L’ISLAM E LA SFIDA DELLA LAICITÀ

di Marcello Vigli
da www.italialaica.it

Cristiani e cattolici da tempo ormai hanno imparato a fare i conti con la laicità. Specie fra questi ultimi dopo il Concilio le novità sono notevoli seppure ricche di contraddizioni. Magari si enfatizza la differenza fra laicità e laicismo, si teorizza su una presunta sana laicità. Perfino il papa la cita per distinguerla dalla “ideologica”. Lo Stato, si dice, deve essere laico, ma subito si aggiunge che deve riconoscere nel suo giusto valore la specificità della religione e delle sue istituzioni: guai togliere il crocefisso dalle aule scolastiche o mettere in discussione il regime concordatario. Non mancano però cattolici che si cimentano criticamente con una fede laica, cioè “inculturata” nella cultura della laicità, che negano apertamente il diritto della Chiesa a privilegi e scelgono lo Stato come destinatario dell’otto per mille. Non sono scomunicati né messi al rogo perché le autorità ecclesiastiche, che lo farebbero volentieri, conoscono bene la diffusione di queste idee e prassi fra i fedeli e preferiscono polemizzare con i “laicisti”.

Se i partiti cosiddetti “laici” smettessero di considerare la gerarchia cattolica come un interlocutore da blandire, anche in Italia secolarizzazione e laicità cesserebbero di essere temi di ordinario scontro culturale e confini invalicabili nella dialettica politica.

Così non è per le società e le culture che fanno riferimento all’Islam nelle quali vige la piena integrazione della dimensione religiosa con la vita quotidiana, delle norme coraniche con le dinamiche politiche e degli interpreti del Corano con le oligarchie al potere. Di queste fanno, in modo diverso ma pur sempre di stretta interrelazione, iman e giuristi, ayatollah e teologi. Diventa quindi interessante e da leggere il libro di Adnane Mokrani, Leggere il Corano a Roma (*). Il libro, si legge nella Prefazione di Paolo Branca, non è un manuale né un trattato dialogo islamo-cristiano, ma la testimonianza di un’esperienza. È una tappa di un percorso di ricerca che l’autore stesso confessa, a scanso di equivoci, guidato da un pensiero che oscilla continuamente tra esperienza personale e esperienza collettiva e condivisa.

Si tratta di un pensiero profondamente radicato nella cultura ispirata al Corano, considerato fonte di senso della vita e guida in un cammino di pienezza. Nessun deviazionismo dall’ortodossia, ma consapevolezza che ogni teologia è radicata nella biografia. In essa matura la convinzione che il dialogo fra sunniti e sciiti, fra islamici ebrei e cristiani, non è un’attività fra le altre, ma un tipo di religiosità tra altri tipi di religiosità che muove dalla consapevolezza che se la verità è unica è plurale nelle sue manifestazioni e concettualizzazioni lo stesso vale per Dio uno in sé, però, molteplice nei suoi nomi e nelle sue manifestazioni.

Su queste premesse l’autore fonda la sua fede dialogica che, come argomenta nel libro, ha trovato modo di condividere con cristiani anche cattolici animati dalla stessa volontà di confronto reale e che convengono sull’ineluttabilità del pluralismo religioso nello Stato moderno. In verità ne ricerca la giustificazione anche negli sviluppi del “pensiero classico islamico” dopo che fu costretto a prendere atto di essere legato a una fase storica che non c’è più a confrontarsi con la modernità e riscoprire il valore dell’altro religioso e del ruolo della religione nella storia, che è quello di liberare l’uomo dalla prigione dell’egoismo, sia individuale che collettivo.

In questa prospettiva di fedeltà critica alla tradizione l’autore affronta il problema delle sfide della modernità, in particolare la relazione con la sfera politica e con la democrazia…. basata sulla cittadinanza completa che non consente distinzioni di religione.

Al suo interno pone il problema della laicità.

Se si riduce a separazione fra lo Stato e la Chiesa non ha senso per una religione che non ha gerarchia, neppure è accettabile per un mussulmano se significa separazione fra Stato e religione per il suo inscindibile legame con l’etica. Dobbiamo allora cercare una definizione positiva di laicità e di democrazia che trovi risonanza nella tradizione religiosa islamica: si tratta di tradurre islamicamente la laicità: la sua meta è la riconciliazione fra islam, democrazia e laicità. Il punto di partenza di questa ricerca, né facile né breve, è il riconoscimento che non esiste democrazia senza laicità e che lo Stato laico è essenzialmente uno Stato neutrale. La sua evoluzione è diversa nelle diverse zone geografiche in cui l’Islam si è diffuso nel tempo “inculturandosi” nelle diverse culture locali. Nella zona europea, oggi, tale riconciliazione s’intreccia con i processi d’integrazione degli immigrati spinti spesso a cercare nella religione, alla quale forse in patria era poco attento, un elemento identitario. Per evitare che diventi elemento di contrapposizione è necessario che l’integrazione non si trasformi nella conversione dei valori islamici in valori cristiani o, peggio, occidentali. Deve essere, piuttosto, la conversione di tutti ai valori universali e umani considerati frutto di un processo a cui hanno preso parte lungo la storia dell’umanità tutte le civiltà e le culture. Un contributo decisivo alla formazione di un così alto grado d’integrazione sono per l’autore la scuola e la moschea.

Riflettendo sulle loro funzioni e sui modi con cui possono concorrere alla formazione delle giovani generazioni l’autore si misura con i concreti problemi istituzionali e politici che ne condizionano l’esistenza e ne misurano l’efficacia individuando priorità e abbozzando soluzioni.

Riconosce, però, con piena consapevolezza che la riforma islamica e rinnovamento religioso costituiscono la priorità assoluta per il futuro della religione islamica nel mondo.

Adnane Mokrani, Leggere il Corano a Roma, Icone Edizioni, 2010 pp.187 eu.14.00