L’Aquila un anno dopo. Preti abruzzesi raccontano…

da Adista Segni nuovi n. 31, 17 aprile 2010

Don Dante Di Nardo
(parroco della chiesa S. Francesco d’Assisi – L’Aquila)

Sento il dovere di ringraziare tutti coloro che con generosità e senza interesse personale si sono messi a servizio, come i volontari che pur vivendo la condizione di terremotati hanno avuto il coraggio di preoccuparsi degli altri: magazzini, accoglienza, servizio liturgico, farmacia, pannolini, ecc. Da ogni angolo d’Italia e del mondo, in molti ci sono stati vicini. Grazie a loro non siamo rimasti soli. E per questo esprimo loro tutta la gratitudine della città.

Oggi però mi accorgo che il cammino è ancora in salita e accidentato: la “normalità” è ancora lontana e la precarietà ha tempi lunghi. Il terremoto ha cambiato la nostra vita, ci ha imposto ritmi, relazioni, riflessioni, progetti, habitat che non avevamo ipotizzato e tanto meno programmato. La nostra vita è diversa perché l’ambiente che ci circonda è diverso. È diversa l’organizzazione della vita sociale: sepolti città e centri storici; assenza di centri di aggregazione, altre abitazioni, altri vicini, altra viabilità, cambiati i punti di riferimento.

Dopo un anno siamo coscienti che non sarà più come prima. Anche quando parliamo e desideriamo il ritorno alla normalità, sappiamo che si tratta comunque di novità, di un nuovo assetto urbano, sociale e relazionale. I segni della diversità sono già evidenti. Pensiamo a tutte le problematiche suscitate dalla nuova urbanizzazione. Le difficoltà psicologiche e materiali degli anziani e di quanti sono ancora in albergo lontani dalla città. Non parliamo poi del problema macerie nei centri storici e dei tempi della loro rimozione. Persino la ristrutturazione delle abitazioni poco danneggiate è in forte ritardo. Ci sono ancora edifici da mettere in sicurezza. Non da ultimo, a creare insicurezza, è l’incertezza dei fondi per la ricostruzione. Ma pur nelle difficoltà, spetta a noi cittadini sognare, progettare e ricostruire.

Abbiamo la certezza di non essere soli. In molti ci sono vicini. La preghiera, l’amicizia, il sorriso, l’incoraggiamento, la solidarietà dei nostri amici non verrà mai meno. Anche sul territorio, pur con i ritardi che sono sotto gli occhi di tutti, ci sono segni di speranza e di rinascita. I numerosi gruppi, comitati e associazioni che si incontrano, si confrontano e operano per stimolare le istituzioni affinché si affretti la ricostruzione, sono segno di speranza. All’interno di essi emerge la volontà di partecipare attivamente, di “non stare alle finestre a guardare”. Nel desiderio di fare, e di fare insieme, bisogna leggere i segni di speranza per il nostro territorio. Da questa esperienza scaturirà un nuovo modo di essere cittadini e, perché no, una nuova dirigente.
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Don Aldo Antonelli
(parroco di Antrosano-Aq)

In più di un’occasione ebbi a dire che il ‘grande comunicatore’ e la stampa embedded già l’anno scorso sapevano benissimo che una menzogna ripetuta in continuazione, alla fine diventa una verità. Anche oggi, Berlusconi e i suoi continuano impuniti nell’opera di mistificazione, nascondendo tutto ciò che è accaduto nei mesi dell’emergenza. E così, ad un anno dal terremoto occorre compiere una grande operazione di purificazione della verità: si rende necessaria un’opera di controinformazione affinché non si rimanga vittime dell’imbroglio berlusconiano.

Ad esempio, dopo il consiglio dei Ministri straordinario del 23 aprile dello scorso anno, il governo aveva promesso uno stanziamento di 8 miliardi, che diventavano 5,8 (tra l’altro, spalmati tra il 2009 e il 2032) solo cinque giorni dopo. Allo stesso modo, il governo aveva promesso, con grande stupore del pubblico, 150mila euro per ricostruire ogni casa distrutta. Poi si è scoperto che il contributo statale effettivo era di appena 50mila euro, perché altri 50mila rappresentavano un credito di imposta e altri 50mila sarebbero stati erogati attraverso un mutuo agevolato. Nessuno parlò allora degli aquilani come terremotati di serie B (in Friuli e in Umbria, infatti, i contributi erano fondo perduto!).

