Ricordare il G8 di Genova per ri-progettare il futuro

Marcello Vigli
7 luglio 2011

Sul G8 2001 a Genova si è già scritto molto; lo conferma l’ampia e ragionata bibliografia riportata nel libro L’eclisse della democrazia. Le verità nascoste sul G8 2001 a Genova di Agnoletto e Comanducci (*), che unisce al racconto minuzioso dei fatti un’attenta ricognizione degli interventi della magistratura alla ricerca delle verità nascoste sulla vicenda. A questo prezioso lavoro gli autori aggiungono l’impegno a collocare quei fatti nel contesto della politica internazionale e nell’evoluzione del movimento altermondialista giungendo a trarne prospettive e proposte per il suo futuro.

In questo quadro si colloca la loro proposta di contestualizzazione delle drammatiche giornate, vissute dai partecipanti all’evento nella città blindata, dello sconcertante svolgersi dei procedimenti giudiziari e dell’inquietante manipolazione mediatica, con le fasi dell’eclisse della democrazia. Iniziate con la vittoria elettorale del centro destra nelle elezioni del 13 maggio, immediatamente precedenti il G8, sono state, successivamente, segnate dall’avanzata del berlusconismo nella società e nelle istituzioni.

Le puntuali narrazioni e le rigorose analisi evidenziano e, al tempo stesso, denunciano le false ricostruzioni degli eventi circolate sui media e i più significativi “interventi” delle forze di polizia, dei carabinieri e della Guardia di finanza, per la prima volta schierata in funzione di ordine pubblico. Dalle cariche ingiustificate contro cortei pacifici e autorizzati – emblematica quella in via Tolemaide – alla mai sufficientemente indagata “trappola” di piazza Alimonda in cui fu ucciso Carlo Giuliani, dai “trattamenti” riservati ai fermati, spesso in modo indiscriminato, nella caserma di Bolzaneto e nel Forte San Giuliano alla notte dei “manganelli” nella scuola Diaz.

Quando non parlano testimonianze, dirette o riportate, di partecipanti e osservatori attendibili, foto e filmati, ricordi personali degli autori, coinvolti in prima persona, sono gli atti giudiziari a dar conto di quanto è realmente accaduto in quelle terribili giornate di “macelleria messicana”.

Non è possibile in queste poche righe dar conto della quantità degli episodi narrati e dell’abbondanza dei documenti citati nelle oltre 250 pagine del libro che si caratterizza, però, per l’analisi puntuale dei comportamenti dei responsabili dell’apparato repressivo dello Stato all’indomani dei fatti. Non si è trattato solo di tentativi di presentare le “forze dell’ordine” nella veste di tutori della legalità, in netto contrasto con i comportamenti reali, ma della sistematica azione di stravolgimento della realtà nei successivi lunghi anni impiegati dalla magistratura a tentare di ricostruirne una presentazione almeno attendibile.

Reticenze e false testimonianze, anche di funzionari di alto livello incoraggiati, se non indotti, dagli organi centrali della Polizia di Stato d’intesa con le autorità di governo, hanno coperto sia responsabilità nella cattiva gestione degli interventi sia vere e proprie violazioni di norme di legge. Per avvalorare false testimonianze e fantasiose ricostruzioni dei funzionari inquisiti si è giunti a premiarli con riconoscimenti ufficiali e avanzamenti di carriera.

Gli autori non si limitano a denunciare lo scandalo, che pure fanno con forza, ma assumono questi episodi per un’analisi della degenerazione della Polizia di Stato nei confronti della normativa introdotta nel 1981 che ne aveva promosso la smilitarizzazione. In essi non si è rivelato solo un comprensibile, pur se inaccettabile, spirito di difesa corporativa ma l’affermazione di una pretesa insindacabilità delle forze dell’ordine.

Le sue manifestazioni documentate dagli autori offrono loro l’occasione per richiamare l’attenzione non solo sull’identico comportamento in campo delle altre”forze dell’ordine” ma anche sull’analogo processo che ha rafforzato l’autonomia dei Carabinieri ai quali il governo D’Alema concesse quel riconoscimento di quarta Arma della Repubblica, che non avevano ottenuto da nessun governo centrista o di centro sinistra della cosiddetta Prima Repubblica.

Questa degenerazione al limite dell’illegalità egli organi di Pubblica sicurezza e ancor più la loro pretesa dell’impunità, costituiscono un elemento importante del quadro di quella eclisse della democrazia completato dagli autori con la minuziosa ricostruzione dello scontro istituzionale fra magistratura e forze dell’ordine palesemente impegnate ad intralciarne l’opera invece che sostenerla con il pieno consenso del ministro degli Interni. All’interno di questo conflitto gli autori analizzano anche le debolezze e le insufficienze della magistratura.

