Quale presente e quale futuro per la nostra comunità di base? di P.Coscione

Peppino Coscione, cdb Oregina (Genova)

Leggendo il verbale dello scorso collegamento nazionale, ho visto con piacere l’indicazione da parte di qualcuno di una riflessione sulle origini  delle cdb e sul tema della riappropriazione. Colgo  l’occasione per inoltrare alcuni spunti di riflessione, in parte schematici, fatti nella nostra comunità l’anno scorso all’inizio della ripresa del cammino di vita della comunità.

Nelle cdb non c’è  la presunzione di eternità come c’è nell’ideologia dell’Istituzione ecclesiastica, soprattutto quella cattolica. E’ stata sottolineata da più parti, in particolare da Enzo Mazzi, che le cdb vivono la dimensione della precarietà, del fermento che si nasconde e si mescola nella massa e la fa lievitare tutta, del chicco di grano caduto in terra che deve morire per portare frutto. Ma quale frutto?

Delle ragioni della nascita e del  cammino delle cdb sottolineiamo alcuni punti  che sono il motivo per cui abbiamo condiviso  non solo l’amicizia, comunque importante, ma l’essere ed agire come comunità cristiana di base :

1)                  Il dissenso nei confronti della gerarchia ecclesiastica cattolica che ancora oggi si erge a mediatrice e padrona del messaggio di Gesù di Nazareth,  che afferma  la pretesa di costituirsi come  magistero anche infallibile al quale tutte e tutti devono sottostare. La imposizione di una teologia non dell’obbedienza alla parola evangelica ma della sottomissione alle norme ecclesiastiche. Una teologia presente in testi biblici assunti acriticamente e astoricamente ,presenti ancora oggi nelle liturgie che anche vescovi e preti “progressisti” continuano a proclamare, vivendo consciamente o inconsciamente una  schizofrenia che Luigi De Paoli ha ben descritto nella riflessione “Psicoanalisi del cristianesimo”, riflessione che forse non è stata presa abbastanza in considerazione. Una gerarchia ecclesiastica , perno di una istituzione strettamente intrecciata ai poteri dominanti, che condiziona negativamente la ricerca di libertà,di autonomia di pensiero di tanti  uomini e di tante donne .

2)                  Ma non ci siamo limitati al dissenso, abbiamo lavorato per costituire luoghi, spazi , relazioni ( comunità, appunto ) diversi da quelli tradizionali ed istituzionali cattolici e non solo cattolici. Nell’incontro e nel  lavoro comunitario e personale ciascuno/a ha potuto  riappropriarsi e continua a riappropriarsi della Parola di Dio, dei sacramenti, in particolare dell’Eucarestia, senza delega ad un “ordine sacerdotale” , con un’attività di desacralizzazione costante che pone al centro del messaggio la comunità di fede nel Dio di Gesù di Nazareth. Siamo stati/e e lo siamo ancora disponibili a compiere azioni comuni con  quelle persone  cattoliche, qualsiasi funzione abbiano nell’istituzione,   che denunciano l’ingerenza del Vaticano ( un macigno antievangelico specifico della chiesa cattolico-romana ), della gerarchia ecclesiastica cattolica sia nei confronti dell’intera comunità ecclesiale,  sia nei confronti della società civile .

3)                  Il punto focale era l’immersione  della comunità  nelle lotte culturali, sociali e politiche del tempo, assumendo la dimensione profetici della bibbia.

Ancora oggi tutte/i, ciascuna/o nelle sue possibilità ma anche nella generosità, siamo chiamate/i ad intrecciare il nostro cammino, la nostra testimonianza con chi lotta per il lavoro,per un salario dignitoso, per la casa, per una scuola pubblica decente, per il riconoscimento dei diritti di cittadinanza, di genere, di orientamento affettivo e sessuale, contro la xenofobia e il razzismo, contro la corruzione etica e politica, contro la guerra e la produzione delle armi etc…

Questa immersione è indispensabile se vogliamo dare reale contenuto al nostro vissuto di fede cristiana individuale e comunitaria” perché,come scrisse José Marti,“finché c’è anche un solo povero, c’è un’ingiustizia” e noi siamo chiamate/i a  lottare per eliminarla.

