Sul silenzio maschile attorno alla violenza contro le donne

di Angela Giuffrida
da www.womenews.net

I pregnanti interrogativi che Bandoli si pone e ci pone sono essenzialmente due:

– perché gli uomini non amano parlare della violenza contro le donne e quelle poche volte che lo fanno non partono da se stessi ma parlano in prevalenza delle vittime?
– come mai le donne forniscono un alibi al silenzio maschile, prendendo “pervicacemente” la parola e riferendosi anche loro quasi esclusivamente alle vittime, senza nominare “i molestatori e i violentatori”, né la loro discutibile sessualità?

A me pare che le risposte ci siano. Mi limito qui a darne qualcuna, volta ad indirizzare verso la scelta di “quell’Atto etico politico rivoluzionario che appartiene alla soggettività femminile” auspicato da Zaretti. Gli uomini non partono da sé nei loro discorsi e si defilano volentieri in una dimensione ideale-generale-astratta perché non stanno nel loro corpo. La sistematica svalutazione della dimensione corporea-particolare-concreta deriva, tra l’ altro, dal fatto che, in sintonia con l’esperienza del corpo, la loro energia psichica è direzionata verso l’esterno, perciò essi sono poco portati all’introversione e ricercano fuori di sé tutto, persino le ragioni del loro stesso essere e del loro agire.

Il meccanismo di base della loro psiche è proiettivo, nel senso che tendono a scaricare sugli altri ciò che in se stessi avvertono come negativo. Si spiega così il motivo per cui l’attenzione viene spostata sempre sulla vittima che, esplicitamente o implicitamente, subisce la fatidica chiamata di correo, quando non si scarica addirittura su di lei tutta la colpa. Molteplici sono le conseguenze di tale estroversione, la più dannosa è che, impedendo una sana assunzione di responsabilità, osta alla costruzione di una struttura personalitaria matura.

Le donne, dal canto loro, non osano in genere sfidare il sistema omertoso che raggruppa gli uomini in un unico branco, sia perché “ancora inconsapevolmente impigliate” nel “modello di funzionamento di una logica maschia”, come dice Zaretti, sia perché, riconoscendo nei maschi una parte della loro prole, per giunta la più debole, tendono a rassicurarli, assicurando una materna protezione. Ciò facendo sostengono, in uno alla debolezza maschile, la ferocia che insanguina il mondo.

La soluzione proposta da Bandoli, cioè il silenzio femminile allo scopo di permettere agli uomini di “trovare le parole.perché nessuno meglio degli uomini potrebbe spiegare cosa sia la sessualità maschile e il perché questa sessualità così spesso degeneri in violenza e altrettante volte in molestie” , non mi trova del tutto d’accordo. Io credo che per “stanare” gli uomini, costringendoli a riconoscere quanto meno le responsabilità storiche del loro genere, le donne debbano parlare non tacere; certo “altre” devono essere le loro parole.

Se è vero, come afferma Bandoli, che “coloro che andrebbero ’assistiti’, indagati, conosciuti sono gli uomini. Gli uomini e la loro sessualità che continua ad essere un oggetto misterioso, e il loro concetto e uso del potere che fa tutt’uno con l’idea che hanno del loro sesso”, spetta proprio alle donne il compito di comprendere cosa ostacola l’ evoluzione razionale e civile della loro mente, dato che fino ad ora essi sembrano affetti da una fatale coazione a ripetere sempre lo stesso copione di cui, per primi, non sanno spiegare le ragioni.

Un compito siffatto necessita di un cambiamento radicale nel modo di operare delle donne: esse hanno bisogno di recuperare il loro punto di vista sul mondo, la fiducia in se stesse, il coraggio e la fermezza, doti con cui hanno permesso alla specie di sopravvivere e di smarcarsi. Potranno ritrovare così l’antica dignità e la fierezza delle madri per rimettere al suo posto il figlio degenere, per impedirgli di nuocere a sé e agli altri e consentirgli allo stesso tempo di rimanere al mondo e di evolversi.