CRISTIANESIMO, UNA RELIGIONE TRA LE ALTRE?

da www.adistaonline.it

Non c’è nulla di sacro nel Vangelo: il progetto di Gesù, che non era quello di fondare una religione bensì di proclamare e realizzare il Regno di Dio tra gli uomini, ricade interamente nell’ambito del profano, ponendo al centro l’essere umano con la sua ricerca di libertà e di felicità. A sostenere questa tesi – ampiamente condivisa nell’ambito della teologia progressista – è il teologo spagnolo Carlos Escudero Freire, ex salesiano, autore del libro Jesús y el poder religioso. El evangelio y la liberación de los oprimidos, il quale, analizzando alcuni passaggi centrali del Vangelo, mostra come essi si pongano al di fuori di ogni mediazione sacra, configurandosi “nell’ambiente laico o profano nel quale si muoveva Gesù”. Dall’episodio dell’Annunciazione (dove non c’è alcun sacerdote a fare da intermediario, né un tempio, né un’offerta rituale) a quello della nascita di Gesù, dal suo comportamento nei confronti delle principali istituzioni sacre di Israele (il sabato, il tempio) fino al senso profondo dell’eucarestia e della crocifissione, la novità radicale di Gesù appare direttamente legata all’abolizione del sacro: “Gesù – afferma il teologo spagnolo – inaugura la normalità del profano, del secolare, del laico, in una parola, della vita quotidiana”. Di seguito ampi stralci del-l’intervento del teologo, tratto dal sito di Redes Cristianas (14/5), in una nostra traduzione dallo spagnolo. (Claudia Fanti)

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CRISTIANESIMO, UNA RELIGIONE TRA LE ALTRE?
di Carlos Escudero Freire Córdoba

(…) Il sacro e il profano nei Vangeli

Il tema del sacro e del profano è uno dei punti più importanti e conflittuali che differenziano il Nuovo dall’An-tico Testamento. Per questo è bene spiegare la portata del concetto di profano. Il profano, in quanto opposto al sacro, indica innanzitutto l’autonomia degli esseri umani rispetto alla realtà che li circonda e con la quale si relazionano costantemente; indica il quotidiano, la normalità nella vita delle persone, il secolare, ciò che ha a che vedere con i laici.

Così, la laicità non dovrebbe intimorire tanto la gerarchia ecclesiastica, dal momento che è stata lei stessa a dividere il mondo cattolico in chierici e laici. Operando questa divisione, la gerarchia ha lo scopo di distinguersi nettamente dai laici per diventare l’unico referente sacro con ogni tipo di prebenda, onore e privilegio, mentre i laici costituiscono il mondo – comune e corrente – del profano.

La gerarchia (…) è la padrona assoluta del campo religioso e amministra – perché così ha deciso durante la storia secolare della Chiesa -, tutto il tema del sacro: i sacramenti, le messe, i tridui, le novene, i pellegrinaggi ai luoghi sacri, le apparizioni della vergine e i templi costruiti ovunque. In più decide quali credenti proclamare beati e santi qui sulla terra. Possiede il monopolio totale del sacro e della santità.

La gerarchia ha anche il potere sacro di benedire, e in effetti benedice tutto, finanche gli organismi bancari che tanto hanno avuto a che fare con la crisi sociale ed economica in cui siamo immersi fino al collo. In un passato non molto lontano benediva anche i cannoni, i carri armati e la guerra. Con queste incursioni nel terreno dei laici ha voluto dimostrare il suo potere e il suo dominio su tutto. In una parola, la gerarchia appartiene alla sfera di Dio e del divino e si prende carico di tutto ciò che è relazionato con Dio come intermediaria e amministratrice del sacro.

