Facciamo la carità

di Maria Novella De Luca
da Repubblica, 6 aprile

Di solito sono le madri che bussano ai centri di solidarietà. Dignitose, vestite con cura. «Mi hanno detto che qui distribuite pacchi alimentari… Noi siamo in quattro. Grazie e arrivederci». Pane, latte, pasta, carne, olio, frutta, verdura. Generi di prima necessità. Medicine, pannolini, latte in polvere. Erano le spedizioni per il terzo e quarto mondo, il mondo povero della nostra beneficenza. Storia di ieri.

Adesso sono gli italiani con i conti in rosso che si mettono in fila per avere il loro pacco di viveri, due milioni e mezzo nel 2008, come fosse un tempo di guerra, una strana guerra che d’ un tratto ci ha svuotato le tasche. E’ un dato significativo, clamoroso: c’ è bisogno di beni primari tra le famiglie in affanno, e mentre lo Stato è in ritardo chi risponde è l’ antica rete della Carità, dell’ autoaiuto, della solidarietà porta a porta.

Una Carità nuova e postmoderna , quella del No-Profit, della Banca Etica e del Terzo Settore, del micro credito e del Banco Alimentare, che mentre offre aiuti spiccioli, quotidiani, il pranzo appunto, o la colletta per la rata di mutuo, s’ ingegna a trovare risposte più durature, con il collante dell’ economia sociale. Un welfare fai-da-te, privato, spontaneo, che ha stretto in un patto virtuoso associazioni laiche e cattoliche (ma è della Chiesa la parte del leone), a partire dal fondo “Famiglia e lavoro” lanciato dal cardinale Tettamanzi a Milano, passando per il fondo di garanzia di 30 milioni di euro istituito dalla Cei che dovrebbe garantire 300 milioni di prestiti bancari per le famiglie in crisi, anche se soltanto laddove le coppie sono regolarmente coniugate.

E poi la Caritas con le sue mense, i centri di ascolto, di supporto psicologico, ma anche legale e finanziario. «Per fortuna abbiamo iniziato vent’ anni fa, altrimenti non saremmo stati in grado di dare una risposta a questa domanda di cibo che cresce ogni giorno» dice Marco Lucchini, presidente della Fondazione Banco Alimentare, rete di organizzazioni no profit che raccoglie eccedenze alimentari dalle industrie, dai supermercati, dalle mense aziendali e le redistribuisce ovunque ce ne sia bisogno.

«Noi riforniamo 8.500 associazioni, e ci sono ormai così tante famiglie che si appoggiano a questa rete per far quadrare i loro magrissimi budget, che se per qualche ragione i centri chiudessero potremmo trovarci in una situazione di povertà sudamericana. La gente si vergogna di chiedere il cibo, ma viene: sono quasi sempre le donne che si affacciano, che fanno il primo passo. I maschi no, hanno pudore, spesso sono padri che hanno perso il lavoro, non ce la fanno, restano indietro, cadono in depressione. Noi ricicliamo qualunque cosa, ma il senso di quello che sta accadendo davvero l’ ho avuto qualche giorno fa, quando mi hanno proposto 1000 scrivanie usate, arredamento di un’ azienda appena chiusa…».

Ma è l’ intero universo del noprofit che sta cercando di “fare rete” per arginare l’ emergenza sociale. Una galassia di associazioni, dal volontariato agli enti locali, dalle Coop alle Misericordie, dall’ Arci alla San Vincenzo, dalle Acli alle iniziative spontanee, come le cooperative di inquilini che si tassano di un euro al mese per aiutare i condomini in difficoltà a pagare le utenze. Sigle riconducibili in gran parte al Forum del Terzo Settore, che riunisce oltre 100 reti associative che raggiungono capillarmente quasi 5 milioni di cittadini, al cui interno si colloca anche la Banca Etica.

