Il papa in tribunale, un’opportunità per la Chiesa conciliare di E.Mazzi

Enzo Mazzi, Comunità cristiana di base dell’Isolotto – Firenze
il manifesto, 19 settembre 2011

Il sentimento prevalente nel mondo cattolico e non solo è di disorientamento e forse stordimento. La denuncia del papa e di altri alti prelati vaticani per crimini contro l’umanità depositata presso la Corte penale internazionale dell’Aja da un gruppo di associazioni di vittime della pedofilia del clero è un evento che colpisce nel profondo il senso di venerazione verso il Santo Padre.

Si sono appena spenti i riflettori sulla imponente spianata di giovani a Madrid, genuflessi, osannanti e quasi adoranti verso la ieratica figura del Sommo Pontefice e ora quella figura viene accusata addirittura di crimini contro l’umanità e denunciata presso quello stesso Tribunale penale internazionale che ha colpito dittatori sanguinari e di recente Gheddafi.

L’accusa non viene dai soliti anticlericali ma sale dalla coscienza sconvolta di migliaia di vittime, spesso profondamente credenti, di orrendi crimini quali la violenza pedofila del clero cattolico di ogni parte del mondo.

Ma non tutti nella Chiesa sono disorientati. C’è anche chi vede nell’evento un segno dei tempi che può aprire orizzonti di speranza verso una ripresa del sogno conciliare. Fra questi, le comunità cristiane di base. E’ vero che in un loro documento evitano di dare giudizi di merito sulla competenza della Corte e sull’opportunità della denuncia.

E questo indica che anche loro provano un certo senso di disorientamento. Ma non sono affatto disorientate quando affermano che «la chiamata in causa, presso un tribunale terreno, del papa, sovrano assoluto, che si proclama Vicario di Cristo che tutti giudica ma da nessun può essere giudicato, rappresenta una vera svolta nella storia della Chiesa.

È un altro pezzo di medioevo che viene abbattuto. È un nuovo orizzonte che si apre e rende ineludibile ormai un serio e aperto dibattito sulla piena responsabilizzazione del Popolo di Dio. Non si può continuare nella Chiesa ad affrontare le sfide positive della secolarizzazione e dell’ecumenismo con gli ammodernamenti di superficie che lasciano intatta la struttura gerarchica dell’istituzione.

La democrazia è stata considerata parola impronunciabile nella Chiesa. È l’ora invece di farci i conti se non si vuole che l’apparato ecclesiastico continui a soffocare la vitalità della Comunità ecclesiale». Non è disorientamento ma senso evangelico della storia come resurrezione.

Una vera e propria rivoluzione copernicana, fermentata a livello mondiale nel dopoguerra, dopo aver influenzato papa Giovanni è poi giunta al Consesso conciliare attraverso diversi canali di esperienza e di riflessione teologica ed è stata sancita nel grandioso documento sulla Chiesa che ha letteralmente ribaltato la concezione tridentina: non più al centro della Chiesa la gerarchia o il clero ma il Popolo di Dio, al cui interno e al cui servizio operano i ministeri gerarchici.

Ebbene questa rivoluzione non ha ancora trovato nuovi assetti istituzionali adeguati alla sua portata e fatica a penetrare nelle consapevolezze sia del mondo laico sia degli attuali massimi dirigenti ecclesiastici con la coda dei chierici difensori d’ufficio.

Gli stessi moduli espressivi difettano. Come centinaia di anni dopo Galileo si continua ancora a parlare talvolta il linguaggio della concezione tolemaica, così oggi si continua a parlar di Chiesa intendendo “gerarchia” se non addirittura “papa”. Ma alla base le cose stanno andando avanti.

I cattolici di oggi non sono più le pecore belanti di un secolo fa. La Chiesa di base sta imparando a non essere più centrata sulla gerarchia: sta diventando, così a me sembra, Popolo di Dio. La denuncia del clero da parte delle vittime della pedofilia può aiutare la Chiesa a tornare al Concilio per attuarlo finalmente imboccando i sentieri ardui ma inevitabili della democrazia partecipativa.