Eucarestia, ministero ordinato, donne prete: IV incontro de “Il Vangelo che abbiamo ricevuto” di V.Gigante

Valerio Gigante
Adista notizie n°69/2011 – www.adistaonline.it –

Tutto ebbe inizio con la “supplica” ai vescovi italiani di Giuseppe Alberigo per scongiurare un loro intervento, pesante e diretto, sui parlamentari cattolici affinché respingessero ogni ipotesi di riconoscimento delle coppie di fatto. Era il febbraio 2007, e solo qualche mese prima il caso Welby ed i funerali negati dal card. Ruini avevano iniziato a suscitare nel mondo cattolico indignazione e fastidio per la montante ingerenza dei vertici ecclesiastici nella vita politica del Paese.

Poi (marzo 2007) Ruini lasciò per raggiunti limiti di età sia la presidenza delle Cei che la carica di vicario del papa per la diocesi di Roma. E quella parte del mondo ecclesiale, pure inserita ed integrata nella pastorale diocesana, ma sempre più distante dall’indirizzo impresso dal cardinale alla Chiesa italiana, cominciò progressivamente a riprendere la parola. E a riappropriarsi del proprio diritto di critica.

I due incontri de “Il Vangelo che abbiamo ricevuto” svoltisi a Firenze del 2008 e del 2009, promossi da don Pino Ruggeri (non a caso collaboratore di Alberigo all’Istituto di Scienze Religiose di Bologna) ed animati da tante realtà del cattolicesimo democratico e conciliare, oltre che da gruppi ed esponenti della Chiesa di base, servirono a convogliare ed esprimere questo “disagio”. Emerse in alcuni, già allora, la necessità di dare una maggiore continuità al lavoro dei gruppi che si erano ritrovati a quelle assise. Ma non se ne fece nulla.

Nel 2010, a Napoli, durante il terzo incontro nazionale, qualcuno provò a rilanciare, proponendo che si creasse almeno una “rete” stabile di collegamento tra le tante realtà ecclesiali che si ritrovavano sul terreno comune della difesa dei valori del Concilio e della Costituzione. Ma anche in quel caso, si preferì glissare.

A Roma, il 17 e 18 settembre, nel quarto incontro nazionale (dal titolo: «Ma voi non così»), le questioni degli anni precedenti, pure non esplicitamente riproposte durante i lavori dell’assemblea, non hanno mancato di far sentire il loro peso.

Anzitutto sulla partecipazione: 150 circa i presenti (qualcuno in più nella mattinata di sabato), in flessione rispetto agli appuntamenti precedenti, specie se si considera che tra i presenti una parte era di Roma. Una forma di progressiva disaffezione, forse, che per alcuni è legata alla trasformazione di questi incontri in un “evento” a cadenza annuale piuttosto che nelle tappe di un processo collettivo; e con un’impronta più “intellettuale” che di attiva presenza nel dibattito ecclesiale e politico. In questo senso, anche la scelta del tema ha creato qualche malumore nei mesi che hanno preceduto l’incontro.

Sul tavolo c’erano infatti tre proposte: la fede adulta, l’eucarestia e il tema del dono. Era stata avviata una consultazione, dalla quale era uscita una netta preferenza per la prima opzione. Il comitato organizzatore aveva però optato per la seconda. Una scelta ritenuta da alcuni inopportuna, anche perché meno funzionale, specie nell’attuale acuirsi della crisi politica, economica e sociale che attraversa il Paese, a proseguire il confronto già avviato sul modo di vivere e testimoniare il “Vangelo che abbiamo ricevuto”.

Ministerialità o ministero?

Al centro della relazione introduttiva di Ruggeri, l’eucarestia intesa non come culto, ma come modello della vita cristiana quotidiana. Non sacrificio, ma presenza in ogni tempo dell’amore di Gesù; non le celebrazione dei «puri, ma quella di uomini e donne che si pongono davanti al Dio, Padre di Gesù Messia, in un confronto fraterno con quanti condividono la stessa fede». Non quindi eucarestia come potere, ma come vicendevole servizio.

Su questo aspetto si è incentrato parte del dibattito del pomeriggio, all’interno del quale diversi interventi (Antonio Guagliumi, Stefano Toppi, Dea Santonico) hanno sottolineato che se l’eucarestia è intesa soprattutto come sacrificio, è impensabile che non sia presieduta da un ministro ordinato ad hoc, perché il sacrificio esige che, a compierlo, vi sia un “sacerdote”, unico tramite tra l’umanità e Dio. Ma se al contrario si vive l’eucaristia come dono di Cristo all’assemblea-popolo di Dio convocato dalla parola di Gesù, la prospettiva cambia radicalmente.

E si può (e si deve) rimettere in discussione anche la necessità che ci sia qualcuno che la “presieda”. Sulla questione, cui è seguita la proposta di rendere non visibile il celebrante nella messa prevista il giorno successivo, Ruggeri ha sentito la necessità di intervenire, sottolineando che ci sono aspetti su cui è possibile discutere, come il nodo del ministero consacrato e delle donne prete, ma che è necessario che ci sia qualcuno alla presidenza dell’eucarestia per rendere visibile, seppure in modo simbolico, il primato di Cristo, «a cui la comunità si sottomette».

Durante la tavola rotonda di domenica: «L’eucarestia oggi: la ricerca di autenticità evangelica», Enrico Peyretti ha ripreso alcune delle questioni emerse nel dibattito del giorno precedente e della fase preparatoria dei lavori. Anzitutto ha ribadito il valore “politico” della eucarestia, come «antidoto alla concezione capitalistica della vita come competizione profittatrice ed escludente, come corsa ad eliminazione degli ultimi».

Per poi aggiungere che se «è vero che l’eucarestia non viene da noi ma è azione di Gesù tra noi, da riconoscere anche simbolicamente», forse ciò può avvenire «non necessariamente in forma scenografica». In questo senso, «la riforma liturgica conciliare ha fatto un passo decisivo staccando l’altare dal muro monumentale, girandolo verso il popolo», ma questo processo «deve proseguire mutando l’altare in mensa, tavola della cena, a cui il popolo, o la piccola comunità, accede sedendo attorno».

Insomma, se c’è un ministro ordinato, o una presbitera («è vergognoso – ha detto Peyretti – che ci sia ancora tale questione sulle donne»), «cioè persone scelte e indicate come capaci di riunire nella cena di Cristo, pur senza pretesa di titolari esclusivi», che celebrino loro. «Ma, se un/a presbitero/a ordinati non ci sono, possiamo arrivare a capire che un gruppo di discepoli di Cristo può celebrare la cena di Gesù».

Sulla stessa scia anche l’intervento di Mauro Castagnaro, per il quale «l’elemento del “servizio” (ministeriale) dovrebbe essere determinante e non confondersi più con quello “sacerdotale” (di mediazione necessaria tra l’uomo e Dio).

E senza sottrarsi, come ricordava Giuseppe Barbaglio, alla duplice esigenza di “ridimensionare il ruolo del prete, riconducendolo all’interno della dinamica della complementarietà che presiede all’azione dei numerosi e diversi servizi” e “desacralizzare la sua persona e la sua azione, rimettendone in luce l’esatta funzione di guida della comunità”».