Bioetica e dialogo ebraico-cristiano all’od.g. per i rabbini europei

di François-Xavier Maigre
in “La Croix” del 5 marzo 2009 (traduzione: www.finesettimana.org)

Stati generali della bioetica, caso Williamson, viaggio del papa in Terra Santa… sono tutti temi
scottanti sui quali si attendeva una parola dalla comunità ebraica. I 300 rabbini d’Europa e d’Israele
riuniti ieri in seminario a Parigi sotto il patrocinio del Centro rabbinico europeo (RCE) non hanno
mancato di commentare ognuna di tali questioni d’attualità. Un contesto sensibile, che esige una
“parola chiara” secondo Mendel Samama, addetto stampa di RCE, che parlava ieri ad un gruppetto
di giornalisti nella calma ovattata di un albergo del quartiere parigino del Marais.
A detta dei rabbini presenti, il caso Williamson era “il” dossier atteso di questo incontro. Tutti hanno
potuto esprimersi sul caso del vescovo integralista negazionista. Senza dubbio perché ciò “ha a che
fare con il dialogo ebraico-cristiano, che è una sfida tra le più importanti”, ha sottolineato
Benjamin Jacobs, gran rabbino d’Olanda, consapevole del fatto che “entrambe le comunità soffrono
per tali dichiarazioni”. David Messas, gran rabbino di Parigi, ha voluto tranquillizzare: “Le nostre
relazioni sono estremamente buone”, ha assicurato. Dal Vaticano II in poi, lavoriamo insieme in
molte riunioni e commissioni… I nostri rapporti hanno fatto progressi straordinari.”
Pur riconoscendo che il papa “ha ragione” di ricercare l’unità della Chiesa cattolica, capisce anche
che gli ebrei abbiano accolto in modo diverso il fatto che un negazionista possa venire reintegrato.
Deplorando che monsignor Williamson non abbia espresso un “vero pentimento”, accoglie con
favore le condanne inequivocabili di Roma e della Chiesa francese. Quindi, per lui, l’unica priorità è
“continuare a dialogare”, in particolare nell’“ambito dell’azione sociale”. Ha aggiunto: “Questo
lavoro siamo sempre disposti a farlo” per “andare avanti”. E ha concluso dicendo: “Non spetta a
noi, ma al papa chiudere questa faccenda.”
In questo contesto, il prossimo viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa è sentito dai rabbini come
un “simbolo molto importante”, dato che Israele non intende “cristallizzare delle tensioni
passeggere”, ma, al contrario, valorizzare “il pentimento e il perdono”. In fondo, riassume David
Messas, “noi vogliamo l’amicizia, la pace e la solidarietà”. Interrogato sul recente conflitto a Gaza,
ha preferito evitare l’argomento, ritenendo che il ruolo dei religiosi è quello di “favorire la
comprensione reciproca e la fraternità”, e non di pronunciarsi su delle opzioni politiche, per quanto
problematiche siano.
Particolarmente preoccupante è stato il quadro della situazione presentato in un altro registro da
Yerma Cohen, presidente del tribunale rabbinico di Parigi: “Al di là dei rigurgiti negazionisti
osserviamo un ritorno dell’antisemitismo. Certi partiti europei chiedono la proibizione della
macellazione rituale – cosa che i nazisti avevano attuato durante la Seconda Guerra mondiale.
Ancora più preoccupante, in questo periodo di crisi, il fatto che da qualche parte si cominci ad
accusare gli ebrei di essere all’origine dei problemi finanziari…” Secondo lui, incontestabilmente,
questi tre fenomeni “oggi stanno tornando” e meritano l’attenzione di tutti, media e opinione
pubblica.
Relativamente alla bioetica, i rabbini hanno sottolineato l’importanza di proporre una “risposta
insieme pragmatica ed etica ad una sofferenza personale”, che possa conciliare il senso dell’umano
e la fedeltà ai testi religiosi. A questo riguardo, il rabbino Benjamin David, consulente all’Istituto
Pouah di Gerusalemme (etica e consiglio alla procreazione), ha deplorato una medicina spesso
“staccata dai valori umani e dalla fede”. Nelle comunità, ogni rabbino si sforza di consigliare le
famiglie, ispirandosi alle raccomandazioni del Talmud, quando si trovano confrontate ad un
dilemma medico.
Inoltre, la riflessione bioetica può, secondo il gran rabbino di Parigi, suscitare dei “punti di
convergenza” tra cristiani ed ebrei: “Con il cardinale André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi,
abbiamo firmato un testo comune sul problema del fine vita”, esemplifica per spiegare le sue
affermazioni. Un documento per la cui redazione sono occorsi sei mesi, per la necessità di
soppesare ogni parola, ma che sottolinea un “possibile adeguamento” tra le due confessioni.
Un altro aspetto importante di questo seminario, ma più interno: la situazione della comunità
ebraica in Europa e la riflessione attorno alla “famiglia ebraica in crisi”. Presente in Francia con
600 000 membri, in Gran Bretagna con 200 000 e in Italia con 50 000, la comunità si trova a volte
di fronte al problema della “assimilazione”, che contribuisce ad erodere la pratica religiosa. Per i
rabbini, la lotta contro questo fenomeno è divenuta una “causa importante” e ritengono che, “per
trattenere i fedeli in seno all’ambito comunitario, bisogna sviluppare nuovi approcci”. Si rallegrano
tuttavia per il numero delle conversioni all’ebraismo (senza citare cifre), notando che spesso
riguardano persone provenienti da coppie miste – padre ebreo, madre non ebrea – che desiderano
riavvicinarsi alla religione dei loro antenati, che si trasmette attraverso la madre.
Infine, segno dei tempi, la comunità ebraica non sfugge alla tragedia del divorzio, constata Élie
Dahan, rabbino di Lilla e del Nord: “Noi sposiamo le persone sempre più tardivamente. Ad un’età
avanzata, si è meno in grado di accettare di vivere con i difetti dell’altro. Ecco una sfida
importante: cercare di pensare ad un avvenire per la famiglia e costruire progetti di coppia
coerenti.”