I laici, al contrario, sono legati mani e piedi e restano totalmente alla sua mercé. In quanto cristiani, molti credenti vivono in totale dipendenza dalla gerarchia e dalle sue norme, senza crescere come persone, in un perpetuo infantilismo. Il problema che si pone è di stringente attualità, perché i laici si stanno svegliando, raccogliendo sempre più l’invito dei vangeli a evolversi e a realizzare una vita libera, felice e piena. È per questo che esigono autonomia nel quotidiano delle loro vite, cercando di demistificare il sacro a partire da passaggi di fondamentale importanza dei vangeli.

(…) Bisogna dimostrare se i passaggi centrali dei vangeli sono andati emergendo e configurandosi nell’ambito secolare, cioè nell’ambiente laico o profano nel quale si muoveva Gesù o, al contrario, in luoghi sacri o collegati al sacro. (…) Quel che avviene in realtà è che il divino, il trascendente e le sue manifestazioni sono considerati dalla gerarchia come qualcosa di sacro, essendo così essa legittimata a costituire ministri di culto o intermediari sacri (…). In tutte le religioni esiste la mediazione sacra, anche nell’ebraismo, ma non era così alle origini del cristianesimo, che per ciò stesso non può essere considerata come una religione tra le altre.

La prassi storica del cristianesimo, come una religione qualsiasi, si scosta in maniera sostanziale dal progetto iniziale di Gesù che non pensò mai di fondare una religione come le altre bensì di proclamare e realizzare il Regno di Dio tra gli uomini, con valori qualitativamente nuovi e rivoluzionari, tanto nell’ambito religioso quanto in quello politico-sociale. Tutte le religioni – anche il cristianesimo nel suo divenire storico – hanno sottomesso, dominato, emarginato e perfino schiavizzato l’essere umano in diversi modi. Il Vangelo, al contrario, pone l’essere umano al centro, e ricerca la sua crescita, la sua libertà e felicità. L’uomo sta al di sopra di qualsiasi istituzione per quanto sacra possa essere. (…).

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1. Il Vangelo dell’infanzia di Luca

Il Vangelo dell’infanzia è l’ultimo che Luca incorpora alla sua opera. Per questo racchiude la cristologia più avanzata del terzo evangelista. Contiene anche altri dati interessanti sul tema che ci interessa. Cominciamo col confrontare la figura di Giovanni Battista con quella di Gesù.

L’annuncio a Zaccaria: Luca 1,5-25

Dopo il prologo alla sua opera (Lc 1,1-4), il Vangelo del-l’infanzia si apre con l’annuncio della nascita di Giovanni (1,5-25). Le circostanze in cui avviene ci introducono in un ambiente marcatamente sacro: Zaccaria, suo padre, era sacerdote. (…). Zaccaria si trovava in un luogo sacro, celebrando un atto di culto che potevano celebrare solo i sacerdoti. (…). Ebbene, in questo ambiente sacro avviene l’ap-parizione dell’angelo del Signore a Zaccaria (Lc 1,11). Gli annuncia la nascita di Giovanni, malgrado sua moglie Elisabetta sia sterile ed entrambi siano anziani. Annuncia anche il carattere profetico della figura di Giovanni, affermando che sarebbe stato il precursore di Gesù.

Malgrado sia sacerdote e malgrado le altre circostanze del rito sacro che sta celebrando, Zaccaria si mostra incredulo di fronte all’annuncio dell’angelo: “Ed ecco, sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, le quali si adempiranno a loro tempo” (Lc 1,20).

La conclusione è chiara: Zaccaria, sacerdote impegnato in un atto rituale e sacro nel santuario, non ha fede, non si fida del Signore. Con la punizione della perdita della parola, in quanto prefigurativa e simbolica, Luca fa ammutolire tutta la casta sacerdotale, perché celebrare riti sacri senza fede è un inganno. Fidarsi di Dio è fondamentale e la fede non è relazionata al sacerdozio, ai suoi riti e ai luoghi sacri, come vedremo con l’Annunciazione.

L’Annunciazione: Luca 1,26-38.

