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IL LUNGO VILIPENDIO DEL LAVORO

di Enzo Mazzi

il  manifesto 22 dicembre 2009

 

“La libertà che vi aspetta è la morte”, così Primo Levi nel 1959 traduceva la scritta “Il lavoro rende liberi” issata all’ingresso del campo di lavoro e poi di sterminio di Auschwitz, ora trafugata. Ed è tremendamente attuale il suo commento: “Il disconoscimento, il vilipendio del valore morale del lavoro era ed è essenziale al mito fascista in tutte le sue forme”.

Le morti bianche, i suicidi, le morti morali, sociali e psichiche di licenziati e cassintegrati non sono episodi; sono il segno tragico del ritorno del “mito fascista” in questa trasformazione strisciante della Costituzione: non più "Repubblica democratica fondata sul lavoro" ma fondata sull'assassinio sacrificale del lavoro.

Tutto questo ci obbliga a ripensare criticamente la nostra società, principalmente negli aspetti economici e politici ma anche in quelli culturali, etici e religiosi. Sono due secoli che dal mondo del lavoro si leva il grido di allarme. E non è solo grido ma elaborazione positiva di orizzonti nuovi di società e di cultura. Prassi, lotte, idee che però sono state demonizzate e distrutte. Qualcosa di molto profondo non va nel nostro modo di vivere e di impostare i rapporti sociali.

Il Natale ad esempio. Ci sono due modi opposti di intendere il Natale: come miracolo dall’alto o invece come evento totalmente iscritto nella storia e nella natura. Ora, il Natale concepito come miracolo dall’alto è in sé una condanna del lavoro perché è una condanna di tutta la storia umana e della stessa natura. Se c’è bisogno che Dio si faccia miracolosamente uomo per salvare il mondo, vuol dire che il mondo, l’evoluzione della vita e il genere umano non hanno in sé capacità di salvezza. Sono in sé dannati. In particolare è dannato il lavoro umano, questo immenso sforzo di liberazione prodotto nei secoli. Il Natale non annunzierebbe la fine della maledizione del lavoro ma sarebbe un invito alla rassegnazione e alla solidarietà intesa solo come carità cristiana.

E’ quanto dice sostanzialmente Giovanni Paolo II nella enciclica Laborem exercens. Pagine e pagine di apprezzabile trattazione sociologica sul lavoro finiscono nel ricatto metafisico del sacrificio, della alienazione e della sofferenza che da sempre e per sempre accompagnano il lavoro a causa del peccato. Il papa al termine dell’enciclica ripropone infatti la maledizione del lavoro pronunciata da Dio nel racconto biblico della creazione: “Maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita”. Il pontefice commenta così l’invettiva rivolta ad Adamo: “Questo dolore unito al lavoro segna la strada della vita umana sulla terra”. Dio – continua il papa - incarnandosi assume il lavoro umano e lo salva dalla maledizione. Ma, e qui è il punto, lo salva in vista dell’al di là. La storia continua il suo corso di maledizione dello sforzo umano e del lavoro. “Quest’opera di salvezza – è scritto nella Laborem exercens – è avvenuta per mezzo della sofferenza e della morte di croce. Sopportando la fatica del lavoro in unione con Cristo crocifisso per noi, l'uomo collabora in qualche modo col Figlio di Dio alla redenzione dell’umanità. Egli si dimostra vero discepolo di Gesù, portando a sua volta la croce ogni giorno nell’attività che è chiamato a compiere … Mediante la fatica e mai senza di essa”.

Ben altro è il senso della tradizione più antica presente fin dagli albori sia dell’ebraismo che del cristianesimo. E’ possibile anzi forse doveroso vedere i vari racconti dei Vangeli come simboli di ciò che accompagna ogni nascita. Gesù nacque come ogni uomo e ogni donna che venivano al mondo in quel tempo. Sì c’è nel Vangelo l’esaltazione mitica della missione di Gesù ma dentro la storia. Questo senso del Natale orienta verso il riscatto del lavoro, verso la solidarietà con lo sforzo umano e con la lotta per liberare il lavoro dalla alienazione, dalla coazione, dal sacrificio, dall’asservimento alle esigenze del profitto, dall’insicurezza, dalla precarietà.

E non crolla nulla. Rassicuratevi cattolici in alto e in basso attaccati alla tradizione. Sono almeno due secoli che lottate con ogni mezzo contro il cristianesimo ribelle che vede il Vangelo inserito nel grande processo storico della liberazione. E avete prodotto solo rovine. Aprite finalmente gli occhi. La fede cristiana si rafforza se si nutre della forza vitale di Dio che vive nella storia. La fede cristiana torna credibile perché assume il sogno di liberazione dei lavoratori, uomini e donne, bianchi e neri, abili e disabili, credenti in un modo e credenti in un altro o in mille altri.

E’ questo il Natale che la comunità a cui faccio riferimento, quella dell’Isolotto di Firenze, e tante altre comunità di base sinceramente cristiane, celebrano nelle loro veglie natalizie. E’ questo il senso del Natale al quale esse cercano di educare i loro figli per preparare un futuro migliore.