Come mai gli uomini si sottraggono ad un dibattito su stupro, violenza sessuale, prostituzione?

Vantaggi e svantaggi dell’essere patriarchi

di Lidia Menapace

Tra le cose che mi colpiscono, c’è la marmorea “oggettività” dei maschi quando parlano di stupro, eppure li riguarda. Ma no, rispondono in coro, noi non siamo stupratori!

Nemmeno io sono prostituta, ma la prostituzione mi concerne, mi obbliga a riflettere, a prendere posizione. Da anni chiedo che le amministrazioni locali prendano contatto con i loro comitati, per riconoscerle e discutere con loro una gestione non invasiva disturbante fastidiosa del loro lavoro. E adesso sento che un consigliere regionale ligure del Pdl protesta perchè la Sindaca di Genova “legittima” la prostituzione trattando con il loro Comitato per i diritti civili e con ciò riconosce le lucciole! ma come si permette di essere tanto ignorante? la prostituzione in Italia non è un reato e quindi non ha bisogno di essere legittimata, è già legittima e lo è soprattutto per una lotta delle donne. Dal tempo della senatrice Merlin che si battè vittoriosamente contro la vergognosa ipocrisia delle case chiuse dalle quali lo stato ricavava persino tasse, sfruttando lo sfruttamento delle prostitute rinchiuse nei casini. E il Comitato per i diritti civili delle prostitute, del quale faccio parte fin dalla fondazione, si è sempre battuto per il riconoscimento dei diritti e il governo o l’autogoverno della prostituzione. A Mestre hanno concordato di poter esercitare in una zona non affollata della città (davanti a un grande supermercato di notte), a Firenze il Comitato ha concordato che un pulmino segua le vicende delle prostitute durante la notte e intervenga chiamato col cellulare, se qualche cliente vuole rapporti non protetti mettendo a rischio la salute delle prostitute e della popolazione in generale, o se è violento e pretende un rapporto a forza o prestazioni non gradite, rendendosi così colpevole di violenza sessuale. Nessuna donna può parlare di prostituzione come se la cosa non la riguardasse, anche chi non ci ha mai avuto a che fare personalmente.

Come mai gli uomini possono fare come se non sapessero nulla di stupro e di sessualità violenta, che è così diffusa tra loro? se gli uomini che cercano prestazioni sessuali a pagamento sono 8 milioni, non sarà una questione marginale! E allora? perchè in tutti questi anni non c’è stato verso di agganciare un dibattito? come mai si sottraggono, non solo per la prostituzione ma anche per la violenza sessuale? Dicono “balordi” ai criminali di questo tipo, parlano di raptus, cercano di appioppare la colpa ai migranti, dicono che gli stupri sono diminuiti: sarà, ma sono aumentati gli assassinii di donne per mano di ex mariti amanti fidanzati ecc., i quali al grido “non posso vivere senza di lei!” la uccidono, e poi con chi vivono?

Avrei una spiegazione: i comportamenti che riguardano un uso violento e non governato della sessualità maschile vengono considerati normali, naturali, mai reati e gli uomini fin da bambini non sono indotti ad esaminarli, in materia non esiste educazione, per le bambine l’educazione è solo repressiva e servile, sicchè quando vi si sottraggono tendono a imitare i maschi e vanno dritte al bullismo, dando il via a un’altra di quelle forme dette “emancipazione imitativa” o “da scimmiette”, che è il massimo di subalternità alla cultura patriarcale.

Allora deduco così: dal patriarcato gli uomini ricavano anche tristezza svantaggi miseria morale difficoltà; l’inquinamento, la solitudine sociale, l’infelicità dei rapporti pieni di paura, malattie guerre crisi ecc. colpiscono anche loro che hanno il potere. Ma l’essere patriarchi porta comunque vantaggi (ad esempio e per l’appunto il potere) vantaggi iniziali e diffusi a priori, e ciò li rende incapaci di vincere le conseguenze anche brutte che conseguono. E’ un classico ragionamento marxiano, che Marx applicò alla borghesia: la borghesia non vive bene; se ci sono grandi contraddizioni nella società borghese, non è che la borghesia non le avverta: tuttavia i vantaggi che ricava dalla sua posizione dominante sono tali che non è indotta a lottare contro l ’assetto di cui gode il potere. Per questo non può essere attrice della sua liberazione.

Non penso che si possa tenere un parallelismo perfetto tra borghesia e patriarcato: tuttavia spesso sono simili e allora il discorso sull’alienazione, sul non vedere nemmeno le cause della propria infelicità, vale: credo che invece sia possibile un discorso di verità tra i generi e che ci si possa anche scambiare una qualche ricetta di reciproca liberazione, e cercar di capire quanta felicità serenità innocenza gioia divertimento potrebbe venire da relazioni liberate dalla paura violenza potere sfruttamento. Non vi pare? e non sarebbe discorso da comunisti/e?

