Piccoli obiettori crescono

di Luca Mazzucato
da www.altrenotizie.org

Efi Brenner ha diciotto anni, ha appena finito il liceo e questa settimana, insieme a più di cento coetanei, finirà in prigione. Perché l’obiezione di coscienza in Israele è un crimine. L’abbiamo intervistato per sapere della lettera che, insieme ai suoi colleghi, ha scritto a Netanyahu per rivendicare il diritto a non essere complice dell’Occupazione.

Qual è il percorso che ti ha portato a diventare obiettore di coscienza?

Da quando avevo sedici anni, in classe è cominciato il lavaggio del cervello. È prassi comune che degli ufficiali dell’IDF tengano lezioni sul sionismo e sul valore morale dell’esercito. Vengono e ti dicono: “I soldati tuoi fratelli sono morti per difenderti, è giusto che anche tu ora faccia la tua parte e prenda il loro posto, per il bene di Israele.” La propaganda sionista è martellante, ma da subito ho sentito che c’era qualcosa di sbagliato. Ho iniziato a cercare su Internet notizie sull’Occupazione e sul popolo palestinese e mi si sono aperti gli occhi. A quel punto ho deciso di andare a vedere con i miei occhi cosa succede nei Territori e non ho più avuto alcun dubbio. Sono andato spesso alle manifestazioni contro il muro a Bil’in e Na’alin. Finché non vai in West Bank e non parli con i palestinesi e non ti scontri con la violenza dell’esercito, non puoi veramente capire cosa succede. Uno dei nostri obiettivi è fermare questo lavaggio del cervello che gli studenti subiscono. Lo scopo della scuola è l’apprendimento, non la propaganda militare.

A cosa va incontro chi rifiuta di servire nell’esercito israeliano?

Quando l’esercito mi ha mandato la lettera di chiamata alla leva, un anno fa, io ho preso carta e penna e ho risposto che mi rifiutavo di prendere in mano le armi. In teoria, esiste un ufficio dell’esercito preposto al vaglio delle domande di obiezione, ma non risponde mai alle richieste. Né io né alcuno degli altri centinaia di obiettori abbiamo ricevuto risposta. A quel punto, viene il giorno in cui devi presentarti per venire reclutato, e se non ti presenti finisci in galera. La prima volta ci stai dai sette ai ventotto giorni, in isolamento, poi vieni rilasciato. L’esercito ti manda a chiamare una seconda volta dopo alcuni mesi e, se rifiuti ancora, il giudice ti rispedisce in prigione per qualche mese. E così via, anno dopo anno.

Qual è lo scopo della lettera che voi “shministim,” neo-diplomati, avete scritto?

Siamo un centinaio di firmatari quest’anno, studenti di tutte le parti del Paese, Tel Aviv, Gerusalemme, Haifa e altre città. Abbiamo deciso di prendere l’iniziativa e rivendicare apertamente il nostro diritto a non essere parte dell’Occupazione. Nella lettera, ci impegniamo a predere parte attivamente contro l’Occupazione e denunciare i crimini che il governo israeliano continua a commettere da quarantadue anni a questa parte dietro la maschera della sicurezza. Prima di tutto, vogliamo che tutti gli studenti israeliani si rendano conto di quello che succede ogni giorno nei Territori, dell’oppressione che scateniamo contro la popolazione palestinese. Pochi lo sanno, e ancora meno si domandano se abbia senso o meno servire in questo nostro esercito. Vogliamo mostrare che l’Occupazione non è inevitabile, che si può battere, a cominciare dal rifiuto a esserne parte.

Vogliamo tendere una mano ai nostri fratelli palestinesi e mostrare loro che gli israeliani non sono solo i soldati che li umiliano ogni giorno ai check point: anche al di qua del Muro ci sono israeliani che lottano per la pace e per i loro diritti. Anche noi, come loro, siamo pronti ad assumerci la piena responsabilità delle nostre azioni e finire anche in prigione se necessario.

A chi avete indirizzato la vostra lettera e quali reazioni avete avuto?

Abbiamo spedito la lettera al premier Netanyahu, al Ministro dell’Istruzione, al Capo di Stato Maggiore Gabi Ashkenazi e ai presidi delle scuole superiori di tutto il paese, perché si apra un dibattito sull’obiezione di coscienza. Ne hanno parlato molti giornali e la questione è diventata pubblica. Stiamo cercando di portare il dibattito anche al di fuori di Israele [si possono seguire le iniziative su www.whywerefuse.org]. Alcuni di noi sono in viaggio in America, dove la comunità ebraica è molto radicata, per mostrare che il sionismo non è l’unica faccia di Israele e si può combattere; altri sono andati in Sudafrica per creare un legame con i loro movimenti per i diritti umani. Un nostro compagno obiettore farà un giro del sud Italia nelle prossime settimane, passando per una conferenza di ONG a Palermo, poi all’Università di Bari e di Lecce.

Quali sono state le reazioni della tua famiglia?

La scorsa settimana, l’edizione locale di “Yedioth Ahronot” ha aperto con un lungo servizio su di me e sulla mia obiezione di coscienza. Dopo aver letto l’articolo, i miei genitori mi hanno cacciato di casa, non vogliono più vedermi. Ma alcuni amici attivisti mi stanno ospitando, per qualche giorno finché non andrò in carcere. A differenza della mia famiglia, i miei compagni di classe e i miei amici rispettano la mia scelta, il mio rifiuto delle armi. Anche se non la condividono, pensano che siano una scelta legittima. Questo mi fa sperare che alla fine la nostra lotta vincerà e che l’obiezione diventerà un diritto per tutti i ragazzi israeliani.