(…) L’angelo Gabriele appare a Maria a Nazareth, un villaggio sconosciuto nell’Antico Testamento. Inoltre, Nazareth appartiene alla Galilea, provincia lontana dal potere politico-religioso il cui centro era a Gerusalemme (Giudea). Non troviamo niente di sacro in questa scena: non c’è un sacerdote a fare da intermediario, né un tempio, né un’offerta ri
tuale, come nel caso di Zaccaria. Maria si trova nella sua casa e lì ha luogo l’annuncio dell’angelo. È una ragazza anonima, sconosciuta, ma è la prescelta del Signore. Così per pura grazia e iniziativa di Dio, Maria irrompe direttamente e con forza nella storia della salvezza, lasciando in secondo piano Giuseppe, padre del bambino, e la stirpe di Davide.

(…) Finito l’annuncio, Maria fa un’obiezione: “‘Come è possibile? Non conosco uomo’. Le rispose l’angelo: ‘Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque Santo e chiamato Figlio di Dio’” (Lc 1, 34-35).

(…) Maria è presentata come credente: accetta gli eventi che si sarebbero sviluppati intorno alla personalità e alla condizione di suo figlio. Questa è la sua grandezza e in questo si differenzia da Zaccaria. Il padre di Giovanni, sacerdote, non crede nell’annuncio del Signore (Lc 1,18-20); Maria, al contrario, accetta il messaggio di Dio e risponde all’ange-lo: ‘Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto’” (Lc 1,38).

La sua fiducia in Dio è totale; crede che nulla sia impossibile a Dio (Lc 1,37), e per questo dà il suo assenso all’annun-cio di Gabriele. Questa è la vera grandezza di Maria, e per questo la prima beatitudine del Vangelo di Luca, per bocca di Elisabetta, è per lei: “‘E beata colei che ha creduto nell’adem-pimento delle parole del Signore’” (Luca 1,45).

(…) In questa scena tanto importante dell’Annunciazione è intervenuto direttamente Dio – la sua rivelazione per mezzo dell’angelo – manifestandosi non nell’ambito del sacro, ma in quello del profano, del quotidiano, della normalità.

La nascita di Gesù: Luca 2,1-20

(…) Attraverso la nascita di Gesù in un presepe, non a-vendo trovato alloggio in albergo, comprendiamo la condizione di Maria e di Giuseppe come persone normali e comuni. Questo fatto ha anche un significato teologico per il bambino, nato povero tra i poveri (i pastori).

Questo racconto della nascita di Gesù è in un contrasto forte e chiaro con le celebrazioni natalizie nelle diverse cattedrali, basiliche e templi di tutto il mondo cristiano. La sontuosità del sacro ha potuto assorbire, senza che ce ne rendessimo conto, la realtà quotidiana, semplice e profana della vita di Maria e Giuseppe e della nascita di Gesù in condizioni di dura povertà. Ma per capire tutto ciò con maggiore chiarezza esaminiamo la rivelazione celeste con cui l’angelo del Signore si rivolge ai pastori.

(…) “C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l’angelo disse loro: ‘Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia’” (Lc 2,8-12).

Questo segno risulta paradossale e sconcertante se lo confrontiamo con i titoli attribuiti a Gesù. Per comprenderne la portata, bisognerà chiedersi chi sono i pastori e chi rappresentano in questa scena. (…). Per i contemporanei di Gesù, i pastori erano persone pericolose, sempre pronte allo scontro. Per questo erano disprezzati e totalmente emarginati dalla società del tempo, non avendo diritti civili né religiosi. Erano considerati delinquenti abituali, sempre pronti al furto e alla rapina, completamente inaffidabili, tanto da non poter testimoniare in giudizio. In questo senso erano equiparati agli esattori delle tasse, considerati dagli ebrei come pagani. I farisei inoltre li disprezzavano perché, essendo nomadi, non potevano rispettare le prescrizioni della Legge.