Da un lato, la scandalosa sentenza assolutoria di Primo grado, corretta in Appello con sentenze “esemplari” ma certo non in grado di fare piena giustizia, emessa sotto le diverse pressioni, dirette e indirette, esercitate sui giudici. Dall’altro, l’altrettanto grave non apertura del processo per scoprire le responsabilità della morte di Carlo Giuliani. La sua non è solo, infatti, l’“unica” vittima di un errore o di un incidente nel quadro di un’operazione di polizia difficile da governare, ma il frutto del sistema programmato con cui è stato gestito il G8 2001 che si è dimostrato fallimentare come hanno confermato, in verità, pur se indirettamente, gli stessi dirigenti della Polizia.

Gli autori, infatti, interpretano la tragica, quanto inesplicabile, aggressione ai manifestanti raccolti nella scuola Diaz come una scelta dei già compromessi responsabili per deviare l’attenzione dal loro fallimento cercando di dimostrare che esso era stato provocato dall’alto livello di militarizzazione degli avversari con cui avevano dovuto misurarsi. Ne sarebbe stata la prova la pretesa scoperta di gran quantità di “armi” improprie, culminata con il ritrovamento delle due bottiglie molotov riconosciuto, invece, inequivocabilmente inventato in sede processuale.

Di questa programmazione in verità era stato, in parte, responsabile il governo di centro sinistra, battuto nelle elezioni del maggio, e sue erano state le nomine degli uomini che l’hanno gestita nel peggiore dei modi. Del resto per tutti gli anni in cui comitati di cittadini e di legali hanno lottato per ottenere giustizia le forze organizzate della sinistra, che pur con diverso grado di corresponsabilità avevano partecipato all’evento, hanno brillato per la loro assenza.

A questa analisi critica gli autori hanno associato una riflessione spregiudicata sugli esiti dei “fatti” di Genova sul movimento che l’aveva organizzato costituendosi come soggetto unitario intorno ad un progetto e non come coacervo di forze diverse. Diverse erano, infatti, associazioni, gruppi, comitati che avevano preparato e approvato la piattaforma e il programma all’interno del divenire del Social Forum mondiale che aveva preso le mosse da Port Alegre per contrastare la deriva liberista della società a livello mondiale. Le tappe significative del suo sviluppo gli autori ripercorrono lucidamente ricordando che, si era affermato come “Seconda superpotenza mondiale” in grado di affrontare a Genova il confronto con i rappresentanti della “Prima”.

Della sconfitta subita gli autori attribuiscono la responsabilità alla forza bruta messa in campo dall’apparato repressivo del governo italiano, ma anche alla scelta di una parte del movimento di rispondere a questa con atti violenti, risultati necessariamente inadeguati e per di più occasione per infiltrazioni provocatorie, sfruttate con una strumentalizzazione ben orchestrata per delegittimare l’intero movimento.

Riflettono, gli autori, su questo rapporto con la violenza e rilanciano il primato della non-violenza come strumento atto a favorire la ripresa e lo sviluppo del movimento altermondialista nel suo progressivo affrancarsi dall’egemonia europea – compromessa anche dal fallimento di Genova che ha lacerato anche la rete che l’aveva costruita – nella costruzione di quello che hanno chiamato il nuovo asse sud-sud fra Africa, Asia e America meridionale, sintetizzato nello slogan da Port Alegre al Il Cairo.

Di qui prendono le mosse per rilevare che, pur in forme diverse, il movimento, indebolito in Europa da errori soggettivi e da condizioni strutturali, non è definitivamente piegato come rivelano le diverse mobilitazioni su obiettivi parziali in Europa e, in Italia, soprattutto la grande mobilitazione per i referendum Il suo futuro è, però, affidato alle spinte innovative prodotte in Medio Oriente, e non solo, dalla insoddisfazione delle nuove generazioni nei confronti della persistente ineguale redistribuzione del reddito in quei paesi dove questo sta proporzionalmente aumentando a dispetto della crisi, che paralizza invece i moti sociali nei paesi evoluti.

In tal modo il fare memoria del G8 di Genova non corre il rischio di ridursi a nostalgica rievocazione, ma diventa occasione per rilanciare il sogno di un migliore mondo possibile aggiornando progetti e affinando forme di lotta.

(*) Vittorio Agnoletto e Lorenzo Guadagnucci, L’eclisse della democrazia. Le verità nascoste sul G8 2001 a Genova, Feltrinelli Editore, Milano 2011.