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La staffetta e la cultura

di Stefania Cantatore

Ci sono guerre disseminate su tutto il pianeta e l’industria che le rende sempre più feroci è fiorente e gode ottima salute: l’onere economico “della riparazione dei danni” anch’esso è un grande affare. La violenza sulle donne e sui bambini esiste su tutto il pianeta, il sistema che l’accoglie cerca di mantenersi in salute non rinunciando agli affari e facendo utili in tempi assai duri per la politica.

L’affare che le donne e i bambini rappresentano non sempre e non solo è moneta, è qualcosa di più: è la possibilità di spendere i corpi femminili e la loro prole come merce per lo scambio dei favori. È merce di valore anche quando è morte, perché c’è chi su quella morte costruisce “il prestigio dell’incutere timore e rispetto”. In guerra ed in pace.

In Italia le donne, e davvero solo donne, hanno fatto sì che “la fatalità colpevole dell’essere le vittime” non fosse più tale e divenisse un problema politico.
L’opportunismo che rende immutabile il nostro sistema istituzionale ha fatto bottino di tutto questo, nel modo che oggi vediamo: le parti si fronteggiano, (e forse non solo due parti,) usando l’argomento della violenza come una clava per farsi male, poco e con misura.
Per farsi male poco e con misura, ma soprattutto per veicolare una sempre minor libertà per tutti, usando il dolore delle donne e dei loro figli per recar loro ancora più offesa.

Non voglio dire che nulla sia cambiato, perché finalmente, se pure malamente, i politici, quasi tutti uomini, sono costretti ad affrontare il problema.
E lo affrontano come il medico laureato non per studio ma per favori di casta, che non sa nulla se non dei sintomi che nemmeno sa lenire.

La violenza sulle donne è un male solo per le donne, è profondo e le sue radici sono le stesse che sostengono la famiglia, l’occupazione, il rapporto con l’ambiente.
C’è voluta fatica, impegno e denaro per ricordare a tutti che è un reato!

Oggi è un reato, c’è una legge che lo dice. Ma la politica non nasce e non finisce nei codici, perché questi riescono a scrivere, nella storia, solo una piccola parte delle regole che determinano la realizzazione dei diritti.

Scrivere una legge è importante e porta alla coscienza
collettiva il senso di ciò che è e di ciò che dovrebbe essere, quindi le donne dovranno scriverne ed ancora molte.
Ma c’è di più, e va forse ripetuto che la violenza sessuata è un problema strutturale che tocca in tutti i suoi aspetti il patto sociale, la cultura per esempio.

Di cultura si parla, là dove si decide, non volendo affrontare il problema delle risorse destinate al contrasto della violenza. Di cultura si parla sempre “rivolgendosi al popolo” e mai a se stessi.
Eppure di cultura si deve e si dovrà parlare, se va compiuto un passo oltre, di fronte alle ennesime vittime di una strage mai finita.

Di nuovo, da parte di chi come noi crede che le donne possano essere libere, parlando di regole si deve insistere a svelare quello che il potere non vuol farci vedere: che la complicità è nella cultura ufficiale, non in quella malata e sottaciuta, e si esprime in tutti i toni del lirismo e del sapere “ammesso”.

Ci aiutano proprio coloro che liberi nella ricerca e nell’arte mostrano in modo disarmante i loro volti, ignoranti del dolore sul quale costruiscono le proprie vite e i loro successi.

L’esposizione di corpi sempre più acerbi, nella concorrenza per la cattura degli ascolti, la diffusione di sempre più espliciti richiami alla compiacenza come mezzo per ottenere “un posto”, convivono con una politica che discute, ed anzi istituisce una commissione, contro la pedofilia e dice di voler occuparsi delle donne prostituite per forza e violenza.

Quanto potenti siano le lobbies dei violenti e dei pedofili, non è difficile capirlo da quanto poco si sia fatto a livello pubblico, ma ancor più si può leggere nella parole di una canzone o nei fotogrammi d’un film d’arte, nelle dichiarazioni ufficiali.

Si tratta di cultura, non può essere né punita né nascosta, va semplicemente svelata.

Il fatto che “tutte le donne lo sanno” e che tutti lo sappiano, è altra cosa dal trovare le parole per dirlo:

In questi giorni una canzone di Gino Paoli ha preso il largo sul mercato: si chiama il Pettirosso e parla di un pedofilo bambino settantenne e di una donna di 11 anni. Si chiama il Pettirosso ed ha la qualità di mostrare che la mentalità indulgente ed autoassolvente del violento non è né clandestina né apertamente scurrile.