Gesù, dotato di prerogative divine, viene a restituire la dignità perduta ai pastori e alle emarginate, oppresse e sfruttate di tutti i tempi, che essi rappresentano.

Per quanto detto finora, in relazione alla nascita di Gesù e alla rivelazione fatta dall’angelo del Signore, non c’è alcuna traccia di sacralità. Siamo di fronte ad una rivelazione divina, ma la categoria del sacro non è applicabile a Dio. Il sacro è stato creato dall’uomo per farsi intermediario tra il divino e l’umano. Nella rivelazione celeste di questa narrazione non c’è alcun intermediario. Dio si rivolge direttamente ai pastori. Il sacro è completamente assente da questa scena. Si tratta di un ambiente profano o secolare.

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2. Gesù demolisce le principali istituzioni sacre di Israele

Il sabato

Il sabato (Mc 2,23-28) ha sempre rappresentato una delle istituzioni fondamentali dell’ebraismo. L’osservanza del riposo sabbatico ha costituito nei secoli un segno distintivo degli ebrei rispetto ai popoli pagani. (…).

Osservare questo precetto aveva un peso uguale a quello di tutti gli altri messi assieme: osservarlo correttamente, cioè, equivaleva a rispettare tutta la legge. La sua trasgressione era paragonata ai peggiori peccati: idolatria, assassinio, incesto.

Marco comincia così l’episodio del sabato: “In giorno di sabato Gesù passava per i campi di grano, e i discepoli, camminando, cominciarono a strappare le spighe” (Mc 2,23).

In questa narrazione i discepoli di Gesù strappano le spighe spontaneamente, senza che egli intervenga. Per i farisei costituiva una violazione del precetto del sabato, ma i discepoli di Gesù si comportavano con sempre maggiore libertà, ispirati dalla condotta abituale del Maestro.

“I farisei gli dissero: ‘Vedi, perché essi fanno di sabato quel che non è permesso?’” (Mc 2,24).

Gesù intavola con loro una discussione e conclude dichiarando in maniera netta: “‘Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato! Perciò il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato’”. (Mc 2,27-28).

Gesù è guidato dallo Spirito, che lui ha portato al resto dell’umanità, cosicché anche l’essere umano è signore del sabato e di qualsiasi altra legge. La legge risulta una tappa superata. L’uomo ha una nuova legge interiore, lo Spirito Santo, che lo rende figlio di Dio e signore della legge, come Gesù. Ciò che è veramente sacro, e degno di rispetto, sono l’uomo e la donna, che sono al centro del messaggio di Gesù.

Il tempio

Il tempio ha compiuto la sua funzione. Gesù è il nuovo tempio (Giovanni 2,13-22). Nella dinamica del vangelo di Giovanni, la persona di Gesù si va sostituendo a tutte le istituzioni sacre di Israele.

La scena è nota. Dopo aver scacciato le pecore e i buoi, e aver gettato a terra il denaro dei cambiavalute, Gesù dice: “Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato” (Gv 2,16).

I cambiavalute, installati nel tempio, rappresentano il sistema finanziario di quel tempo, e della nostra epoca. Il culto nel tempio garantiva ingenti ricchezze a quanti vivevano di esso direttamente o indirettamente, dalla casta sacerdotale fino ai semplici impiegati. Il gesto di Gesù tocca il punto nevralgico del tempio: il suo sistema economico-finanziario.

Cacciando dal tempio gli animali che si utilizzavano per i sacrifici, dichiara inutili e nulli tali sacrifici, che costituivano la parte essenziale del culto. I profeti proponevano la riforma del culto, Gesù l’abolizione.

Il tempio, luogo sacro, dove Dio dovrebbero risiedere e manifestare la sua gloria e il suo amore, era diventato un luogo di sfruttamento, abuso e inganno.

