Contro la società, i diritti, l’ambiente: i primi atti del governo

Con i primi atti e provvedimenti di politica economica del governo Berlusconi e del ministro dell’Economia Tremonti torna una vecchia politica economica che – con la motivazione dei tagli alla spesa pubblica – colpisce enti locali, welfare, ambiente ed è gravemente carente di un’idea nuova di un modello di sviluppo che noi vogliamo fondato sull’equità sociale, sulla sostenibilità ambientale, la pace e la solidarietà internazionale.

Il decreto di finanziamento dell’abolizione dell’ICI sulla prima casa e la detassazione degli straordinari, il ddl per lo sviluppo economico, l’approvazione del decreto legge 112 e il DPEF introducono misure e proposte che critichiamo. La manovra finanziaria del governo è contro la società, l’ambiente e i diritti.
I pesantissimi tagli previsti nei prossimi tre anni a sanità, scuola, enti locali, previdenza, ambiente superano i 30 miliardi di euro. Salari e redditi per i lavoratori dipendenti (a causa di un’inflazione programmata all’1,7% a fronte di una reale al 3,6% e alla mancata restituzione del fiscal drag) subiranno una drastica riduzione: per loro non caleranno le tasse, mentre continuerà a sopravvivere il trattamento fiscale di favore per rentiers e alte di reddito. Si rende ancora più precario il lavoro e si indeboliscono le norme sulla sicurezza sui posti i lavoro.

Si rilanciano le grandi opere e le centrali nucleari: gli interventi in materia ambientale per la mobilità sostenibile e le energie pulite sono invece drasticamente ridotte. Scuola e università vengono falcidiate dai tagli mentre i tagli ad enti locali e Regioni influiranno pesantemente sulla quantità e la qualità dei servizi in ambito sociale e sanitario.

L’AMBIENTE.

Torna la dispendiosa e inutile politica delle grandi opere con il rilancio della TAV e del Ponte sullo Stretto. Il ministro alle infrastrutture e trasporti Matteoli ha annunciato un piano contestabile e irrealistico di 14 miliardi di euro di finanziamenti pubblici nel triennio 2009-2011 – che dovrebbero “generare” investimenti in grandi opere per 46 miliardi di euro nel triennio – per le infrastrutture strategiche (quando si scopre che addirittura manca la copertura degli investimenti ordinari ANAS e RFI per sette miliardi di euro l’anno) destinati prioritariamente a: i costosissimi vecchi progetti (per un ammontare complessivo di 14 miliardi di euro) redatti dai general contractor (GC), a cui erano state revocate le concessioni, delle tratte dell’AV Mi-Ge, Mi-Vr e Vr-Pd; i 6,1 miliardi di euro destinati al ponte sullo Stretto nella situazione disastrosa delle infrastrutture nel Mezzogiorno (basti ricordare i tempi eterni dei cantieri della A3 Salerno-Reggio Calabria e della SS106 Ionica) a cui il ministro Matteoli vorrebbe aggiungere i 5,6 miliardi destinati a progetti di autostrade per la Livorno-Civitavecchia e per la Roma-Formia, quando si può procedere al potenziamento a 4 corsie rispettivamente dell’Aurelia e della Pontina esistenti.

Queste scelte in campo infrastrutturale e trasportistico non risolvono i problemi delle grandi aree metropolitane e del trasporto (a breve e medio raggio), ove si concentrano i più gravi problemi di congestione e di inquinamento. Esse sono invece accompagnate a disposizioni urgenti contenute nei primi decreti economici del terzo governo Berlusconi che nulla hanno a che vedere con politiche liberiste o anche solo liberali, basti accennare a: il salvataggio assistito di Alitalia a carico dei contribuenti e a danno dei lavoratori; la cancellazione della revoca delle concessioni per i GC per le tratte dell’AV ancora non iniziata; il consolidamento dell’oligo-polio nel settore autostradale (in primis di Autostrade per l’Italia) grazie alla ratifica per legge delle nuove convenzioni tra ANAS e concessionarie.

Mentre il governo esprime dubbi sul conseguimento in Italia degli obiettivi condivisi dall’Europa, su proposta della Germania, per la riduzione al 2020 del 30% delle emissioni di CO2, viene annunciato dal ministro Scajola e dal governo nel suo complesso un piano per la costruzione di nuove centrali nucleari alle quali siamo fermamente contrari, visti gli inesistenti vantaggi dal punto di vista ambientale (anche se si raddoppiassero le centrali nucleari su scala globale, con i relativi rischi per la sicurezza e per lo smaltimento delle scorie nucleari, queste contribuirebbero solo ad una riduzione del 5% delle emissioni climalteranti) e i sicuri svantaggi in termini di tempi e costi (solo al 2030 si potrebbe avere un parco di 10 centrali in Italia, per un totale di 10-15 mila MW di potenza installata, e un costo tra i 30 e i 50 miliardi di euro di investimenti, in gran parte pubblici).

