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Cinzia Gubbini

"IO, PRETE SCOMODO, LA SINISTRA E ROMA"
intervista a Giovanni Franzoni

il manifesto, 13 aprile 2008

 

Don Giovanni Franzoni ha 80 anni e ancora tanta voglia di partecipare. Promotore di un appello contro l'astensionismo, vota l'Arcobaleno senza sostenerlo e dal Giubileo del 2000 ha rotto con il sindaco Rutelli. Una volta verso i poveri dei borghetti si usava fare beneficenza. Ora esistono zone del tutto separate

 

A ottant'anni Giovanni Franzoni ha ancora voglia di scendere in campo. Lo ha fatto recentemente con un vero e proprio appello contro l'astensionismo: «Non ci ho mai creduto e poi, per quanto possa essere grande la delusione, non voglio abbandonare i nostri amici palestinesi, alla cui causa sono molto vicino, che guardano sempre con grande fiducia all'Italia». Che il cuore dell'ex abate della basilica di San Paolo - prima di essere dimesso dallo stato clericale per la sua adesione al Pci e per aver fondato le comunità cristiane di base italiane - batta per la sinistra non è certo una novità. Anche stavolta dice di votare Arcobaleno, ma non ha firmato l'appello promosso da alcuni intellettuali: «La parte sulla politica estera mi sembrava insoddisfacente», spiega. Lo spirito critico non riesce a metterlo da parte. Dice di averlo ereditato da sua madre. Austriaca, cattolica praticante. Ma quando lui bambino tornava da scuola nella loro casa di Firenze, in pieno ventennio fascista, raccontando che l'insegnante di religione aveva spiegato come gli ebrei succhiassero il sangue dei bambini, rispondeva: «Mi sembra strano, visto che quando vivevamo in Ungheria le mie due migliori amiche erano ebree...». Insomma, Franzoni è il personaggio adatto per offrire uno sguardo lucido e indipendente su Roma, città che conosce bene e che si appresta a scegliere il suo nuovo sindaco.

 

Come ha visto cambiare questa città? Che ne pensa, ad esempio, del fatto che nella Roma contemporanea sorgono nuove baraccopoli e si evidenziano nuove povertà?

Quella del baraccamento mi sembra davvero la nuova emergenza di Roma, e mi meraviglia molto che la Chiesa non prenda di petto la situazione della speculazione edilizia e del baraccamento. Certo, sembra di tornare agli anni '50 e '60, ma oggi la situazione si presenta molto più complessa. Sono sempre stato un fautore della politica che non deve disgiungere sicurezza e accoglienza, ma non come viene detto oggi che è un modo per intervenire prevalentemente sul fronte repressivo. Il problema in questi luoghi è che la maggior parte delle persone appartiene a una fascia grigia, a metà tra la legalità e la illegalità. E in questa zona grigia si sviluppano delle condizioni di vita fragili che non possono essere perseguite come il criminale incallito. Mi ricordo che quando ero consigliere comunale come indipendente nel Pci con una Asl ci occupammo dei campi rom. Mettemmo anche a punto un piano. Dicevamo che andavano sviluppate tre tipi di professionalità all'interno dei campi in modo da offrire lavoro regolare che fosse utile a tutta la città: l'operatore sanitario, quello per l'infanzia e l'operatore ecologico. Il nostro slogan, pensato con i rom, era: non vogliamo più essere moscerini sulla torta, preferiamo una fetta di torta.

 

Sembra un piano interessante anche oggi, a vent'anni di distanza. Come venne accolto allora?

E' una delle cose che mi fecero capire che non contavo niente. Eravamo io e un altro collega, mi ricordo che convocavano il consiglio municipale a una certa ora, noi di fatto restavamo fuori dalla porta, poi ci chiamavano per firmare tutta una serie di delibere. E noi dicevamo: perché sono passate queste e non altre? Niente, non si capiva. Il Pci continuava a dirmi: devi stare dentro, è importante. Ma a me pareva inutile.

 

E invece com'è cambiata la percezione delle persone? C'era lo stesso atteggiamento di oggi anche nei confronti della gente dei borghetti?

A me la situazione pare cambiata. Una volta nei confronti dei poveri dei borghetti, ad esempio, si usava fare beneficenza. Le persone che frequentavano le parrocchie andavano a portare delle cose da mangiare. C'era la consapevolezza che si trattava comunque di lavoratori, e anche i borgatari avevano al consapevolezza di essere tali, e in questo un grande ruolo di organizzazione lo svolgeva il Pci. Ora mi sembra che esistano delle zone completamente separate, o meglio che si percepiscono così anche se in realtà alcuni elementi sono simili: pensiamo al bullismo. Il bullo italiano dell'istituto tecnico si offenderebbe a essere paragonato al ragazzo zingaro che compie qualche azione sbagliata. E invece appartengono allo stesso filone, hanno la stessa fisiologia: l'assenza di socialità, di regole condivise.

 

Roma è la capitale del cattolicesimo e lei in questa città è stato uno dei rappresentanti del cattolicesimo dissidente. Come ha vissuto quell'esperienza e che ne pensa del candidato sindaco del centrosinistra, spesso messo sotto accusa per il suo agire politico così tanto influenzato dalla sua fede?

Il Concilio Vaticano II, ai cui lavori ho partecipato nell'ultima fase, aveva stimolato fermento e creatività. Ora le barriere ideologiche sono troppe e pericolose, oggi mi sembra che qualsiasi dibattito sia impossibile. In passato era diverso, e per questo mi sembra fuorviante il fatto che venga etichettato come vecchio tutto ciò che è legato agli anni '60 e '70. Certo, c'erano delle rigidità. Ma anche in quel vecchio arnese che era il Pci c'erano delle aperture che oggi mi sembrano impensabili, soprattutto sui territori. Ricordo che Basaglia mi disse: senza il Pci non avrei mai chiuso né il manicomio di Gorizia né quello di Trieste. Oggi si parla tanto del fatto che le scuole dovrebbero essere aperte tutto il giorno, lo dice anche Rutelli, ma allora già erano aperte dalle otto a mezzanotte. Lo stesso avveniva nella Chiesa: De Gasperi si rifiutò di mettere fuori legge il Pci. Quando ci fu il referendum sul divorzio io e altri formammo il comitato «Cattolici per il no» e dicevamo: cattolici voi che siete contrari ma cattolici anche noi. Oggi si ergono barriere del tutto ideologiche e insuperabili. Il papa dice: tutela della vita dal principio alla fine, ma quando parliamo della vita nel mezzo? Delle guerre, della fame, della povertà? E' tutto più cauto, meno vero e concreto. in quanto al sindaco, mah, mi fa schifo questo modo di presentarsi da cattolici per raccattare voti. Rutelli lo conosco, quando si presentò con i Verdi a sindaco gli feci anche un comizio a Cagliari, ma dal Giubileo non sono più stato d'accordo con lui. Era lo stesso che aveva detto che sarebbe stata una grande occasione per dare ai poveri quello che era dovuto loro non per carità per giustizia. Poi si è trasformato tutto in un grande carrozzone per i pellegrinaggi.

 

Cosa toglierebbe a Roma?

Un po' di degrado.

 

E cosa aggiungerebbe?

La possibilità per anziani e portatori di handicap di poter camminare per la città senza dover dribblare macchine sui marciapiedi e buche.