Nel 2010 sono morte 130 donne a causa dello stalking

Redazione Il Paese delle Donne
www.womenews.it

“L’inizio dell’amore spesso è simultaneo. Non così la fine. Da ciò nascono le tragedie”. Osservazioni sullo stalking di Maria Grazia Negrini e Simonetta Botti

Da sempre, le donne che lavorano contro la violenza di genere sanno che un fenomeno esiste e viene considerato allarmante quando viene “nominato”. Da quel momento nasce l’attenzione, i mass media cominciano ad occuparsene, inizia l’approfondimento dell’argomento.

Si scopre cosi che nel 2010 sono morte 130 donne a causa dello stalking, nonostante che dal 24 aprile 2009 in Italia esiste una legge che punisce questo reato. Per le donne non è una novità constatare che l’esistenza di una legge non sia sempre in grado di arginare un reato, soprattutto quando il crimine riguarda il genere femminile e la loro vita. L’esistenza di una legge è importante, ma non elimina il problema. Quando è efficace riesce a punire l’autore, spesso in modo non adeguato.

Dall’1 gennaio 2011 le donne uccise per stalking in Italia sono state 30. Di queste, 4 sono avvenute nella nostra città, provincia e regione. Ma non è finita. Mentre scrivo apprendo che un’altra donna eritrea è stata uccisa dal suo compagno, italiano, quindi, il numero è salito a 31.

Ogni anno in Italia vengono uccise più di cento donne dall’ex partner o dal fidanzato, marito, amante, amico: una mattanza che colpisce la popolazione femminile in maniera indiscriminata, senza distinzioni sociali. Questa “pratica” si chiama STALKING. Pensiamo sia fondamentale, oggi, mettere in evidenza che tale comportamento non può essere considerato e trattato allo stesso modo di altre forme di violenza di genere.

Lo stalking non è un problema nuovo. Ne leggiamo tracce nelle “Metamorfosi” di Ovidio dove ritroviamo Apollo nei panni dello stalker e Dafne in quello della sua vittima. Apollo la trasforma in un albero di alloro perché la fanciulla rifiuta di cedere all’insistente corteggiamento del dio del sole. Apollo si rivolge a Dafne in fuga con una frase che riassume e riprende il tema attuale dello stalking: “Non sono un tuo nemico, è per amore che ti inseguo”. Questo è il punto fondamentale della trappola dello stalking: è per amore che mi comporto in questo modo.

Il fenomeno dello stalking, conosciuto come “sindrome del molestatore assillante”, ha cominciato a ricevere attenzione all’incirca negli anni ‘90 dai media, i quali si riferivano ad esso come una forma di comportamento aggressivo persistente, a lungo termine, che può degenerare in vera e propria violenza, che nella maggior parte dei casi si conclude con l’uccisione della donna.

Si tratta di un comportamento persecutorio messo spesso in atto quando una donna, o un uomo, cercano di allontanarsi da una relazione violenta. Il maltrattante perseguita seguendo la vittima negli spostamenti, aspettandola sotto casa, al lavoro, telefonandole continuamente a casa, in ufficio, sul cellulare.

Gli effetti possono essere devastanti: viene minato il senso dell’autonomia e dell’indipendenza della donna facendola sentire “in trappola”. Lo stalking quindi finisce con il creare una minaccia psicologica diffusa che spesso impedisce di vivere una vita normale e minaccia in modo profondo l’espressione di desideri e di autostima, devastando lo stesso progetto di vita.

Lo stalking comprende una serie di azioni, ripetute nel tempo, che condividono caratteri di: sorveglianza e controllo, ricerca di contatto, ricerca di comunicazione. Questa modalità termina con l’uccisione della donna, meno spesso con l’uccisione dell’uomo. Lo stalking, anche se sappiamo si perpetua sovente all’interno della famiglia, non è lo stesso fenomeno della violenza intrafamiliare. Colpisce le donne che, in particolare a partire dal secolo scorso, hanno manifestato o manifestano il desiderio di praticare la loro libertà femminile.

Si manifesta perché una relazione abusante si basa sulla credenza che una persona ha diritto di controllare ed avere il potere su un’altra persona. Quindi lo stalker pratica con la minaccia e le intimidazioni costanti producendo un permanente stato di paura e il cambiamento delle abitudini di vita della donna.