L’abolizione del culto rientra nell’abolizione del sacro che abbraccia e ingloba tutto. La novità radicale di Gesù è legata direttamente all’abolizione del sacro. Gesù inaugura la normalità del profano, del secolare, del laico, in una parola, della vita quotidiana. La sua persona, il suo insegnamento e la sua attività si muovono in questo ambito della vita
quotidiana, del profano. È vero che il sacro è essenziale e imprescindibile per tutte le religioni ma il Vangelo non ci presenta un Gesù che inaugura un’altra religione. Il Vangelo, riflesso fedele di Gesù, è laico.

Nell’Antico Testamento, la legge era esterna all’essere umano, ma sacra, in quanto data da Dio a Mosè, e (…) costituita in segno dell’Antica Alleanza. Al contrario, il dono per eccellenza del Nuovo Testamento è lo Spirito Santo, legge interiore e forza divina nell’essere umano. È gratuito, non può essere controllato da alcun intermediario, bensì richiesto dal credente al Padre: “Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!”. (Lc 11,13)

Si potrebbe annunciarlo con questa frase lapidaria del terzo evangelista: “La Legge e i Profeti fino a Giovanni; da allora in poi viene annunziato il regno di Dio” (Lc 16,16). (…).

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3. Il senso profondo dell’Eucarestia (Mc 14,22-25) e della morte di Gesù in croce

(…) Nella narrazione che fa Marco della cena, Gesù e-sprime la sua volontà di donarsi fino all’estremo, accettando la sua morte come conseguenza dell’attività e dell’inse-gnamento che aveva portato avanti. Il dono di sé senza riserve da parte di Gesù, fino a versare il suo sangue, diventa segno e fondamento della Nuova Alleanza, patto definitivo tra Dio e tutta l’umanità.

Marco racconta così la cena: “Mentre mangiavano prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: ‘Prendete, questo è il mio corpo’” (Mc 14,22). Gesù dice che il pane è il suo corpo. Secondo l’antropologia del-l’epoca, il suo corpo significa la sua persona. Prendere il pane, la persona di Gesù, significa quindi identificarsi con lui. In pratica vuol dire che il discepolo di Gesù deve cercare di vivere in completa armonia e sintonia con lui. La persona di Gesù, la sua presenza, il suo esempio e il suo insegnamento adattati al nostro tempo devono illuminare e stimolare l’azione dei suoi discepoli.

“Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse: ‘Questo è il mio sangue, il sangue del-l’alleanza versato per tutti’” (Mc 14,23-24).

Riguardo al calice, solo quando tutti avevano bevuto il vino, Gesù ha spiegato il suo significato: bere dal calice è identificarsi con il suo sangue, il sangue dell’alleanza, versato per tutti (14,24). Pertanto, colui che beve questo vino si identifica con la sua morte violenta e, essendo sulla croce, con la sua esclusione dalla società, perché Gesù morì spogliato della sua dignità personale e di tutti i diritti civili e religiosi.

Non è significativo solo che Gesù muoia giustiziato come un indesiderabile tra tanti. Ancora più significativo è come fu giustiziato. La sentenza di Pilato, su istanza dei capi religiosi e politici dell’istituzione ebraica, fu la morte in croce. Sulla croce erano giustiziati gli schiavi che cercavano di emanciparsi e i sovversivi nei confronti dell’Impero romano. È fondamentale recuperare il senso originale della croce, che esprime la solidarietà di Gesù con tutti i ‘crocifissi’ della storia, e il rifiuto del sistema politico e religioso dominante con i suoi falsi valori, opposti ai valori del regno di Dio.

Agli occhi dei diversi sistemi che hanno dominato nel corso della storia e che hanno imposto i propri contro-valori, la crocifissione di Gesù rappresenta il fallimento della sua vita e del suo insegnamento. Non così agli occhi di Dio, che lo ho resuscitato. La teologia della croce è innanzitutto una teologia sovversiva in quanto rappresenta un cambiamento profondo o un autentico sovvertimento del potere economico (politico-religioso) stabilito, come pure delle distinzioni, degli onori, dei privilegi inerenti a tale potere.

