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Giancarla Codrignani

Le donne sono le responsabili della maternità e se ne fanno carico con piena coscienza

Il paese delle donne on line  9 gennaio 2008

 

Il Vaticano intende condizionare tutti i mediatori disposti alla sana laicità della religione

 

Non si prevedeva che, dietro il giochino di Giuliano Ferrara della moratoria per l’aborto, ci fosse una così subdola congiura. Erano già pronti il cardinal Ruini, la senatrice Binetti, perfino Sandro Bondi con una mozione profetica depositata da tre mesi in Parlamento.

Il seguito di teodem veri e falsi è stato addirittura convalidato dal cardinal Bagnasco e dallo stesso Benedetto XVI.

Una chiesa che ha accolto senza batter ciglio al Family day i conviventi, sia praticanti, sia atei-devoti, e che ha conferito un titolo ecclesiastico al pluridivorziato Sarkozy, evidentemente ritorna a discutere sull’aborto solo per contrastare il governo Prodi e (meno) disturbare le lezioni spagnole.

L’affermazione del presidente della Cei che il PD potrà far rimpiangere Togliatti, ha fatto capire che il Vaticano intende condizionare tutti i mediatori disposti alla "sana" laicità della religione.

Come donne, pur preoccupate per i destini del governo, ci occupiamo di questa contingenza dal punto di vista della nostra pratica politica.

Sarà bene dire esplicitamente che, se le donne avessero davvero parte nel potere reale, l’aborto finirebbe presto e forse non ci sarebbe mai stato.

Perché la donna che ricorre all’interruzione di gravidanza è una donna che non voleva restare incinta. Infatti, neppure un masochista pazzo chiederebbe volontariamente di andare sotto i ferri.

Se gli uomini avessero avuto a cuore - anche nell’interesse del proprio eros - relazioni civili con le donne, non si sarebbero limitati a rapporti sessuali egoistici; ancora oggi non si informano se la partner è disposta alla maternità o desidera essere cautelata. Nei secoli passati l’ignoranza comportava ruoli indiscussi e per legge esisteva la figura - che ripetiamo con orrore retrospettivo - del debito coniugale.

La chiesa - ma potremmo dire le religioni in genere - rimane fissa al principio della riproduzione (anche se la Bibbia distingue l’essere umano dagli animali) e al remedium concupiscentiae, espressione orrenda che contamina la sacralità del matrimonio.

Neppure i papi devoti alla Madonna hanno mai pensato che la figura di Maria è così alta perché ha liberamente acconsentito alla maternità divina: il Signore, evidentemente un gentiluomo, le ha inviato un angelo non per informarla di un fatto, ma a chiederle il consenso.

I clericali perseverano tutti, a danno dei valori umani, nell’omertà con il privilegio maschile e parlano dell’aborto come di un peccato che non li riguarda e che induce permissivismo morale.

Le donne sono le responsabili della maternità e se ne fanno carico con piena coscienza: sanno benissimo che nel loro grembo si sviluppa una vita e vorrebbero sentirla con la gioia di una scelta voluta, non con lo sgomento conseguente ad una violenza.

L’indulgenza fin qui praticata anche dalle donne verso le "debolezze" maschili, sia la colpevolizzazione sociale che esclude uno dei due protagonisti del rapporto sessuale e dà priorità di diritti all’embrione rispetto alla madre, hanno fin qui permesso che solo le donne si siano fatte carico "fin dall’inizio del concepimento" della responsabilità genitoriale.

E’ per dignità che hanno accettato di definire l’aborto una "piaga sociale" e di chiedere per legge l’autonomia nella decisione tragica. Gli uomini, in gran parte, accettano di farsi da parte, senza tuttavia (anche i più clericali) sentirsi responsabili. Se politici (anche i religiosi lo sono), esercitano ipocritamente il loro tradizionale potere.

I maschi non osano più dirlo allo stesso modo di un tempo, ma restano convinti di possedere pulsioni sessuali più esigenti che li autorizzano ad avere dei diritti sul corpo delle donne, anche le più amate.

Una relazione condivisa nella passione e non nelle conseguenze, non può più essere giustificata: l’uomo non può accettare (e spesso suggerire) l’aborto e, in politica o in chiesa, impugnare la spada dell’ipocrisia colpevolizzando la donna e fingendo di ignorare la propria responsabilità.

Lo spettacolino mediatico di Ferrara ha risvegliato l’incubo della revisione della 194, perennemente ripetitivo: ricordate il dolente mea culpa di Amato svariati anni fa?

Oggi tutti i partiti hanno recepito l’impopolarità di interventi in questo campo, ma l’insidia è più sottile.

La nuova strategia, infatti, non colpisce direttamente la 194, bensì - a prescindere dalle osservazioni sull’aborto dopo la 22/a settimana riferibili solo a casi di pericolo per la salute della donna della cui vita vorremmo non si perdesse la priorità - propone la revisione delle "linee-guida" della legge per rafforzare l’impegno a difendere la libertà dall’aborto. Il digiunatore ha addirittura proposto a Veltroni di porre il rispetto della vita all’ordine del giorno della Commissione-Valori per lo statuto del Pd.

Il nuovo partito e, nel suo complesso, la coalizione del centro-sinistra hanno sostenuto la presenza paritaria delle donne negli organismi politici.

Tuttavia, siccome è donna anche la Binetti, e non mancano compagni sensibili all’ubbidienza cattolica, è meglio ridare visibilità alla nostra parità "di genere" con tutti gli interventi pubblici possibili, come donne che reclamano la propria dignità e la propria libertà.

L’autodeterminazione in materia di interruzione della gravidanza è stata sostenuta anche perché l’aborto non resti una piaga sociale per sempre e la validità dell’impegno è stata confermata dalla diminuzione costante degli aborti, oggi ancora una volta in crescita soprattutto per l’alto numero di straniere che vi fanno ricorso.

Per questo tutti coloro che credono nel "rispetto per la vita" dovrebbero darsi una regolata pensando ai milioni di donne che nel Sud del mondo e in tutte le aree di povertà prive di assistenza sanitaria pubblica, abortiscono (e muoiono) nel silenzio, nella vergogna, nella perdita di sé.

La clandestinità è stata ben conosciuta anche nel nostro paese e non vorremmo vederla riprodursi in condizioni di maggior benessere. E’attuale il dibattito sulla violenza contro le donne e non pochi uomini sono intervenuti per condannare la cultura del proprio genere. Le donne, infatti, non solo nel nostro paese, trovano nella violenza maschile la prima causa di morte per mano di assassini che non sono estranei, ma quasi sempre uomini della loro vita.

Questo genere di violenza abita endemicamente la famiglia, non si limita al maltrattamento e coinvolge, perfino nella pedofilia, i figli.

Uomini amici delle donne, fate un poco di quell’autocoscienza che la vostra storia non vi ha insegnato e aiutate i vostri simili, soprattutto i politici sensibili ai ricatti dei poteri forti, a capire che la questione non riguarda azioni positive da erogare alle donne, ma la civiltà umana dei rapporti, la giustizia delle leggi, la responsabilità morale e perfino il senso del sacro a misura non solo vostra.

 

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