dei "servizi" che la Chiesa istituzionale attraverso le parrocchie normalmente elargisce già confezionati ai suoi fedeli (verrebbe da dire "clienti") ci siamo dovuti reinventare o reinterpretare gradualmente ma profondamente, con un approccio nuovo delle Scritture e con uno sguardo alla storia e alle nuove esigenze concrete, il nostro stare insieme, i gesti e le parole delle nostre liturgie e il loro collegamento con la prassi conseguente. Ci siamo così accorti, (ovviamente diremmo oggi, ma allora l'interpretazione in tal senso di Mt. 7,21 e sgg. e 25,31sgg. non era così scontata) che la prassi è essenziale, e che in una corretta prassi di solidarietà e condivisione si annulla ogni differenza  tra credenti e non credenti, che non ha alcun senso dirsi o sentirsi dire che si è "dentro" o "fuori" da una Chiesa, come non ha senso "convertirsi" da una religione ad un'altra.

E  allora, se questo è vero, perché nella nostra comunità continuiamo a leggere la Bibbia, a celebrare l'eucarestia tutti insieme, d'accordo, ma prendendo spesso, come traccia della liturgia, i "foglietti" che circolano nelle parrocchie?  Perché abbiamo cura che nelle nostre preghiere eucaristiche siano presenti di norma le parole di Gesù sul pane e sul vino, che ci sia l'invocazione allo Spirito, ecc? Perché continuiamo a rivolgerci a Dio, attraverso Cristo, in preghiera? Non basterebbe "dar da mangiare agli affamati, da bere agli assetati, ecc." e naturalmente batterci per la pace, contro la globalizzazione selvaggia, ecc? Non è tutto il resto un lusso, un retaggio di tempi andati, una pericolosa occasione di ricadute nell'oscurantismo ecclesiastico?

Ebbene, io penso non solo che dopo sei giorni (biblici) di lavoro sia giusto dedicarne uno per ascoltare di nuovo le parole di Gesù sul pane e sul vino, cioè sulla nostra vita, ma direi che anche questo "sabato è per l'uomo." Mi pare infatti che una corretta prassi di solidarietà e di condivisione imponga alla nostra comunità di farsi carico di un impegno "religioso" che nella situazione attuale del nostro paese e della nostra città in particolare ha una forte valenza di liberazione e quindi un forte connotato "civile": offrire, oltre che a  noi stessi,  a tutti coloro - e sono molti - che per le vie più diverse e insperate vengono in contatto con noi e ne sono alla ricerca, un luogo dove vivere o rivivere in modo diverso la propria fede: insomma dare una testimonianza che la "Chiesa" può essere "altra". Il che non impedisce a nessuno di continuare o incrementare il proprio impegno nei partiti, nelle associazioni, nei sindacati e in tutti i luoghi o le occasione dove non ha alcun senso declinare la propria fede. Ma per far questo dobbiamo essere riconoscibili come "comunità di fede", senza nulla rinunciare della sostanza del nostro cammino, di fronte a persone che provengono da antiche o recenti esperienze parrocchiali e non hanno avuto la ventura di fare almeno un tratto di strada con noi.

(Antonio Guagliumi, della Comunità di S. Paolo in Roma).


5) Ci scrive... Andrea Babini

... scrivo da Forlì, dove purtroppo non esiste una CdB (forse un giorno...), ma vi seguo da vicino.
Poche cose, non mie, ma condivise a fondo.
Penso che la fatica dell'essere cristiani, e a maggior ragione "di base" sia quella di essere come il chicco di grano, che porta frutto solo se muore a se stesso, o come il sale, indispensabile al sapore, ma solo scomparendo, trasformandosi...
Mounier chiude l'introduzione a "Che cos'è il personalismo" con queste parole (non esatte, ma il significato è lo stesso): "Vorrei che fra cent'anni nessuno parlasse più di personalismo, perché questo significherebbe che esso non ha un valore in sé, ma in ciò che fa crescere nella persona".
Ciò che è stato detto finora negli altri interventi è interessantissimo, grazie.
Per chi volesse, anche io ho scritto qualche cosa a proposito di Babele e Pentecoste: lo trovate nel sito delle rivista "Il dialogo", al link "lettere".
Grazie ancora per ciò che fate.
 


4) Chiesa altra o altra chiesa...?