Come è noto il settore nucleare assorbe il 90% dei fondi destinati alla ricerca di fonti alternative ai combustibili fossili, quando nel nostro Paese il contributo al fabbisogno energetico delle energie rinnovabili è al minimo storico: il rapporto tra produzione da fonti rinnovabili e produzione totale è sceso al 15,7% (il livello più basso degli ultimi 15 anni), mentre l’obiettivo al 2012 era di raggiungere una quota del 25%. Il decreto con il quale è stata finanziata l’abolizione dell’ICI contiene tagli significativi alla mobilità sostenibile e alle ferrovie locali, al trasporto pubblico locale (mancando così clamorosamente l’obiettivo di una politica coordinata sulle aree urbane) e al fondo forestazione, alle aree marine protette. A questo ultimo proposito vale la pena ricordare la mancanza di una proposta organica sulla conservazione della biodiversità, coerente con gli impegni assunti in sede internazionale con l’adesione dell’Italia al “Count down 2010”, in attuazione della Convenzione internazionale sulla diversità biologica, e con la Strategia europea per arrestare la perdita di biodiversità.

POLITICA FISCALE.

Intanto, il DPEF prevede nei prossimi quattro anni una pressione fiscale inalterata, a tutto vantaggio delle alte di reddito e per i redditieri con un effetto regressivo a danno dei lavoratori dipendenti. La cancellazione dell’ICI sulla prima casa è la misura più regressiva. 1,7 miliardi di euro in tre anni da cui sono esclusi tutti quei proprietari di case che dovrebbero pagare meno di 350 euro di ICI (perché già esclusi da Prodi), più tutti quelli che non sono proprietari e vivono in affitto, ovvero i ceti più poveri e i giovani. Inoltre una serie di micro provvedimenti indebolisce la lotta all’evasione fiscale. Tra questi l’eliminazione della responsabilità solidale del committente con l’appaltatore e il subappaltatore, dell’obbligo dell’elenco clienti-fornitori, della trasmissione telematica dei corrispettivi, ecc. Inoltre – altro elemento d’alleggerimento dei controlli – viene più che raddoppiata la cifra per l’emissione degli assegni non trasferibili. Inoltre l’abolizione di istituti come il SECIT (Servizio Ispettivo Tributario) e dell’Alto commissariato per la prevenzione e il contrasto alla corruzione non aiutano la lotta all’evasione fiscale e al malaffare. Le dichiarazioni dei redditi di tutti i contribuenti saranno teoricamente pubbliche, ma l’accessibilità sarà consentita solo per un anno e vincolata alla dimostrazione di un interesse specifico. La trasparenza si rende di fatto impossibile e l’accesso praticamente precluso ai giornalisti.

Critichiamo perciò la proposta di vietare la pubblicazione on line dei redditi (con una multa assai alta – 90 mila euro), che invece ci sembra un’elementare questione di trasparenza.

SPESA MILITARE E SICUREZZA.

A fronte di limitate riduzioni dei fondi del ministero della Difesa si prevede l’aumento del 10% dei fondi per le missioni militari all’estero. Inoltre – unico caso nella Pubblica Amministrazione – si prevede che il Ministero della Difesa possa vendere (anche a trattativa privata) i beni del demanio militare: caserme, poligoni, ecc. e utilizzare i proventi per finanziare le proprie necessità.
Si tratta – lo ricordiamo – di centinaia di strutture capaci di portare il prossimo anno 2 miliardi di euro nelle casse dei militari. Invece di privatizzare e aumentare la spesa militare, questi beni dovrebbero essere restituiti alle comunità locali con destinazioni sociali e pubbliche.

