Pillola Ru486, una modalità diversa di applicare la 194. Perchè la Chiesa è ostile?

di Vittorio Bellavite, coordinatore di Noi Siamo Chiesa

Dalle informazioni che si possono trovare, ampiamente diffuse e sostanzialmente concordi, la pillola Ru486 appare come un farmaco che permette un intervento per l’interruzione della gravidanza meno invasivo degli altri (che sono di tipo chirurgico) e in applicazione della legge n.194.

E’ sostanzialmente una modalità di intervento aggiuntiva a quelle tradizionali, che può essere scelta, se del caso, dai sanitari e dalla donna, debitamente informata, verificate le condizioni concrete di ogni tipo, anche psicologico.

La pillola dovrà essere usata sotto rigido controllo medico, è stata ampiamente sperimentata tanto da essere già adottata da 14 paesi europei ed è stata autorizzata dall’Agenzia europea del farmaco dell’Unione Europea.

In questo contesto appare comprensibile e giustificata la decisione di ieri dell’Aifa sul via libero all’uso anche in Italia di questo farmaco, peraltro dopo un iter lunghissimo e molto contrastato.

Perché allora questa ostilità delle principali gerarchie della Chiesa ? A me sembra che essa sia solo un aspetto, che le circostanze offrono, della campagna contro la 194, che non è mai stata interrotta dopo il referendum del 1981.

La Chiesa -mi sembra- giustamente e più che legittimamente, debba continuare a mettere in luce il rilievo fortemente etico, della scelta di non proseguire una gravidanza (ma guardando anche alla situazione concreta della donna coinvolta e senza mai criminalizzare comunque tale difficile decisione).

Ma sulla 194, dopo tante discussioni, i cattolici democratici, di ispirazione conciliare, espressero a suo tempo, dopo approfondite riflessioni, una opinione favorevole, dopo che loro esponenti in Parlamento contribuirono a modificare il testo originario, introducendo cautele e norme sulla educazione e la prevenzione.

Non c’è motivo per cambiare parere. La 194, se non boicottata e applicata integralmente, è una buona legge ed è ormai consolidata nell’opinione pubblica del nostro paese. Se non fosse così, la Conferenza episcopale non esiterebbe a lanciare nuovamente un referendum per la sua abrogazione.