L'intervento di Nino Lisi mi stimola a proseguire il confronto; spero di non dar fastidio... Ma è da tempo che desidero suggerire una mia riflessione su questo dilemma che ci accompagna dall'inizio: fare un'altra chiesa o fare altra la chiesa? Spesso torna anche nella nostra comunità e sempre resta lì: più che una domanda, in realtà, è un'affermazione, sospesa alle parole di chi l'ha pronunciata, senza che nessuno e nessuna mai pensi di discuterne. E dedicandoci a "far altra la chiesa" continuiamo a lasciar credere che le comunità di base restino interne alla chiesa cattolica, dove sono nate... perché in Italia "chiesa" significa "chiesa cattolica", senza alcun dubbio.
E in molti e molte lo pensano, com'è legittimo che sia. Io non più, da molti anni, e mi sta a cuore raccontarlo, ogni tanto.
Gesù era ebreo e da ebreo è vissuto ed è morto. Lui sì, cercava di predicare una chiesa/religione "altra". I suoi discepoli, a poco a poco, hanno fatto un'altra chiesa, quando il conflitto con la sinagoga si è rivelato insanabile. Mi sembrano processi storici, entrambi giustificati e legittimi, con tutte le varianti che ne sono nate nei secoli... In questo senso la chiesa cristiana non è la chiesa di Gesù, tanto meno quella cattolica. E c'è spazio sia per chi vuol fare altra la propria chiesa sia per chi vuol fare un'altra chiesa...
Per me "chiesa" è il creato, non una singola tradizione religiosa.
Non esistono popoli "eletti" da Dio, ma solo da se stessi... Su questi sentieri credo che le comunità di base si potrebbero riconoscere sempre più "ecumeniche", più laiche, più conviviali.

                  Beppe Pavan
 


3) Babele e Pentecoste  (Primo Piano del 1/6/2006)

Enzo Monsu con il Primo Piano di due settimane fa, (Cristiani di Base pochi e pure divisi) ha sollevato il dilemma nel quale chi è in ricerca si imbatte di frequente ed ha chiesto un confronto. Beppe Pavan ha offerto la scorsa settimana una riflessione che condivido e sulla cui linea provo ad offrire un contributo anche io.

Che fare: rinchiudersi nella propria diversità, timorosi e/o sprezzanti di quelle altrui, partecipare al bailamme della Torre di Babele dove le diversità sono barriera al dialogo, dove si parla, ma ognuno per sé senza porsi in ascolto e non curando né di capire né di farsi capire; oppure aprirsi. dialogare, comunicare: ascoltare e chiedere ascolto, sentire per capire, parlare per farsi capire?

Subito dopo la morte di Gesù, apostoli e discepoli scelsero il primo corno del dilemma: “se ne stavano con le porte chiuse per paura”. Ma Gesù violò le chiusure, donò loro lo Spirito e li mandò per le vie del mondo. (G. 20, 19-21). Poi, a Pentecoste, lo Spirito, calò sulle folle: ognuno sentì nella propria lingua quello che gli altri dicevano nella propria. Le diversità non erano scomparse, provenienze ed appartenenze restavano le più varie; ciascuno parlava la propria lingua non quella d’altri; ma gli altri li sentivano come se parlassero nella loro. (atti 2, 5-12). Le diversità erano tutte rimaste ma non erano più d’ostacolo, non facevano barriera. La paura era caduta

Certo ogni volta che un’occasione si presenta il dilemma si ripropone, e va affrontato con ponderazione. Ma in via di principio le CdB la scelta l’hanno fatta all’inizio, quando non si puntò a fare un’altra Chiesa, ma si decise di impegnarsi per una Chiesa altra. Che non significa lasciarsi coinvolgere dalle e nelle istituzioni, tampoco inseguirle e farsi omologare, ma al contrario custodire e sviluppare la propria identità per offrirsi con essa al confronto con gli altri e le altre sulla base della propria esperienza di fede, tutte le volte che ve ne sia l’occasione. Sapendo che il confronto è alla pari, sommesso e privo di sicumera, o non è; che in ogni dialogo si può scoprire che anche nelle tesi più lontane può trovarsi un briciolo di verità con cui arricchire quel che in un dato momento costituisce l’approdo della nostra ricerca esperienzale. Sapendo che i convincimenti di oggi potranno essere oggetto di dubbio domani e che è “lo Spirito della verità” a guidare “verso tutta la verità” (Giovani 16, 13) in un percorso assai lungo.

