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Filippo Gentiloni

L'UNIVERSITÀ A PIAZZA S. PIETRO

il manifesto, 22 gennaio 2008

 

Molte voci, da una parte e dall'altra del Tevere, chiedono di archiviare quello che è accaduto all'università La Sapienza di Roma. Non sarà facile anche per la risonanza mediatica che la rinuncia del papa ha avuto e per la sottolineatura che dell'episodio ha fatto e sta facendo l'autorità vaticana. Comunque un aspetto di questa vicenda non va dimenticato né sottovalutato: la posizione del papa sul rapporto fra fede e ragione, una posizione che era già emersa con chiarezza nei primi due anni del pontificato e che è stata ulteriormente chiarita nel discorso che il papa avrebbe dovuto tenere all'università e che è stato poi ufficialmente reso noto. Un tema, questo del rapporto fede-ragione che attraversa tutta la storia del pensiero cristiano, ma che è diventato sempre più centrale, anche per i suoi contatti con l'altro tema tipico dei tempi moderni, il rapporto fra il cristianesimo e le altre religioni.

Nella prima parte del suo discorso il papa compie un'ampia analisi del compito della università, nonché dei limiti, a questo proposito, della autorità ecclesiastica. Un'analisi sorretta e sostenuta da autori che gli sono particolarmente cari, soprattutto da Jurgen Habermas. Ma poi il discorso prosegue verso approdi particolarmente significativi del pensiero di Benedetto XVI. Nonostante gli sforzi dell'università, la ragione stenta a raggiungere la meta: senza la fede gli sforzi della ragione sono insufficienti. È qui, in questa affermazione, il nodo centrale del discorso pontificio. Sulle possibilità della ragione senza la fede, un deciso pessimismo. «Il pericolo del mondo occidentale - per parlare solo di questo - è che l'uomo, proprio in considerazione della grandezza del suo sapere e potere, si arrenda davanti alla questione della verità. E ciò significa allo stesso tempo che la ragione, alla fine, si piega davanti alla pressione degli interessi e all'attrattiva dell'utilità, costretta a riconoscerla come criterio ultimo».

E ancora, a scanso di equivoci: «Se la ragione - sollecita della sua presunta purezza - diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita». E ancora: «Applicato alla nostra cultura europea ciò significa: se essa vuole solo autocostruirsi in base al cerchio delle proprie argomentazioni e a ciò che al momento la convince e - preoccupata della sua laicità - si distacca dalle radici delle quali vive, allora non diventa più ragionevole e più pura, ma si scompone e si frantuma». La vera ragione, dunque, non può non condurre a «percepire Gesù Cristo come la luce che illumina la storia e aiuta a trovare la via verso il futuro». Anche l'università, dunque, a piazza San Pietro.