Questo è un punto nodale sul quale crediamo tutte dovremmo produrre nuove riflessioni, inventarci nuovi strumenti consapevoli: occorre partire dal rapporto fra lo stalker e la vittima per vedere come arginare il problema. Lo stalking, infatti, si inscrive ampiamente sul tema della gestione dei conflitti all’interno delle relazioni. Giddens che si è occupato moltissimo di postmodernità ha scritto di disintegrazione dell’io e di una disintegrazione delle relazioni.

Secondo alcune spiegazioni pedagogiche (P.Bertolini) le persone che presentano comportamenti disturbati, a rischio di devianza, sono caratterizzate da percezione fortemente limitata dell’io oppure da un eccesso di io. In entrambi i casi i comportamenti, pur partendo da presupposti depressivi o viceversa da un senso di onnipotenza dell’io, presentano forme di comportamento gravemente antisociali , improntate all’idea che il mondo deve essere controllato, posseduto e che esso è strumento di conferma della propria identità, della esistenza stessa. In particolare l’eccesso di io significa che la propria identità ha un senso di onnipotenza tale che tutto e tutti, e tutti gli eventi e le persone diventano strumento che devono servire a confermare la propria identità.

Questo è un altro snodo, nel senso che nel momento in cui una relazione ed un evento diventa disconfermante per la propria identità, la persona che è in questa condizione, evidentemente patologica e deviante, non è in grado di reggere la frustrazione perché non ha fatto i conti col proprio senso del limite e parzialità.

Deve perciò eliminare l’elemento frustrante, quello che nega la propria identità, quindi deve eliminare l’altro.
Se le relazioni sono improntate, come sempre più crediamo accada, per fortuna non in generale, all’utilitarismo, allo scambio e alla ricerca funzionale e strumentale della conferma di sé, è chiaro che quando l’altra/o non serve più quando si sottrae diventa elemento da cancellare e da distruggere. In ogni caso i comportamenti che ne derivano sono sempre atteggiamenti aggressivi ed evidenziando la totale mancanza degli strumenti della gestione del conflitto e di tolleranza alla frustrazione.

Educare al conflitto e al superamento della frustrazione del senso del conflitto e alla sconfitta, ci sembrano, infatti, le due sfide della modernità. Delineiamo questa possibile pista di approfondimento: è possibile definire uno schema di caratteristiche sia della vittima dello stalking, che dello stalker stesso?

Due elementi sembrano, dai casi fin ad oggi affrontati dalla nostra Associazione, di grande interesse. Da un lato il bisogno di controllare l’altro nei minimi particolari dell’aspetto fisico, la gelosia e il senso di relazione come possesso, l’intreccio con situazioni personali e lavorative ambigue, gli aspetti maniaci depressivi della personalità.
Dall’altro, quello della vittima riscontriamo invece un bisogno di rappresentarsi in coppia al punto da tollerare sia il controllo patologico che le violenze di tipo fisico e psicologico.

In sostanza nel rappresentare il progetto di vita la necessità di essere in coppia prevale su ogni altro tipo di valutazione e di auto efficacia. Questo tema, questa breve categorizzazione è non soltanto relativa alla questione della relazione fra uomo e donna, ma in generale, alla questione delle relazioni.

Occorre dare un taglio trasversale al tema, nel senso che parliamo delle relazioni fra uomo e donna perché pur nell’emersione del problema della violenza di genere, ricordiamoci che la violenza e l’aggressività come esito della paura dell’altro sono la cifra delle relazioni sociali del nostro tempo.

Ed è per questo che diventa fondamentale l’aspetto pedagogico, quindi quello della prevenzione e dell’educazione alle relazioni, dell’educazione al conflitto. Questi devono divenire oggi lo strumento e il tema di lavoro.

Se non si educano le persone nelle scuole, a cominciare dai bambini/e, dalle ragazze e dai ragazzi a gestire l’incontro con l’altra/o, a cominciare dal coordinare l’incontro con il diverso, non si possono aiutare le persone a governare questa paura, questo senso di minaccia che deriva dall’incontro con la diversità.

A questo scopo la Tavola delle donne sulla violenza e sulla sicurezza nella città e l’Udi di Bologna lavorano e si impegneranno a svolgere nelle scuole interventi affinché l’aspetto della prevenzione e dell’educazione alla relazione, dell’educazione al conflitto, diventino strumenti e temi fondamentali.