Il dilemma di Enzo cade a proposito: tra una settimana è Pentecoste.

                 Nino Lisi

della CdB di San Paolo - Roma
 



  2) Cristiani di base: pochi e pure divisi? 
(Primo Piano del 26/5/2006)


La risposta di Peppe Pavan, della CdB di Pinerolo, alla richiesta di proposte di Enzo Monsu del Gruppo Cristiano di Base di Ancona.

Caro Enzo, io penso che la convivialità delle differenze ci chieda di cooperare con ogni gruppo e ogni persona sinceramente disponibile a camminare sui sentieri del cambiamento e dell'amore, ma riconoscendo e rispettando le, appunto, differenze. Non per amore di visibilità, ma per non correre il rischio dell'omologazione. Non con spirito di superiorità, ma per rispetto delle rispettive identità: le differenze non mancano certo anche all'interno delle singole comunità e dei singoli gruppi; annullarle è un'operazione di potere: le persone sono diverse e al centro non dobbiamo mai mettere un'istituzione. Anzi, al centro non ci deve proprio stare niente e nessuno: tutti e tutte in cerchio, guardandoci negli occhi e riconoscendoci uguali nelle rispettive differenze. E cooperando, sempre e dovunque sia possibile e scegliamo di farlo.
 


1) Cristiani di base: pochi e pure divisi               (Primo Piano del 19/5/2006)

Ordinaria quotidianità di cristiani di base, in presa diretta: impegnati tra professione e solidarietà con le fasce sociali marginali e poi –settimanalmente, periodicamente- raccolti in comunità intorno alla Parola di Dio, confrontata con i vissuti dei 10-20- amici che costituiscono il nostro gruppo... col ricambio che deriva dal fatto che facciamo così da 20-30 anni, sostanzialmente dal post Concilio, che ci aveva convocato come laici cristiani al protagonismo dentro il Popolo di Dio per costruire la Chiesa, comunità dei fedeli. Ma pian piano, mentre si ricostituiva la Chiesa come Istituzione forte, per i fedeli, molti di noi si sono sentiti in disagio, finanche estranei dentro la nostra stessa Chiesa..., ma pure più liberi fuori che dentro.

Poi –e passiamo dalla storia alla cronaca recente- arriva nel quartiere un parroco che, per la prima volta da decenni, si accorge che esistiamo, ci chiede di entrare a far parte del Consiglio Pastorale Parrocchiale in nome del pluralismo dentro la Chiesa.

Le opinioni al nostro interno divergono: da una parte prevale la diffidenza verso l’istituzione ecclesiastica che, comunque, gestisce il sacro consolatorio ed è perciò ostacolo alla fede..., dall’altra si vede la possibilità e il dovere di collaborare con una parrocchia che (e finché) si sente più comunità di persone che ufficio periferico dell’istituzione, che privilegia la fraternità in nome di ciò che unisce, che riconosce legittimità a modi diversi di vivere la fede... E sullo sfondo c’è tutto un quartiere, verso il quale l’intero gruppo si sente responsabile; per tutti noi la fede in Cristo è appello a darsi da fare per allargare gli orizzonti della speranza: ma questo obiettivo si serve meglio operando nel sociale come gruppo cristiano di base per una chiesa “altra”... o invece si può e si deve rinunciare alla visibilità come gruppo scommettendo sulla possibilità di creare fronti condivisi di emancipazione dall’interno di tutta la parrocchia?

Che fare, oltre a continuare l’esperienza comunitaria di base? Proposte cercasi.

            Enzo Monsu

Gruppo Cristiano di Base di ANCONA


 


Chi vuole inviare un commento sul Primo Piano pubblicato può inviarlo qui al sito delle CdB


NOTA:

Ricordiamo che questi interventi rappresentano “punti di vista” non necessariamente della comunità di appartenenza di chi scrive, tanto meno del movimento delle CdB, ma punti di vista personali dall’interno delle comunità su argomenti di attualità che ciascuna/o ritenga di dover proporre in primo piano come oggetto di riflessione.

I corsivi delle settimane precedenti sono reperibili in Archivio di "In Primo Piano"