Così un teologo vede l’evoluzione

di Vito Mancuso
in “la Repubblica” del 28 febbraio 2009

Il punto fondamentale consiste nel fare chiarezza su ciò che intendiamo quando parliamo di
“natura”. Un tempo gli scolastici iniziavano sempre le dispute facendo l’explicatio terminorum: e
allora, cosa intendiamo per natura? Noi, noi uomini, facciamo parte della natura o la natura è
solamente quella che sta là fuori? La prima prospettiva implica che tutto è natura, che anche noi
siamo natura, e io sono d’accordo con questa impostazione. Cioè non vedo me stesso, il fenomeno
umano, la civiltà umana, con i suoi aspetti culturali, spirituali, etici, come un’altra cosa rispetto alla
natura.
Io penso che il dualismo natura-cultura sia appunto, in quanto dualismo, un paradigma non
accettabile. Così come non è accettabile il dualismo teologico che parla dell’anima e dello spirito
come dotati di una sproporzione ontologica rispetto alla materia.
Tutto è natura: se Dio esiste anche lui va pensato come natura; ne è certamente una forma
particolare, la più alta, ma è comunque natura.
Ovviamente la natura è un processo, è un qualche cosa che continuamente avviene, quindi contiene
inevitabilmente, soprattutto nel suo stadio elementare, la possibilità dell’errore. È verissimo che la
stessa mutazione che da un certo punto di vista genera qualcosa di disumano, dall’altro è all’origine
dell’evoluzione. Però il punto qual è? Il punto è che quella singola mutazione in quanto tale non è di
fatto all’origine dell’evoluzione: se quella singola mutazione non è conforme a un ordine superiore,
a un accrescimento dell’organizzazione, all’interno dell’organismo e nel rapporto del singolo
organismo con l’ambiente, la natura, il web of life non la accetta; la considera appunto una malattia,
un handicap e come tale non la riproduce. Quindi è la natura stessa che da un lato è cieca, è il
“cappellano del diavolo”, dall’altro è però abitata da una logica che discrimina i suoi stessi errori.
Quelle mutazioni, o meglio, quegli errori sotto forma di mutazione destinati a produrre
un’organizzazione maggiore infatti non vengono eliminati ma riprodotti.
In merito ad alcuni giudizi sul darwinismo espressi nel mio libro L’anima e il suo destino, ci tengo a
precisare che io mi riferivo alla vulgata del darwinismo.
Ora, che la vita sia competizione è chiaro. Ma altrettanto chiaro mi pare che la vita abbia dentro di
sé anche una logica che non sia quella competitiva, ma associativa, quella dell’aggregazione, quella
della simbiosi. Queste sono tutte attestazioni che emergono dalla stessa analisi scientifica. E allora,
la vulgata darwinista è in grado di accogliere anche questo aspetto aggregativo, relazionale che
nella vita emerge incontrovertibilmente? A me pare di no da quello che normalmente si legge sui
giornali, da quel tipo di approccio che genericamente fa riferimento ad un certo darwinismo. A me
pare che la vulgata darwinista tradizionale sia rigidamente impostata seguendo il percorso che dalla
mutazione casuale porta alla selezione naturale che discrimina: ciò che funziona in ordine
all’ambiente, ciò che ha la forza di poter resistere all’interno dell’ambiente, resiste, ciò che non è
forte non resiste.
Intendo semplicemente dire che la natura – compreso il processo umano in quanto processo naturale
– certamente lavora secondo la logica della guerra, ma mi sembra che ci sia anche dell’altro nel
fenomeno vita: c’è anche la relazione, c’è anche la simbiosi, c’è anche il commercio. Questo vale per
il fenomeno umano in quanto natura, ma vale anche probabilmente fin dall’origine del fenomeno
naturale, fin dai primi organismi. In tal senso gli studi di Lynn Margulis mi sembra non
costituiscano una smentita del darwinismo, bensì un’integrazione. Questa eminente studiosa ci dice
che la vita all’inizio si è sviluppata come cellule senza nucleo, i procarioti, ed è andata avanti così
per due miliardi di anni. Quando poi a un certo punto dai procarioti si è passati alle cellule con
nucleo, cioè agli eucarioti, questo è avvenuto tramite simbiosi: non c’è stata competizione in questo
caso, perché la cellula eucariota è nata dall’unione, dall’aggregazione di procarioti con altri
procarioti, alcuni dei quali sono giunti a costituire il nucleo, altri i mitocondri del citoplasma
cellulare. Così si è avuto un passaggio evolutivo decisivo mediante una simbiosi: sym-bios, ovvero
vita-con.
Ora, io francamente qui mi muovo su un terreno non mio, però posso notare che questa dinamica
riscontrabile fin dal primo livello dell’essere, vale anche per il più grande livello dell’essere che è il
nostro. Intendo dire che anche all’interno del fenomeno umano, dove ci sono conflitti, scontri,
guerre, competizioni dure, c’è anche un altro aspetto, che forse è addirittura più importante, che è
quello della relazione amichevole, di una relazione capace di costruire comunanza, comunità,
famiglia, Stato eccetera. Tali relazioni si basano su questo sym-bios, su questa capacità degli uomini
di fare polis, di fare comunità.