Si spendono inoltre risorse per la messa a disposizione di 2500 soldati per il pattugliamento delle città. Quei soldi sarebbero stati molto più utili per promuovere interventi di riqualificazione delle nostre città e di lotta all’esclusione sociale. Tra l’altro si tratta di una misura esclusivamente propagandistica, essendo l’organico complessivo di tutte le forze dell’ordine dedite alla sicurezza in questo Paese oltre 400 mila addetti. Una misura simbolica che non ha alcun effetto concreto, ma una valenza prevalentemente demagogica. Si otterrebbe la stessa disponibilità di nuovi addetti, attraverso una semplice riorganizzazione degli organici di PS, Carabinieri, etc. Consideriamo inoltre molto negativamente i provvedimenti sulla sicurezza, che violano in molte parti il nostro ordinamento giuridico, oltre a rendere, in modo inutilmente vessatorio, la vita più difficile agli immigrati.

WELFARE, SCUOLA, SALUTE, IMMIGRAZIONE E LAVORO.

20 miliardi i tagli ad enti locali, pensioni e salute, 7 miliardi i tagli a scuola e università. Solo la sanità subirà un taglio di 5 miliardi in tre anni.

Per quanto riguarda il lavoro si reintroduce il lavoro ad intermittenza (job on call), una delle forme più odiose e umilianti di lavoro precario. Si depotenziano (meno sanzioni e meno controlli pubblici) i provvedimenti del testo unico sulla sicurezza sul lavoro. Il provvedimento sull’“impresa in un giorno” attenuerà le misure sulla sicurezza e le verifiche ambientali. Si riduce di 2/3 il numero di lavoratori precari ammessi alla regolarizzazione nella Pubblica Amministrazione. Inoltre l’introduzione del libro unico del lavoro (sostituendo il libro matricola e il libro paga) indebolisce le attività ispettive. Il provvedimento di detassazione degli straordinari, invece di sostenere il lavoro e la lotta alla precarietà e ridurre le tasse per tutti i dipendenti, costituisce un micro intervento per una minoranza dei lavoratori italiani. Meglio sarebbe stato utilizzare la somma stanziata per detrazioni fiscali in favore di tutti i lavoratori dipendenti.

Per l’immigrazione, il disegno di legge 733 “Disposizioni in materia i sicurezza pubblica”, attualmente in Commissione Affari Costituzionali del Senato, prevede di stanziare nel 2009 93,3 milioni di euro per la costruzione di nuovi (e ribattezzati) Centri di Identificazione ed Espulsione, strutture di detenzione inutilmente lesive della libertà personale dei cittadini stranieri, già risultate in questi anni inefficaci a contrastare l’immigrazione irregolare; a questi si aggiungono 103,2 milioni di euro per finanziare la loro gestione. L ’impianto discriminatorio delle politiche del governo, di cui il pacchetto sicurezza e la decisione di schedare i bambini rom costituiscono solo gli esempi più noti, attraversa anche i provvedimenti di natura economico-finanziaria. Il decreto che taglia l’ICI prevede infatti di recuperare le risorse necessarie sottraendone anche al fondo per l’inclusione degli immigrati, introdotto dal governo Prodi, 50 milioni i euro.

In materia di politiche di assistenza sociale viene cancellato il finanziamento al Fondo per la non autosufficienza mentre viene introdotta la cosiddetta “carta acquisti” prevista dalla manovra finanziaria, ennesima elemosina una tantum per cittadini poco abbienti che dovrebbe “sostenere ” il loro accesso all’acquisto di beni e servizi, ed è preclusa ai cittadini di origine straniera; il cosiddetto “piano casa” restringe la possibilità di accedere alle facilitazioni da esso previste ai cittadini residenti in Italia da 10 anni (o nella regione da 5 anni) e lo stesso requisito è richiesto per avere diritto all’assegno sociale. Si annuncia l’ennesimo bonus bebè per il 2009, invece di costruire asili nido e assicurare più servizi sociali alle famiglie. Il Fondo per le politiche sociali rimane alla modesta cifra dell’anno scorso. Inoltre nel triennio 2009-2011 il governo taglia oltre 500 milioni alla missione “Diritti sociali, solidarietà sociale e famiglia ”.

La scuola e l’università dovranno subire tagli assai consistenti. Si parla – complessivamente – di oltre 7 miliardi di euro in tre anni. La possibilità della trasformazione delle Università in fondazioni private apre la strada alla privatizzazione del sistema pubblico, più che a rafforzarne l’autonomia funzionale.