Il nostro dissenso alle istituzioni della chiesa cattolica  e alla chiesa cattolica in quanto istituzione di potere mondano  è nato nel contesto postconciliare quando a  poco a poco abbiamo imparato a leggere senza più bende e paraocchi il messaggio di Gesù di Nazareth,  icona-epifania-parabola-testimone di un Dio  dalla parte  delle ultime e degli ultimi della terra, vittime di gravi ingiustizie: così il dissenso si trasformava nel consenso ad una riappropriazione del cristianesimo delle origini.

Con il sostegno di tante/i studiose/i del Nuovo Testamento, con lo studio personale e di gruppo, con la partecipazione ai Convegni e ai Seminari nazionali delle cdb siamo divenute/i consapevoli sia delle evoluzioni ma quel che è drammatico anche di nefaste involuzioni dell’originario e plurale  movimento nato dal messaggio di Gesù. Abbiamo acquisito il fatto che Gesù né ha fondato né voleva fondare una nuova religione, ma che dalla sua testimonianza in “fatti e parole” si sono andati formando diversi  movimento come una rete di comunità di sorelle e di fratelli  che vivevano la “buona notizia”  in libertà ed  uguaglianza.

Comunità piccole e grandi con posizioni diverse, con funzioni differenziate, strutture provvisorie , talora  in contrasto fino al conflitto armato tra di  loro, ma, per un certo periodo di tempo, prive di una struttura gerarchica e patriarcale,  autonominatasi poi mediatrice   tra Dio e l’umanità, presunta destinataria di un magistero e potere sacrale.

  Al centro c’èra sempre la comunità di fede nelle sue articolazioni funzionali al benessere interno della comunità e   della società  in cui era inserita.

Barbaglio, a commento dei primi 11 versi del capitolo 1 della lettera alla Comunità di Filippi scrive: “Le comunità paoline sono articolate in senso democratico e su base carismatica: una pluralità e diversità di servizi che vede attivi  i/le credenti;  corresponsabilità di tutte/i nella pluralità e diversità di servizi”.

Nel 1967 Hans Kung nel testo La chiesa scriveva: “ tutti i  credenti sono l’Ekklesia , la chiesa , ( quindi siamo  tutti ecclesiastici, nel senso di membri dell’ekklesia ), tutti i credenti ( i fedeli, cioè testimoni della fede )  sono  sacerdoti ( il sacerdozio universale dei fedeli ) sono clero ( da κληρος ) cioè che partecipano della salvezza escatologica annunciata da Gesù. Nella chiesa primitiva vi era una differenza di doni e compiti ma non una differenza ( che hanno addirittura pretesa “ontologica” tra uno stato laico ( termine che non si trova mai nel N.T. ) e uno stato clericale ( inteso qui come  struttura  gerarchica (  “gerarchia” è un termine che non  si trova nel greco del N.T. ).

E’ la chiesa tutta,  come comunità,  che ha ricevuto il potere di battezzare; è la chiesa tutta, nella sua totalità che è autorizzata a perdonare i peccati. E’ la chiesa tutta che è autorizzata a “mangiare” il corpo del Signore e a “bere” il suo sangue”.

Anche  nell’esperienza della nostra comunità come di altre , l’Eucarestia è stata celebrata anche senza il prete ( cioè colui che nella tradizione cattolico-romana, e non solo,  riceve uno specifico sacramento, il sacramento detto dell’ordine  )  e il servizio di presidenza eucaristica veniva assunta da un’altra persona ( uomo o donna ) della comunità.

