Uscire dalla crisi con la Tobin Tax? di M.Ricci

Maurizio Ricci
Repubblica, 28 settembre 2011

Torna in pista la Tobin Tax. La tassa sulle transazioni finanziarie, ipotizzata da Keynes, sponsorizzata da James Tobin e rilanciata da Merkel e Sarkozy, diventa oggi una proposta ufficiale della Commissione europea. Questo non la rende imminente: Barroso ne fisserà l’ avvio, in Europa, per il 2014 e, nei corridoi della Commissione, si sostiene che la tassa ha l’appoggio unanime dei commissari.

Ma difficilmente avverrà altrettanto a livello di governi. Anche se Barroso proporrà, probabilmente, un’ aliquota minima (e forse diversa a seconda del tipo di transazione), la Tobin Tax è stata, finora, apertamente osteggiata sia, in Europa, dal governo inglese che, fuori d’ Europa, da quello americano. La tassa, in effetti, piace a molti economisti. Mentre non piace affatto a banche e operatori, se si eccettuano padri nobili come George Soros.

Gli economisti sono sicuramente interessati al suo gettito che, a livello mondiale potrebbe oscillare fra 700 e 1.400 miliardi di dollari (le stime della Commissione saranno molto più basse, intorno ai 50 miliardi), mentre gli operatori lo vedono come un costo. Barroso la presenterà come una “tassa sulla speculazione”, in modo che «le istituzioni finanziarie contribuiscano a coprire i costi della crisi recente». Sarà esentato il mercato primario, cioè l’ emissione di nuovi bond o azioni, così come l’ acquisto di monete straniereo di materie prima che hanno una contropartita “fisica”.

Ma il nodo vero è l’ effetto che avrebbe sul volume degli affari: una tassa sulle transazioni finanziarie avrebbe un impatto marginale sulle normali operazioni di Borsa che, però, ad esempio proprio a Londra, sono già tassate. Ma sarebbe un colpo devastante per la nuova finanza, la giungla di derivati esplosa negli ultimi anni, riducendola fino ad un decimo del suo volume attuale. Per molti economisti è un fatto positivo: nelle sue dimensioni attuali, la speculazione a breve termine non porta benefici all’ economia e sottrae risorse ad investimenti più utili. Per gli operatori, sono affari che vanno in fumo.

Stephan Schulmeister è un economista del Wifo, un centro di ricerche austriaco, che, da anni lavora sulla Tobin Tax e, nelle scorse settimane, ha aggiornato le sue stime. L’ ipotesi è di una tassa più alta, probabilmente, dell’ aliquota che proporrà la Commissione: lo 0,05%, in pratica 5 dollari ogni mille di importo della transazione. Applicata a livello globale, con questa aliquota, produrrebbe un gettito astronomico, pari all’ 1,1% del Pil mondiale. In Europa e in Nord America (dove ci sono i maggiori centri finanziari) il gettito salirebbe, rispettivamente, all’ 1,8 e all’ 1,5% del Pil delle due regioni. Tradotto in soldoni, questo 5 per mille internazionale fornirebbe 653 miliardi di dollari l’ anno a livello mondiale: una cifra pari, per avere un riferimento, a metà del costo delle importazioni mondiali di petrolio.

In Europa sarebbero quasi 311 miliardi (due terzi nella sola Londra) e 238 miliardi in America. Secondo i calcoli di Schulmeister, infatti, la tassa avrebbe un effetto modesto sulle normali operazioni di Borsa in azioni e obbligazioni. Un’ aliquota dello 0,1% (un 10 per mille) ne scoraggerebbe il 7%, mentre quella dello 0,05% ridurrebbe l’ effetto ad un meno 3,8%. E’ l’ oceano dei derivati che sarebbe sconvolto: il 10 per mille farebbe saltare l’ 80% degli scambi attuali di opzioni, futures, swap nelle Borse e il taglio si ridurrebbe solo al 70%, nel caso di aliquota dimezzata. Solamente un’ aliquota minima (un uno per mille) conterrebbe la potatura al 30%.

Nonostante questo selvaggio disboscamento, l’ esplosione della nuova finanza e la frenesia degli scambi di cui si nutre sono tali che il grosso del gettito verrebbe comunque dai derivati. A livello mondiale, lo 0,05% sulle normali compravendite spot in Borsa frutterebbe solo una cinquantina di miliardi di dollari. Gli scambi di derivati in Borsa, invece, produrrebbero 315 miliardi di dollari, a cui si aggiungerebbero 290 miliardi di dollari dalle operazioni over-the-counter, cioè direttamente fra due controparti (con l’ intermediazione di una banca). Come uno studio dell’ Fmi, ugualmente di queste settimane, anche il Wifo non vede particolari difficoltà tecniche di applicazione della tassa, nel mondo computerizzato della finanza di oggi, sia che venga riscossa nelle Borse, o che questo avvenga presso le banche o i broker che fanno da intermediari.

Numerosi problemi restano aperti: quale aliquota applicare, chi incassa, a cosa destinare il gettito. Ma il vero problema è l’ estensione della tassa, ovvero se tutto il mondo la applica oppure no. Tutto il mondo, in realtà, è un termine eccessivo. Né l’ Fmi, né il Wifo credono ad una migrazione in massa dei traffici off-shore, verso le isole Cayman o un atollo polinesiano. Gli stessi scambi ad alta frequenza, gestiti nello spazio di frazioni di secondo, devono avvenire relativamente vicino ai server delle Borse principali: qualche migliaio di chilometri significano microsecondi di ritardo nelle trasmissioni, che risulterebbero letali per gli operatori. Il punto, dunque, è che la tassa venga applicata nei centri finanziari più importanti. Parigi e Berlino potrebbero tranquillamente applicare la Tobin Tax. Ma il rischio di una migrazione dei traffici sarebbe reale. Questo rischio ha un nome preciso: Londra.

Il destino della Tobin Tax, in altre parole, è nelle mani, più di ogni altro, del governo inglese. Senza la City, tuttora la maggior piazza al mondo, ad esempio, per gli scambi valutari, il gettito mondiale si ridurrebbe da 650 a 450 miliardi di dollari l’ anno, con l’ aliquota dello 0,05%. Soprattutto, le Borse dell’ Europa continentale rischierebbero l’ asfissia. Vent’ anni fa, Stoccolma istituì una sorta di Tobin Tax nazionale. Ma, invece, del 5 per mille, la tassa era dell’ 1 o 2%. Il risultato fu lo svuotamento della Borsa svedese, per questo Fmi e Wifo raccomandano aliquote basse.