In questi giorni il capo del governo ha detto che tutta la questione riguarderebbe “le belle donne” , esponendo verbalmente il vissuto di una classe politica che ancora considera l’agire violento “omaggio alla bellezza”. Potremmo nominare ad una ad una nel presente e nel passato la quantità di ipocrisie e sciocchezze dette dai politici e dai personaggi pubblici, e ad una ad una vanno dette.

La cultura cambia, ma se il tempo è troppo lungo lascia sul terreno vittime di carne e sangue, che attendevano il cambiamento. La cultura cambia, ma quella ufficiale è ferma e crede che basti far finta di discutere le regole che non assume mai.

Come le guerre, la violenza ha ragioni che nessuno vuol dire e che riguardano interessi molto sostanziosi. Svelare le ragioni è difficile nel frastuono delle finte liti, ma è il compito di chi vuol davvero cambiare.

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Quali interessi serve la violenza?

di Angela Giuffrida

Io credo che svelare gli interessi che sostengono il dominio maschile non sia sufficiente per spiegare una violenza così generalizzata, brutale, insensata. Nel suo articolo “Vantaggi e svantaggi dell’essere patriarchi”, pubblicato sul sito de Il paese delle donne il 25 gennaio 2009, Lidia Menapace scrive: “Credo che… sia possibile un discorso di verità tra i generi e che ci si possa anche scambiare una qualche ricetta di reciproca liberazione, e cercar di capire quanta felicità serenità innocenza gioia divertimento potrebbe venire da relazioni liberate dalla paura violenza potere sfruttamento”.

Secondo me la tenacia di una simile illusione, condivisa dalla maggior parte delle donne nel mondo, è dovuta ad una mancata, consapevole assunzione dell’ enormità dei comportamenti criminali maschili , enormità intesa come “estensione pervasiva” e ferocia sanguinaria.

Illusorio appare, pertanto, il tentativo di combattere la violenza di genere separandola dall’universale violenza che struttura in toto ed in ogni singola parte le società androcentriche.

Stefania Cantatore nell’articolo “La staffetta e la cultura”, apparso nello stesso foglio il 26 u.s., “di fronte alle ennesime vittime di una strage mai finita”, sostiene che “la violenza sessuata è un problema strutturale che tocca in tutti i suoi aspetti il patto sociale, la cultura per esempio”, e accusa giustamente di complicità la “cultura ufficiale” in cui “la mentalità indulgente ed autoassolvente del violento” si esprime anche nei “toni del lirismo e del sapere ‘ammesso’…Si tratta”, dice, “di cultura, non può essere né punita né nascosta, va semplicemente svelata…Come le guerre, la violenza ha ragioni che nessuno vuol dire e che riguardano interessi molto sostanziosi…Svelare le ragioni è difficile nel frastuono delle finte liti, ma è il compito di chi vuol davvero cambiare”.

Io credo che svelare gli interessi che sostengono il dominio maschile non sia sufficiente per spiegare una violenza così generalizzata, brutale, insensata. Intanto “la violenza sulle donne” non è, come Cantatore crede, “un male solo per le donne”, perché lo sfruttamento, la violazione, l’assassinio di una parte così rilevante e imprescindibile della specie non possono non legittimare l’estensione degli stessi comportamenti criminali anche agli individui di sesso maschile, e perché, essendo le donne le artefici della vita e dello sviluppo anche mentale della propria specie, la loro repressione non può non condurre la stessa, com’è sotto gli occhi di tutti, verso un’involuzione che ne pregiudica anche la sopravvivenza.

Non ci sono interessi, per quanto “sostanziosi”, che possono sostituire l’ interesse fondamentale di ogni specie vivente per cui le madri umane hanno sviluppato la ragione, cioè mantenersi in vita ed evolversi per vivere meglio.

Infrangere così platealmente il superiore fine si può solo a condizione di non riconoscere un essere umano, di non attribuire alcun valore alla vita, propria e altrui, di non comprenderne l’unicità. Il progressivo incivilimento della mente rende ripugnante non solo l’idea di sopprimere, ma anche solamente di far soffrire un’altra persona; che tipo di percorso evolutivo ha seguito il maschio umano se, ricorrendo continuamente e costantemente alla forza, mostra di coltivare la barbarie? La risposta violenta non è forse il fallimento della ragione?

A mio parere la sinistra “macelleria” di vite umane e l’assurda determinazione a cancellare la vita dalla faccia della terra potranno essere seriamente contrastare solo quando le donne si persuaderanno a disvelare l’intima insensatezza e inconsistenza del logos maschile.