Come non ricordare poi Onna, 162 giorni dopo il sisma: Silvio Berlusconi in pompa magna consegna le casette di legno realizzate dalla Provincia autonoma di Trento con i soldi dalla Croce Rossa. Però le chiavi le distribuisce lui, acclamato dagli applausi della “terza camera” di Bruno Vespa. Furto e menzogna si mescolano in questa rappresentazione fantastica spacciata come “miracolo di Silvio Berlusconi”. Intanto i terremotati aquilani hanno dovuto attendere più di tutti gli altri i cosiddetti “Moduli abitativi provvisori” (a San Giuliano di Puglia i primi moduli furono consegnati a 82 giorni dal sisma; in Umbria a 98 giorni; in Irpinia in 105 giorni; a L’Aquila, invece, solo dopo 162 giorni).

La collocazione dei terremotati “al mare” e la costruzione delle new town, oltre a indebolire il tessuto sociale di una città ormai fantasma, li ha deportati a decine di chilometri di distanza dai luoghi di residenza e di lavoro. Centinaia e centinaia di milioni di euro sono stati così sottratti alla ricostruzione vera, provocando danni economici e sociali che stanno uccidendo qualsiasi possibilità di rinascita della città e degli altri comuni del cratere. Di tutto questo oggi gli aquilani sono ben consapevoli. Berlusconi e Bertolaso insomma hanno scelto la soluzione più costosa e dannosa.

Questo terremoto, dopo aver fatto da cornice all’Evento-G8 e alle incursioni pervasive del premier onnipresente, è divenuto anche, per qualcuno, occasione provvidenziale, miniera senza fondo, paradiso del profitto. Tragedia per molti, manna provvidenziale per alcuni.
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Don Paolo Tornambé
(prete della diocesi di L’Aquila)

Il 3 Marzo 2010, sono stato chiamato per presiedere l’Eucarestia a S. Benedetto dei Marsi, un popoloso paese della pianura del Fucino (Ex Lago). Arrivo alla chiesa principale e la trovo chiusa, vado allora verso il centro e trovo un’altra chiesa, anche questa chiusa. In mezzo alla piazza vedo una grossa tenda che all’inizio pensavo fosse solo uno stand, domando e mi dicono che è la chiesa “provvisoria”.

La chiesa, all’interno, ha il soffitto lesionato e del calcinaccio in terra caduto a seguito del terremoto. Mi dicono che sta così da un anno. Stesso destino per le altre chiese. Dopo un anno, in mezzo al Fucino, a S. Benedetto dei Marsi, non è stato fatto niente. Nemmeno previsioni. Domando in giro se nelle zone a rischio del circondario di Avezzano qualche lavoro sia stato fatto. Ad oggi, nessuno.

Vado all’Aquila, al Tribunale, parcheggio la macchina e la polizia mi dice: “Non è qui, deve andare a 12 km da qui”. Mi chiedo: “Il Tribunale, a 12 Km dall’Aquila? Possibile che una delle famose ‘casette di Berlusconi’ non sia stata costruita per sistemare il Tribunale?”

Lungo la strada per il Tribunale vedo le famose ‘casette’, sono carine, ma contrastano come un “colpo in un occhio” con l’ambiente circostante. Arrivo finalmente nella zona industriale di Bazzano e trovo il Tribunale. Dal Tribunale mi chiedono di andare a Paganica per comprare delle marche da bollo. Cerco un tabaccaio, lo trovo, ma è chiuso. Domando dove posso trovare un tabaccaio e mi dicono che prima ce ne erano tanti, mentre ora bisogna andare quasi fuori del paese per trovarne uno. Nel centro c’è la chiesa medievale, ancora tutta da rifare, intorno ci sono segni del terremoto dappertutto.

Mi mandano, alla fine, all’Aquila. Arrivo a via Strinelli, non vedo tende, vedo qualche costruzione nuova ma, quella che ricordavo come una via trafficata e caotica nella sua frenetica attività mi appare come un luogo tetro e buio. Dove sono finite tutte le attività? Mi dicono che sono state spostate in periferia.

Mi sposto verso il centro dell’Aquila, al famoso Castello e – quale meraviglia! – il centro è tutta una maceria, dopo un anno. Ma cosa è successo? Vengo a sapere che in pochi giorni hanno rimesso a posto la caserma a Coppito, per persone che dovevano rimanere lì solo tre giorni, in occasione del G8. E quelli che avevano la casa in centro? Le macerie sono ancora tutte lì.

Concludo. Hanno militarizzato la zona, hanno impedito alla gente di autoorganizzarsi, hanno imposto uno schema di risoluzione del problema calato dall’alto che favorisce le grandi opere. Hanno impedito che tutte le energie del posto si attivassero, dai piccoli artigiani alle piccole imprese, per cosa? Per permettere a Berlusconi con il suo maggiordomo Vespa di parlare di “miracolo”. Il settore produttivo è in coma. L’evento terremoto non poteva attivare tutte le energie locali per avviare una ricostruzione “dal basso”? No, si deve affidare tutto al Ministero della Propaganda.