Laicità senza aggettivi

di Marcello Vigli

Fulminato sulla via della singolare casualità della storia [che] ha voluto che la ricorrenza degli ottant’anni del Concordato cada proprio a venticinque anni dalla stipula della revisione del Concordato stesso Gianfranco Fini scopre la “laicità positiva”. Lo scrive in una lettera alla Repubblica del 19 febbraio, Ad illuminarlo sarebbe stato l’uso di questo concetto da parte di Nicolas Sarkozy, nel suo discorso pronunciato a San Giovanni in Laterano nel 2007. Se ne rallegra Fini perché: quel concetto di “laicità positiva” era già ben presente nell’Accordo Craxi-Casaroli del 1984 di modifica del Concordato.

Così alla “sana laicità” si aggiunge un’altra definizione di comodo che consente a laici devoti e a teodem di ergersi a paladini della laicità dello Stato, all’ombra di quel “Concordato-quadro” a maglie larghe, che rimandava la disciplina concreta dei singoli settori a successivi accordi, o a intese attuative tra il Governo e la Conferenza episcopale italiana, sulla base della “reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e per il bene del Paese” (articolo 1 dell’Accordo). Le vicende delle ultime settimane hanno ormai chiaramente rivelato che, per quella collaborazione, manca il fondamento, cioè una comune concezione dell’uomo e del bene del Paese, smentendo definitivamente quanti l’hanno valutato innovatore.

Lo si è visto quando si è rischiata la più grave crisi istituzionale della nostra storia repubblicana, che ha visto schierati da una parte Presidente del Consiglio e gerarchie ecclesiastiche, vaticana e italiana, e dall’altra il Presidente della Repubblica e le Supreme corti, Cassazione e Consulta, che avevano riconosciuto il buon diritto di Beppino Englaro. Come si può collaborare se sul diritto a gestire la propria vita, sulla libertà di coscienza, sui confini fra la “sovranità della Chiesa e quella dello Stato non c’è convergenza?

In realtà solo l’acquiescenza delle forze politiche, di maggioranza e di minoranza, parlamentari ed extra parlamentari ha fin qui consentito che si potesse fingere di ignorare il tasso di confessionalizzazione delle Pubbliche Istituzioni presente negli Accordi del 1984. Eppure c’è solo l’imbarazzo della scelta dalla ridicola pretesa dell’assessore capitolino di imporre ai ragazzi delle mense scolastiche l’obbligo dell’astinenza dalla carne, che neppure la normativa canonica prevede, alla strutturale impossibilità di approvare una legge sulla libertà religiosa.

Fini si rammarica della sua assenza, ottenendo la riconoscenza dei responsabili degli evangelici italiani, ma non riconosce che non sarà mai possibile approvarne una decente finché resteranno in vigore quegli Accordi e le successive Intese. Ogni progetto fin qui presentato ha urtato, infatti, contro l’insormontabile scoglio della disuguaglianza che si verrebbe a creare fra cattolici protetti dal Concordato, evangelici ed ebrei protetti dalle Intese, attuali o future, e i cittadini non credenti o credenti in altre religioni non regolate da Intese.

In regime democratico non ci può essere autentica libertà religiosa se tutte le religioni e le loro chiese non sono ricondotte nell’ambito della normativa che regola la vita associata di tutti i cittadini che l’articolo tre della nostra Costituzione vuole di pari dignità e eguali “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Nessuna laicità “sana” o “positiva” potrà sanare questa contraddizione