“Aiuto! Gli aiuti!”. Perché il mercato non serve ai poveri

di Alex Zanotelli
in “Liberazione” del 19 luglio 2009

L’Africa è stata al centro delle discussioni al G8 dell’Aquila, ma anche qui il continente più povero
del mondo ha ottenuto ben poco. Non avrei paura di parlare di una grande presa in giro da parte dei
Grandi della Terra nei confronti dell’Africa. Questa Africa che paga uno scotto lungo secoli, di
emarginazione e di oppressione: tre secoli di schiavitù, un secolo e mezzo di colonialismo e poi
dopo un’indipendenza fortemente inficiata dai residui legami con le ex potenze coloniali, paga
anche il neo-liberismo della globalizzazione. E’ il continente più schiacciato e più emarginato. Paga
anche la crisi ecologica. «L’Africa emette meno gas serra di qualsiasi altra parte del mondo, ma è il
continente più minacciato dai cambiamenti climatici», ha detto Obama nel suo discorso a Accra in
Ghana. L’Onu parla di centinaia di milioni di persone, definite “rifugiati climatici”, che dovranno
scappare dalle loro terre, proprio per il surriscaldamento della terra. L’Africa che ha già pagato
pesantissimamente in passato, paga oggi per delle cose di cui non è responsabile.

Per cui promettere all’Africa 20 miliardi di dollari in aiuti, è una presa in giro. E’ da quasi 10 anni
che vengono promessi questi soldi, ma mai dati. E forse è meglio così perché davanti agli aiuti
bisogna sempre dire: “Aiuto! Gli aiuti!”. Perché gli aiuti servono a noi, al sistema, non ai poveri. Se
volevamo davvero aiutare l’Africa, dovevamo cancellare il debito dell’Africa, che si aggira sui 250-
300 miliardi di dollari. I grandi della terra hanno trovato sei-sette mila miliardi di dollari per sanare
il crack finanziario causato dai banchieri… E’ possibile che non troviamo 250 miliardi per rimettere
un debito che i poveri pagano con mancanza di cibo, di cure, di scuole? Vorrei ricordare che nel
giubileo del 2000 il nostro Paese ha varato una legge in cui l’Italia si impegnava a cancellare il suo
debito nei confronti del Sud del mondo. Dopo quasi 10 anni non l’abbiamo ancora attuata se non al
50%… Senza contare che il nostro Paese dovrebbe vergognarsi di parlare di aiuti all’Africa quando
accoglie gli immigrati che arrivano da noi con un pacchetto sicurezza del ministro Maroni che è
l’espressione di un razzismo e di una xenofobia mai viste in Italia.

E infine, se vogliamo parlare seriamente di aiuti all’Africa, basterebbe che la smettessimo di
investire in armi e investire, invece, in vita. Vorrei ricordare che lo scorso anno, secondo i dati Sipri,
nel mondo abbiamo speso oltre 1400 miliardi di dollari in armi! Dobbiamo aiutare l’Africa non a
entrare nel mercato, ma a rimanere più che può se stessa, con la sua “economia informale”. L’Africa
vive oggi di economia informale, come succede per esempio in una nazione come il Congo, dove
l’economia formale è a pezzi e la gente vive di questa economia informale.

L’Africa ha tentato varie volte di trovare la propria strada in campo economico, ma è sempre stata
bloccata. Un tentativo fu fatto da Julius Nyerere, della Tanzania, che fece partire l’esperienza
dell’Ujamaa, con la Dichiarazione di Arusha, che dava origine a un socialismo africano. Anche
Thomas Sankara tentò una strada autonoma in campo economico in Burkina Faso, ma fu ucciso
nell’87.

Se vogliamo aiutare l’Africa dobbiamo perciò favorire un’economia di autosostentamento, non per
l’esportazione. Per cui diventa importante, se diamo degli aiuti, che questi siano destinati a
potenziare le strutture interne delle nazioni africane, come strade e ferrovie per permettere che
quello che l’Africa produce vada ad alimentare la propria gente. Se non facciamo questo non c’è
futuro per l’Africa. Pochi hanno espresso questo concetto bene come Serge Latouche, nel suo
libretto: Entre mondialisation e décroissance. L’autre Afrique: «A margine dell’invecchiamento
dell’Africa occidentalizzata, c’è un’altra Africa molto viva. E’ l’Africa degli esiliati dell’economia
mondiale. E della società planetaria che continua vivere e a voler vivere andando contro corrente.

Quest’altra Africa non è quella della razionalità economica. E’ un’Africa del “bricolage” in tutti i
campi e a tutti i livelli, tra il dono e il mercato, tra i rituali oblativi e la mondializzazione
dell’economia. Dopo aver perso la battaglia economica, l’Africa ha definitivamente perso la guerra
delle civiltà? Questa è la grande domanda. L’economia è stata battuta, ma la società civile è
sopravvissuta a questa sconfitta». È su questa strada che l’Africa si salverà e salverà anche noi.
L’Africa non uscirà dai propri problemi entrando a piene mani nel mercato mondiale. L’Africa deve
organizzarsi, rimettersi in piedi con un’economia informale, un’economia che serva ai propri popoli.

Questo è fondamentale per l’Africa, ma diventerà fondamentale anche per noi perché se l’economia
e la finanza mondiale continueranno sulla strada che hanno imboccato, significherà la distruzione
del pianeta… Se a questo mondo i 6,5 miliardi di persone vivessero come viviamo noi, i ricchi del
pianeta avranno bisogno di 4 pianeti terra come risorse, e di 4 pianeti terra come discariche ove
buttare i nostri rifiuti. Questo nostro sistema economico non è sostenibile. Andando avanti così
future generazioni non potranno più sopravvivere. Mi auguro che l’Africa trovi una propria strada
che sia di esempio anche per noi.