Ridotto di 500 milioni il finanziamento ordinario per l’Università. Il sistema pubblico dell’istruzione viene poi pesantemente colpito alla riduzione del 17% (43mila addetti) del personale tecnico e ausiliario delle scuole (significa che ci saranno meno ore di laboratorio e taglio delle sperimentazioni), nonché di 87 mila docenti nei prossimi tre anni. Per “risparmiare ” verrà aumentato l’affollamento degli studenti per (classi più numerose) con il conseguente scadimento dell’offerta formativa. Nella stessa direzione vanno l’abolizione del tempo pieno e la reintroduzione del maestro unico per le elementari. Tagli anche ai centri di educazione per gli adulti e ai corsi serali. Non ci sono fondi per il diritto allo studio e per l’edilizia scolastica. L’e-book è una misura propagandistica: bisognerà pagare per continuare a scaricarli e la diffusione di internet (comprese le scuole) è assai limitata nel nostro Paese.

Per la politica sulla casa, il provvedimento della vendita (a favore dei giovani, delle basse di reddito, ecc.) delle case popolari va nella direzione dell’alienazione del patrimonio pubblico, senza affrontare il tema dell’obiettivo della sua riqualificazione, di una politica pubblica di edilizia residenziale mentre non esistono interventi che rafforzino il sostegno sociale all’affitto. Si estende agli enti locali il complesso di scorciatoie e procedure facilitate per la cartolarizzazione del patrimonio pubblico. La stessa ipotesi di interventi di incremento del patrimonio pubblico delle abitazioni con il coinvolgimento di capitali privati è generico e in alcuni casi “creativo”, nell’ipotesi dell’improbabile costituzione di strumenti finanziari pubblico-privati dalla fumosa identificazione.

La riduzione di 5 miliardi alla Sanità in tre anni, la possibile reintroduzione dei ticket di 10 euro sulla specialistica (sono infatti previsti solo 400 degli 834 milioni necessari all’abolizione mentre il resto dell’onere graverà sulle Regioni) e la decisione di non rivedere i LEA (esenzioni per malattie croniche, odontoiatria, ecc.) rappresenteranno un pesante colpo ai servizi sanitari e alla loro qualità.

IL SUD, L’ECONOMIA, LE PRIVATIZZAZIONI.

Per finanziare l’abolizione dell’ICI sono stati tagliati i finanziamenti per gli interventi e gli investimenti al Sud. Il governo cancella i precedenti provvedimenti volti a finanziamenti mirati per lo sviluppo a favore del ripristino di norme di finanziamento a fondo perduto degli interventi. Degli oltre 2 miliardi e 100 milioni tagliati al Ministero dello Sviluppo Economico la gran parte viene tolta al Mezzogiorno e alla Ricerca e all’Innovazione. Riproposta la privatizzazione dei servizi pubblici locali, delle farmacie comunali e – assai grave – dei servizi pubblici legati all’erogazione e alla distribuzione dell’acqua. Si prevede la costituzione di un’inutile e clientelare Banca del Mezzogiorno.

Enti locali.

Si prevede con i provvedimenti di questi giorni di tagliare in tre anni oltre 12 miliardi di euro di risorse agli enti locali e alle Regioni. Questi tagli, combinati con le conseguenze delle mancate entrate derivanti dall’ICI metteranno gli enti locali (fino ad oggi il governo non ha dato una risposta convincente sulla copertura di queste mancate entrate pe
r i Comuni), e in particolare i Comuni, nelle condizioni di dover tagliare i servizi ai cittadini o di dover ricorrere a maggiori tributi locali per finanziarli.

Petrolieri e giustizia fiscale.

Viene sbandierata dal ministro Tremonti la tassa sugli extraprofitti (maggiorazione dell’IRES del 5%) delle società petrolifere come un importante risarcimento sociale per le più disagiate. Ma allora perché non si colpiscono tutti gli extraprofitti, da quelli delle banche a chi si è arricchito con il CIP6 e la privatizzazione delle autostrade? Perché non si colpiscono – con l’imposizione fiscale – le di reddito più alte – sopra i 200mila euro – e soprattutto le rendite finanziarie speculative che sono fonte di extraprofitti ingiustificati oltre che dannosi per il buon funzionamento dell’economia? Per il tipo di tassa, quella qui proposta si presta ad essere scaricata facilmente sui consumatori sull’aumento di tariffe e benzina. La relazione tecnica che accompagna il decreto attende entrate tra i 2.2 e 4.7 miliardi nei prossimi anni. Di questi, 200 milioni saranno destinati al “Fondo di solidarietà per i meno abbienti” .Va inoltre ricordato che nel frattempo il prezzo del petrolio è calato in due mesi di un terzo, mentre il prezzo della benzina è rimasto invariato. I petrolieri hanno così ampiamente recuperato la lieve riduzione dei profitti.

Campagna Sbilanciamoci (www.sbilanciamoci.org)