«Un esperimento che sta funzionando e che anzi non è stato toccato dalla crisi – spiega Andrea Olivero, portavoce del Forum – proprio perché la Banca Etica avendo come fine quello di finanziare progetti di solidarietà e di microcredito non ha fatto investimenti pericolosi. Il nostro mondo però non può sostituirsi allo Stato. Infatti noi stiamo provando a gestire l’ emergenza, che può essere la distribuzione dei pacchi viveri o il pagamento di un’ utenza scaduta, la copertura di una rata o il reperimento di un’ alloggio. Ma siamo travolti dalla domanda- ammette Olivero – senza contare che il Terzo settore stesso sta vivendo una forte crisi economica, proprio perché lo Stato non ci ha ancora versato i fondi del 5 per mille raccolti lo scorso anno, una cifra alta, 350 milioni di euro, visto che ben 16 milioni di italiani hanno dato il loro contributo. Soldi con cui potremmo davvero aiutare le famiglie in difficoltà, ben più che la social card, vista anche la nostra capacità di utilizzare i fondi facendoli fruttare al massimo».

E’ un’ Italia sottotraccia quella che cerca di dare una risposta a chi non sa più come fare. Dalla rete delle Coop che nel Nord propone sconti del 10% sulla spesa per chi ha perso il lavoro, agli assegni di solidarietà, alla rete delle Casse di Risparmio che in alcune regioni hanno deciso di anticipare i fondi della cassa integrazione per aziende del territorio costrette a mettere in mobilità i dipendenti. Ma il dato significativo, come sottolinea Stefano Zamagni, professore di Economia Politica all’ università di Bologna, è che è stato «il No-Profit a dare la risposta più tempestiva alla crisi, e questo deve essere un campanello d’ allarme per il Governo, vuol dire che c’ è un ambito in cui sono le associazioni, è il terzo settore che può gestire meglio risorse».

Quello che Zamagni spiega è che passata la crisi economica «si dovrà passare dal vecchio al nuovo welfare, non più intervenire soltanto sulle condizioni, cioè sull’ emergenza, ma sulle capacità di vita delle persone». Con una struttura mista, dice Zamagni, «dove lo Stato mette le risorse, fissa i controlli, le regole, ma lascia poi al privato la gestione concreta dei progetti». E per avere un quadro di quello che sta accadendo basta ascoltare Giusi Colmo, che fa l’ ufficio stampa dell’ Auser, organizzazione di sostegno agli anziani, anzi di cittadinanza attiva, che ha 280mila iscritti, con 1500 sedi e 40mila volontari in tutta Italia.

«Gli anziani, che nell’ anello della crisi sono la parte più debole, ci chiedono sempre di più ciboe cure. Abbiamo dovuto aumentare la distribuzione domiciliare dei pasti, che recuperiamo anche noi dalle eccedenze delle mensee dei supermercati. Abbiamo sempre più domande per il nostro “taxisociale”, un servizio di trasporto verso i gli ospedali, i luoghi di cura, perché la mobilità è per gli anziani una vera emergenza… La cosa positivaè la sinergia delle associazioni, senza troppi steccati tra quelle laiche e quelle cattoliche.

Un’ altra spia dei nuovi disagi – aggiunge Giusi Colmo – è la richiesta di poter condividere appartamenti. Da tempo,e con successo, avevamo lanciato la formula dell’ abitare insieme, spingendo gli anziani ad affittare parte delle proprie abitazioni a studentie ragazzi. Adesso le richieste si sono triplicate. Così per le sartorie della solidarietà, 80 laboratori in tutta Italia gestiti da gruppi di anziane che fino ad oggi, con stoffe regalate da aziendee da privati, cucivano vestiti da mandare nei paesi poveri. Adesso, vista l’ indigenza di molte famiglie, abbiamo pensato di destinare quei vestiti a chi ne ha bisogno qui, tra di noi». Nell’ Italia in affanno di chi ha perso il lavoro, la sicurezza, la fiducia nel futuro.