Chiesa 2011: mettersi in cammino è necessario

Ludovica Eugenio (traduzione dal tedesco di Francesco Ghia)
Informazioni da Adista n.12/2011

Un memorandum sottoscritto da 143 teologi tedeschi (pubblicato il 3 febbraio 2011 sulla “Suddeutsche Zeitung)

Più di un anno fa venivano resi pubblici casi di abusi sessuali su bambini e adolescenti perpetrati da preti e religiosi nel collegio Canisio di Berlino. Ne è seguito un periodo in cui la Chiesa cattolica tedesca è sprofondata in una crisi senza precedenti. Il quadro che oggi si presenta è controverso: molto si è cominciato a fare per rendere giustizia alle vittime, per porre rimedio all’illegalità e per far emergere dall’interno le cause di abusi, omertà e doppia morale. Dopo l’iniziale raccapriccio, è cresciuta, in molte donne e uomini cristiani responsabili, con o senza incarichi pastorali, la convinzione che siano necessarie riforme profonde e radicali. L’appello per un dialogo aperto sulle strutture di potere e di comunicazione, sulla configurazione del ministero ecclesiale, sulla partecipazione dei credenti alla responsabilità decisionale, sulla morale e sulla sessualità ha destato attese, ma anche timori: forse l’ultima chance per una uscita dalla paralisi e dalla rassegnazione verrà perduta a motivo dei distinguo e delle minimizzazioni della crisi? L’allarme per un dialogo pubblico e senza tabù non è del tutto ingiustificato, specie in imminenza di un viaggio del Papa in Germania. Ma l’alternativa non può certo essere quella di una quiete tombale che faccia seguito all’annientamento delle ultime speranze.

La crisi profonda della nostra Chiesa esige di parlare anche di problemi che a prima vista non abbiano immediatamente qualche cosa a che fare con lo scandalo degli abusi sessuali e del loro decennale occultamento. In quanto donne e uomini docenti di teologia non possiamo più tacere. Avvertiamo la responsabilità di contribuire a un autentico nuovo inizio: il 2011 deve diventare per la Chiesa un anno in cui mettersi in cammino. Mai come nell’anno passato tanti cristiani hanno abbandonato la Chiesa cattolica, hanno dichiarato alle gerarchie ecclesiastiche di non riconoscersi più nella loro guida o hanno “privatizzato” la loro vita di fede per prendere le distanze dall’istituzione. La Chiesa ha il dovere di comprendere questi segnali e di spogliarsi delle sue strutture fossilizzate per guadagnare nuova linfa vitale e nuova credibilità.
Il rinnovamento delle strutture ecclesiali non potrà mai avvenire con le barricate erette per paura della società, ma solo con il coraggio dell’autocritica e con l’accoglimento di impulsi critici – anche provenienti dall’esterno. È quanto insegnano le lezioni dell’ultimo anno: non ci sarebbe mai stata una rielaborazione tanto decisa della crisi per gli abusi sessuali senza l’accompagnamento critico dell’opinione pubblica. Soltanto con una comunicazione aperta la Chiesa può riacquistare fiducia. La Chiesa sarà credibile solo quando l’immagine che essa ha di se stessa e l’immagine che di essa si ha all’esterno non divergeranno. Pertanto, ci rivolgiamo a tutti coloro non abbiano ancora rinunciato a sperare in un nuovo inizio della Chiesa e a impegnarsi per esso. Facciamo nostri in tal senso i segnali di dialogo e cammino lanciati in questi ultimi mesi da alcuni vescovi con discorsi, omelie e interviste.

La Chiesa non è fine a se stessa. Ha il compito di annunciare a tutti gli uomini il Dio di Gesù Cristo, che ama e libera. E può annunciarlo solo se essa stessa è un luogo e una testimonianza credibile del messaggio di libertà del vangelo. I suoi discorsi e le sue azioni, le sue regole e le sue strutture – insomma, il complesso del suo rapportarsi con le donne e con gli uomini all’interno e all’esterno della Chiesa stessa – soggiacciono all’istanza di riconoscere e promuovere la libertà delle donne e degli uomini come creature di Dio. Il rispetto incondizionato dovuto a ogni persona, l’attenzione per la libertà di coscienza, l’impegno per la legalità e la giustizia, la solidarietà con i poveri e con gli oppressi sono tutti criteri teologicamente fondamentali che derivano dal vincolo di osservanza che la Chiesa ha nei confronti del vangelo. È tramite essi che si fa concreto l’amore verso Dio e verso il prossimo.
L’orientamento al messaggio biblico di libertà implica un rapporto differenziato con la società moderna: per un verso, quando ne vada del riconoscimento della libertà, della autonomia e della responsabilità dei singoli, essa precede la Chiesa, la quale, come già ha sottolineato il Concilio Vaticano Secondo, ha su questi temi molto da imparare. Per altro verso, tuttavia, è ineludibile, nello spirito del vangelo, una critica a questa società, quando per esempio gli uomini vengano valutati solo in base alla loro prestazione, quando venga calpestata la solidarietà vicendevole o quando venga disconosciuta la dignità umana.
In ogni caso, resta il fatto che il messaggio di libertà del vangelo costituisca il criterio di una Chiesa credibile, del suo agire e della sua configurazione sociale. Le sfide concrete che la Chiesa deve affrontare non sono affatto nuove. Ciò nonostante, non si vedono all’orizzonte riforme gravide di futuro. Va dunque condotto un dialogo aperto nei seguenti campi d’azione:

1) Strutture di partecipazione. In tutti i settori della vita ecclesiale la partecipazione dei credenti è un campo di prova della credibilità del messaggio di libertà del vangelo. In base al vecchio adagio giuridico per cui “ciò che riguarda tutti, deve essere deciso da tutti” occorrono, a tutti i livelli della Chiesa, più strutture sinodali. I credenti devono poter partecipare alla nomina di importanti incarichi ministeriali (vescovi, parroci). Ciò che può essere deciso in sede locale, sia lì deciso. Le decisioni siano trasparenti.