Per questo la morte di Gesù in croce, nonostante sia, a-gli occhi dei grandi della terra, il segno evidente della massima privazione, degradazione e esclusione, diventa al contrario il segno della maggiore efficacia salvifica e liberatrice, e per ciò stesso, agli occhi di Dio, il segno fondamentale della solidarietà con i diseredati, emarginati ed esclusi di tutti i tempi. Perché, dopo la tragedia della sua morte in croce, il Padre lo riabilita in maniera totale e manifesta con la resurrezione.

A partire dalla croce, cioè, si stabilisce la solidarietà con coloro che non hanno contato nulla nella storia e ne sono stati travolti. Da questo patibolo si sovvertono i valori stabiliti nei diversi sistemi di potere. Gesù, giustiziato sulla croce, diventa il sovversivo per eccellenza contro il potere politico-religioso del suo tempo. Anche i suoi discepoli devono costantemente contrapporre i valori del regno di Dio ai valori stabiliti dai potenti di questo mondo.

(…) Gesù fu un uomo libero, impegnato e coerente con le sue azioni. Non si tirò indietro né chiese perdono per ciò che aveva fatto e insegnato. Ciò lo condusse irrimediabilmente alla morte violenta, all’esclusione e all’ignominia, che egli accettò volontariamente come conferma della sua stessa vita.

Questo è il senso profondo dell’eucarestia. Per questo la sua celebrazione è il centro delle comunità cristiane, dal momento che contiene il vero testamento di Gesù. Nell’ultima cena, celebrata da Gesù con i suoi discepoli e le sue discepole, non c’è traccia alcuna del sacro, né segno di potere, dominio, rango o distinzione da parte del Maestro. Al contrario, Gesù, nel suo commiato, celebrato in un ambiente familiare e amichevole, ci invita a identificarci con la sua persona.

Tuttavia, nel corso dei secoli, la celebrazione dell’euca-restia si è andata stravolgendo, arrivando cioè a trasformarsi nell’atto sacro per eccellenza: l’atto di culto supremo della Chiesa con la sua conseguente solennità rituale. Così il culto eucaristico si è andato ricoprendo eccessivamente di riti che gli hanno conferito un carattere ieratico, magico e abitudinario. I cosiddetti fedeli mantengono solitamente un atteggiamento passivo, perché i consacrati si sono impossessati della cena del Signore. La Chiesa ufficiale ha separato l’eu-carestia dalla vita quotidiana dei credenti perché ne ha fatto un centro di adorazione ed esaltazione di cui non c’è traccia nei vangeli. La gerarchia ha posto Gesù così in alto e lontano da tenerlo al di fuori della nostra portata.

Se l’Ultima Cena è un riferimento essenziale per la celebrazione eucaristica, c’è bisogno di moltiplicare i luoghi sacri per la sua celebrazione? Le prime comunità cristiane si riunivano in case adatte a queste celebrazioni (I Cor 11,20-27). Qui Paolo denuncia l’abuso dei ricchi sui poveri della comunità, mostrando l’impossibilità di un’eucarestia senza la condivisione, l’amore fraterno e l’unità. Solo molto più tardi si imposero nel cristianesimo i luoghi sacri, a imitazione dell’ebraismo e delle religioni pagane.

E che dire dei ministri sacri (con-sacrati)? Gesù non era un sacerdote ma un laico e celebrò l’ultima Cena con un gruppo di discepoli e discepole, comportandosi come il signore e il maestro (Gv 13). Non consacrò nessun sacerdote.