 I “preti” presenti nelle cdb si sono spogliati gradualmente della potestà gerarchico-sacrale,  svolgendo un compito ( non affidato esclusivamente a loro )  di coordinamento,di orientamento a servizio della crescita della  comunità . 

E questo è stato possibile  anche grazie a quelle  donne,a quei  i gruppi di donne, che lavorando con passione e coraggio sui testi biblici e teologici hanno saputo aprire   campi di interpretazione davvero innovativi per  quelle comunità che hanno saputo cogliere in questo  il segno dei tempi.

 Nella catechesi comunitaria rivolta ai ragazzi e alle ragazze ma che ha visto coinvolto quasi  tutta la comunità, abbiamo riflettuto sul significato dei sacramenti, utilizzando il testo  di José Maria Castillo dal titolo “ Simboli di libertà’, un testo tuttora di grande valore ed attualità.

 Qui non solo si sottolinea che l’elemento comunitario è una componente essenziale di ogni sacramento, ma che le comunità cristiane dei primi tre secoli hanno accettato e applicato a loro stesse la critica anticultuale, antirituale dei profeti dell’antico testamento; infatti  riconoscere Cristo Crocifisso come icona di Dio rappresenta la negazione di ogni sacralità , l’abolizione di tutte le “mediazioni sacrali”, di tutti i sacrifici rituali, di tutti gli ordini sacerdotali.

Inoltre lo studio ci ha  portato a condividere la posizione storico-biblico- teologica che sostiene che dai dati offertoci dal Nuovo Testamento ci era possibile dedurre che nelle chiese primitive si praticavano al massimo  tre sacramenti: il battesimo, l’eucarestia e la penitenza, che non è l’equivalente della confessione che si pratica ancora oggi nella chiesa cattolica.

 Tutto ciò l’avevamo capito  prima che  padre Roger Lenaers S.J. scrivesse (   importante che l’abbia scritto )  nel libro “Il sogno di Nabucodonosor ”:

“Fare dei sacramenti una parte fondamentale del sistema di fede è un tragico errore. Equivale a mettere il carro cattolico davanti ai buoi. Infatti, la fede va ben oltre la partecipazione ai riti. I riti cattolici al massimo rendono qualcuno membro della comunità di culto cattolico-romana, esecutore di osservanze religiose, ma non vero discepolo di Gesù. Il discepolato è un processo esistenziale continuo, che segna e cambia la nostra esistenza, e questo processo è la sola via verso una salvezza durevole”.

Abbiamo relativizzato  i momenti cultuali e rituali perché  abbiamo compreso che per Gesù di Nazareth non serve la religiosità che si fonda sui riti , ma quella che promana dal cuore degli uomini e delle donne, dalle esperienze più fondamentali, dalle loro decisioni a vantaggio  delle altre e degli altri.

Il culto della comunità  consiste essenzialmente nella vita santa dei/elle credenti.

Si tratta cioè di condividere la vita e farsi solidali con le persone povere e derelitte di questo mondo; per questo i testi ai quali facevamo più riferimento erano: le beatitudini (Mt 5,1-11; Lc 6,20-49 ) il giorno del giudizio ( Mt 25,31-36)

Questo non vuol dire che abbiamo rifiutato o che rifiutiamo celebrazioni sacramentali ( cioè esperienze di fede vissute e condivise in gruppo nella libertà dello Spirito )  e l’esperienza della preghiera sia individuale che comunitaria, ma che per noi il culto  non è autentico se non è espressione dell’offerta della propria vita, della generosa donazione dell’intera esistenza, vissuta sulle strade del mondo.

E’ incredibilmente attuale quanto sostiene Ignazio di Antiochia che quando parla  dell’Eucarestia si riferisce immediatamente agli atteggiamenti personali che la vita cristiana comporta: “ Convertitevi in nuove creature mediante la fede che è la carne del Signore e mediante la carità che è il sangue di Gesù  Cristo “ ( Tral. 8,1 ).