2) Comunità. Le comunità cristiane devono essere luoghi in cui gli uomini mettono l’un l’altro in comune beni materiali e spirituali. Ma oggi la vita comunitaria è soggetta a un processo di erosione. Sotto la spinta della carenza di sacerdoti vengono costruite unità pastorali sempre più estese – sorta di “parroci extra large” – nelle quali risulta vieppiù difficile esperire prossimità e appartenenza. Si perdono così identità storiche e le reti sociali cresciute attorno a esse. I sacerdoti entrano in burn-out. I credenti si allontano quando non si dà loro fiducia perché si assumano anch’essi delle responsabilità e partecipino, entro strutture democratiche, alla conduzione delle loro comunità. Il ministero ecclesiale sia al servizio della vita delle comunità – e non viceversa. La Chiesa necessita per il ministero anche di preti sposati e di donne.

3) Cultura giuridica. Il riconoscimento della dignità e della libertà di ogni uomo si rende evidente proprio là dove i conflitti vengano gestiti con imparzialità e con vicendevole rispetto. Il diritto canonico onora il proprio nome solo quando i credenti siano effettivamente messi in condizione di far valere i propri diritti. La tutela del diritto e la cultura giuridica devono essere, nella Chiesa, urgentemente migliorate; un primo passo in questa direzione sarebbe l’istituzione di una magistratura ecclesiastica.

4) Libertà di coscienza. Il rispetto della coscienza individuale implica che venga riposta fiducia nella capacità umana di decisione e di responsabilità. Promuovere questa capacità è compito anche della Chiesa; non può però trasformarsi in una sorta di tutela. È soprattutto nell’ambito delle decisioni personali e delle forme individuali concernenti la propria vita che questo rispetto va preso sul serio. La valorizzazione ecclesiale del matrimonio e del celibato è fuori discussione. Ma essa non prescrive di escludere quelle persone che vivano responsabilmente l’amore, la fedeltà e la cura vicendevole con un partner dello stesso sesso o come divorziati risposati.

5) Riconciliazione. La solidarietà con i “peccatori” ha per presupposto che venga preso sul serio il peccato tra le proprie fila. Un tronfio rigorismo morale non s’addice alla Chiesa. La Chiesa non può predicare la riconciliazione con Dio senza creare con le proprie azioni il presupposto per la riconciliazione con coloro verso i quali si sia macchiata di una colpa: mediante la violenza, la privazione del diritto, il sovvertimento del messaggio biblico di libertà in una morale rigorosa priva di misericordia.

6) Culto. La liturgia vive della partecipazione attiva di tutti i credenti. In essa devono trovare spazio anche le esperienze e le forme espressive del presente. La celebrazione non può irrigidirsi nel tradizionalismo. Una pluralità culturale arricchisce la vita liturgica e non s’accorda con le tendenze a una unitarietà centralistica. Il messaggio cristiano raggiungerà gli uomini solo quando la celebrazione della fede si farà carico delle situazioni concrete della vita.

Il processo di dialogo iniziato nella Chiesa può portare alla liberazione e a una nuova partenza solo se tutti i partecipanti sono disposti ad affrontare le questioni urgenti. Si tratta, in un libero e leale scambio di argomentazioni, di cercare soluzioni che sottraggano la Chiesa alla sua paralizzante autoreferenzialità. Alla tempesta dell’ultimo anno non può seguire una quiete! Questa, infatti, nella situazione odierna, non potrebbe che essere una quiete cimiteriale. In tempi di crisi la paura non è mai stata una buona consigliera. Le cristiane e i cristiani sono chiamati dal vangelo a guardare con coraggio al futuro e – accogliendo le parole di Gesù – a camminare come Pietro sulle acque: “Perché avete paura? È così poca la vostra fede?”

Tra i firmatari del manifesto, diversi i nomi noti: Ottmar Fuchs e Peter Hünermann, dell’Università di Tübingen; Norbert Mette, di Dortmund ; Dietmar Mieth, di Erfurt e Tübingen ; Otto Hermann Pesch, di Amburgo, Antonio Autiero, dell’Università di Münster; Leo Karrer, di Freiburg/Svizzera, per citare i più conosciuti.

La risposta della gerarchia ecclesiale non si è fatta attendere: il giorno successivo alla pubblicazione del manifesto, è arrivata una nota del segretario della Conferenza episcopale tedesca, il gesuita p. Peter Hans Langendörfe, priva di espressioni troppo decise e frontali: «È un buon segnale – afferma – che anche i firmatari di questo memorandum vogliano partecipare al dialogo» strutturato tra vescovi e accademici; il documento, aggiunge tuttavia, «raccoglie in sostanza idee spesso già dibattute. Per questo non è null’altro che un primo passo». Su una serie di questioni, poi, esso si pone «in conflitto con convinzioni teologiche e definizioni ecclesiastiche di carattere altamente vincolante»; su tali questioni, è necessario un «ulteriore e urgente chiarimento». La Conferenza episcopale, peraltro, che metterà all’ordine del giorno della prossima assemblea questi temi, ammette che la Chiesa debba riconoscere «errori e inadempienze del passato, così come deficit e esigenze di riforma del presente», senza sottrarsi a «temi ingombranti», e che la paura «in effetti non è una buona consigliera».