IL PROBLEMA NON È SE “DIO ESISTE O NON ESISTE”, MA CHI PRETENDE DI GOVERNARE IN SUO NOME

di Marcello Vigli

L’Italia sta avviandosi a diventare un nuovo tipo di stato fra il teocratico e il cesaropapista

In una nazione di cristiani, musulmani, ebrei, induisti, non credenti, Obama può ben invocare l’aiuto del Dio confinato in una “religione civile” fatta di tradizioni e liturgie tutte americane. I cittadini statunitensi sanno dai tempi dei Padri pellegrini che non da lui bisogna guardarsi, ma da chi pretende di esercitare il potere in suo nome.

Negli Usa è in gran parte vero quello che ha dichiarato la presidente del Piemonte Mercedes Bresso intervenendo a ’24 Mattino’ su Radio 24: “Non viviamo in una repubblica di ayatollah, nella quale il diritto religioso fa premio sul diritto civile”.

Anche in Italia siamo in molti ad augurarci che sia vero, ma purtroppo se ancora non viviamo del tutto in una teocrazia matura, stiamo avviandoci a diventare un nuovo tipo di stato fra il teocratico e il cesaropapista.

Il ministro Sacconi ricatta i poteri locali costringendoli ad anteporre i diktat della gerarchia cattolica ai pronunciamenti della Corte di Cassazione. Il ministro Maroni pretende di dettare norme liturgiche stabilendo luoghi e tempi in cui si può pregare. Il Presidente Fini detta lezioni di omiletica imponendo la lingua da usare nella predicazione del Corano.

Ad opporsi a questa deriva le forze politiche democratiche sono sempre più latitanti e dalla società civile si levano voci sempre più flebili per denunciarne gli effetti devastanti.

Bisogna forse prendere atto che, a monte, devastante è nella nostra cultura la mancanza di un approccio laico ai fenomeni religiosi, alla loro diversità nel tempo e nello spazio e ciò ha impedito che l’accelerato processo di secolarizzazione favorisse lo sviluppo della cultura della laicità .

Tale mancanza ha favorito nel tempo, invece, il clericalismo delle oligarchie ecclesiastiche, il cinico affarismo della Compagnia delle Opere, l’integrismo dei cattolici progressisti, la miopia politica dei cattocomunisti e dei comunisti ingraiani, l’opportunismo ieri dei “partitini laici”, dei craxiani ieri e dei teocon oggi, la supponente indifferenza delle tante “nuove sinistre”, il mix di xenofobia e di fondamentalismo dei leghisti.

La ricerca delle responsabilità pregresse di questa mancanza, per non diventare esercitazione retorica o peggio comodo alibi, non deve far perdere di vista la soluzione data dal nuovo concordato craxiano alla questione dell’insegnamento della religione nella scuola: ha mantenuto, di fatto, l’appalto dell’informazione sui fatti e i fenomeni religiosi concesso dal fascismo alla Chiesa cattolica.

Secondo il vecchio Concordato, infatti, lo Stato affidava alla Chiesa cattolica un insegnamento della religione obbligatorio, con diritto all’esonero motivato; l’art. 9 del nuovo concordato l’ha trasformato in insegnamento della religione cattolica (irc) rendendolo facoltativo, ma impegnando lo Stato a fornirlo a chi lo avesse chiesto all’inizio dell’anno scolastico.

Con buona pace delle successive Intese con le altre confessioni religiose, la scelta di non avvalersi crea discriminazioni. A scuola, lo si voglia o non, s’impara che la religione cattolica è parte integrante della cultura nazionale, la Chiesa cattolica è pienamente integrata con la società, i suoi funzionari fanno parte della pubblica amministrazione, le sue gerarchie sono un pezzo del ceto dominante.

È un po’ difficile per chi si è formato in questa scuola non considerare ovvio che il governo s’inchini al volere della Cura e della Cei, il Parlamento rinunci a legiferare sui Dico o sul testamento biologico per non urtarne le sensibilità, e che …. l’ultima parola sul diritto a morire di Eluana Englaro sia tolta alla Cassazione.

Forse c’è qualcosa in più da fare che sfogarsi a scrivere sulle fiancate di tram che Dio non c’è: anche quelli che lo sanno o credono di saperlo lo considerano irrilevante, perché è come se ci fosse perché al suo posto c’è chi esercita il potere in suo nome.