Per questo, per quanto ciò significhi andare contro corrente, è urgente riscattare il significato originale della celebrazione eucaristica: un invito a identificarci con Gesù, attraverso i poveri, gli oppressi e gli emarginati della Terra affinché questi possano recuperare la loro dignità e i loro diritti. In questo modo, incarniamo e difendiamo i valori fondamentali del regno di Dio. Bisogna identificarsi con chi ha fame e sete; dobbiamo aiutare gli stranieri, respinti e bisognosi, a uscire dal loro stato di prostrazione; occorre porgere un aiuto amorevole agli infermi rifiutati dalla società e visitare i carcerati, perché Gesù si identifica con tutti gli emarginati e gli oppressi (Mt 25, 31-40). Ci troviamo nel cuore del Vangelo e dell’Eu-carestia, che sono laici co
me Gesù stesso.

Infine bisogna sottolineare che nei testi dei vangeli sinottici sull’istituzione dell’eucarestia non c’è traccia alcuna del fatto che tale celebrazione racchiuda il significato di sacrificio espiatorio per i peccati del mondo, sullo stile dei sacrifici dell’Antico Testamento, per placare un Dio terribile e vendicativo.

È vero che l’eucarestia prefigura e anticipa il significato della morte violenta di Gesù sulla croce, ma Gesù, versando volontariamente il suo sangue, non realizza alcun sacrificio di espiazione per placare Dio per i nostri peccati. Nei vangeli Gesù ci presenta Dio sempre come Padre e questo Padre non pretende né ha bisogno di alcun sacrificio di sangue – e ancor meno del sacrificio di suo Figlio – per essere placato.

Anche nel resto del Nuovo Testamento il concetto di sacrificio cambia radicalmente. Se è vero che la lettera agli Ebrei parla con frequenza del sangue della nuova ed eterna alleanza (Eb 9-13), è altrettanto vero che, riferendosi ai cristiani che seguono l’esempio di Gesù, nell’esortazione finale dice loro: “Non scordatevi della beneficenza e di far parte dei vostri beni agli altri, perché di tali sacrifici il Signore si compiace” (Eb 13,16). La solidarietà e il fare del bene sono fonte di vita, perché aiutano molti a vivere con maggiore pienezza. Vanhoye, studioso e conoscitore della lettera agli Ebrei, afferma che l’autore della lettera cambia radicalmente il concetto di sacrificio.

E così anche nel resto del Nuovo Testamento. Paolo, nella lettera ai Romani, lo dice ancora più chiaramente: “‘Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente’” (Romani 12,1-2). Il concetto di sacrificio cambia dunque significato: da rituale – un rito realizzato in un luogo sacro -, a esistenziale – la propria vita donata per amore. (…).

Gesù si manifesta come novità radicale nella celebrazione dell’eucarestia, la sua vera Pasqua. Egli non è sacerdote, non consacra il pane e il vino, né consacra nell’Ultima Cena alcun sacerdote, perché l’eucarestia non è un sacrificio come quelli dell’Antica Alleanza. L’eucarestia e la morte di Gesù sulla croce, al di fuori di ogni luogo sacro, racchiudono un contenuto radicale e sovversivo, come lo sono state la vita e la morte di Gesù. Sono un invito a identificarci con lui e per questo sono legate alla solidarietà, alla condivisione e all’aiu-to ai più bisognosi, come normali frutti dell’amore.

L’eucarestia appartiene al popolo cristiano, che è laico, non specificamente consacrato per questa celebrazione. L’Apocalisse chiama i credenti stirpe reale e popolo sacerdotale, riferendosi all’impegno del battesimo.

Il cristianesimo non è quindi una religione tra le altre di carattere sacro, cioè una religione in cui il sacro – tempio, sacrifici, riti – gioca un ruolo fondamentale. Al contrario è e deve funzionare come una religione in cui la vita quotidiana dei seguaci di Gesù si trasforma in preghiera e sacrificio a favore, soprattutto, dei più bisognosi. La celebrazione dell’eucarestia, una delle radici della Teologia della Liberazione, ci invita quindi alla solidarietà e al servizio nei confronti di tutti gli oppressi ed emarginati della Terra.