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Enzo Mazzi

PACIFISTI CONDANNATI

il  manifesto 5 novembre 2010

La Serbia si avvia ad essere accolta nella UE. E’ una buona notizia. Non sufficiente però a sanare le ferite profonde causate dalla guerra del ’99, che continuano a sanguinare sotto le ipocrite bende di un colpevole oblio. Una di queste ferite si riaprirà il 5 novembre con il processo di appello contro tredici pacifisti condannati il 28 gennaio 2008, in prima istanza, a ben sette anni di reclusione per aver manifestato del tutto pacificamente, posso testimoniarlo perché c’ero anch’io, a Firenze nel maggio del 1999 contro i bombardamenti NATO sulla Serbia. Il corteo si concluse sotto il Consolato americano. Improvvisa una violenta carica dei Carabinieri. Fuggi fuggi a mani alzate, qualcuno pestato a caso, una ragazza quasi perse un occhio, lacrimogeni ad altezza d’uomo. Vennero individuate 13 persone – a posteriori, non identificate in loco – denunciate, processate e condannate appunto a ben sette anni di reclusione per resistenza a pubblico ufficiale aggravata dal loro numero. Dissenso uguale sovversione o invece sacrosanta difesa della Costituzione?

Sul banco degli imputati, anziché i tredici pacifisti dovrebbero esserci i vertici politici e militari di tutte le parti in causa, compresa l’Italia, che vollero ad ogni costo un’operazione bellica altamente distruttiva, decisa fuori dall’Onu, in offesa alla Costituzione che “ripudia la guerra” e in contrasto perfino con lo stesso statuto della NATO.

I bombardamenti furono decisi al termine di trattative tra NATO e Federazione Jugoslava, nel febbraio 1999, a Rambouillet. I giochi erano già fatti prima di cominciare. Gli Stati Uniti pongono a Belgrado un ultimatum irricevibile col quale, di fatto, le milizie NATO avrebbero avuto pieni poteri in tutto il paese. Lo denunciò Lamberto Dini, ministro degli esteri, dicendo pubblicamente: io a Rambouillet c’ero e devo testimoniare che la NATO non volle risolvere pacificamente, come sarebbe stato possibile, il problema umanitario (La Repubblica, 10 aprile 1999). Lo tesso Henry Kissinger dichiarerà: “Il testo di Rambouillet, che chiedeva alla Serbia di ammettere truppe NATO in tutta la Jugoslavia, era una provocazione, una scusa per iniziare il bombardamento” (Daily Telegraph, 28 giugno 1999). Mentre il Corriere della sera del 23 febbraio 2008 pubblica una intervista di Fabrizio Roncone a Francesco Cossiga col titolo: «Portai D'Alema a Palazzo Chigi per fare la guerra», che è una chiara provocazione, gratuitamente offensiva verso l’allora premier, ma evocatrice degli scenari politici del tempo in cui si intrecciarono molti interessi inconfessati che niente avevano a che fare con la motivazione umanitaria.

“Durante i tre mesi di bombardamenti, sono stati uccisi 2.500 civili, di cui 89 bambini, e 12.500 feriti. Più i morti di leucemia per le radiazioni delle bombe ad uranio impoverito”. Queste le parole di Boris Tadic davanti al Consiglio di Sicurezza della Nato, denunciando che i 2.300 attacchi aerei hanno distrutto 148 abitazioni, 62 ponti, 300 scuole, 13 dei maggiori ospedali del paese, 176 monumenti di interesse culturale e artistico. Altri analisti danno numeri molto più alti. Human Rights Watch ha calcolato fra 489 e 528 le perdite di civili jugoslavi causate dai bombardamenti.

I morti e feriti civili furono causati da incidenti, ad esempio il bombardamento dell'ambasciata cinese il 27 maggio, con la morte di tre funzionari, o quello della colonna di profughi albanesi sulla rotta Djakovica-Decani scambiata per un convoglio militare serbo e pesantemente bombardata con 75 morti. Ma sono molti anche gli attacchi deliberati ad esempio a treni e pullman durante il bombardamento ad alcuni ponti, nonché l'attacco mirato alla stazione televisiva serba, che causò 16 morti tra funzionari, giornalisti ed impiegati.

Ferite su ferite. Il prezzo che è stato pagato è tutto politico. La crisi della sinistra e il vicolo cieco in cui si trova il nostro paese derivano in gran parte da quella sciagurata sottomissione agli Usa, gendarme supremo del mondo globalizzato, capace di rendere insignificante e ininfluente ogni politica autonoma di alleati proni. Fu una sottomissione che andava addirittura al di là dei piani statunitensi in quanto per Clinton sarebbe stata sufficiente l’autorizzazione all’uso delle basi militari italiane senza intervento diretto del nostro esercito, dei nostri aerei, delle nostre navi. Tutto documentato. Fu una scelta per accreditare il nostro paese anche a guida di sinistra come altamente affidabile per l’alleanza atlantica ma finì per rubare l’anima al popolo della sinistra.

Ferite su ferite. Coscienze dilaniate, relazioni umane distrutte, spaccature all’interno non solo dei partiti di centro-sinistra ma anche dei sindacati e dell’associazionismo. Lo sfascio della sinistra.

Una significativa pagina di fumetti di Sergio Staino sull’Unità del tempo fotografa il dramma: lui ed io su sponde opposte prive di ponti, distrutti dalle violenze serbe per l’uno e dai bombardamenti NATO per l’altro. I bellissimi disegni di Staino finiscono con l’impegno comune a ricostruirli i ponti. Conservo nella mia cameretta la matrice originale di quei fumetti donatami dal caro Sergio. C’è un ponte che non è stato ancora ricostruito, è il ponte della solidarietà totale e incondizionata verso i tredici processati. C’è chi sta tentando. Un documento di solidarietà diffuso con mezzi poveri e nel silenzio omertoso dei grandi media ha ricevuto in poco tempo quasi duemila firme. Ne mancano ancora tante.