La parola al 99% di T. dell’Olio

Tonio Dell’Olio (responsabile internazionale di Libera)
Mosaico di pace, 17 ottobre 2011

E alla fine “spaccarono tutto”. Soprattutto la notizia. Perché chi l’ha letto l’appello degli indignati? Chi lo sa oggi quali sono le proposte di quel popolo per uscire dalla crisi?

“Spaccare tutto” è linguaggio da incappucciati cui non interessano le istanze. Gente che non è né indignata né arrabbiata. Semplicemente si esercita nell’uso della violenza per screditare tutti. Rivendichiamo di essere il 99% contro ogni violenza. Anche nella manifestazione.

Contro la violenza dell’economia finanziarizzata che condanna a morte ogni giorno milioni di persone e contro quella che pretende di adottare lo stesso linguaggio nella protesta. Per questo i bastoni non devono avere più spazio di parola delle idee.

E mentre mi chiedo quale virus ha invaso la mente di chi gode nel bruciare auto pagate a rate e spaccare le vetrine delle filiali, non perdo la speranza che si estenda la pacifica convinzione di far pagare la crisi a chi l’ha prodotta e non a chi la subisce.

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15 ottobre: i due scenari

Paolo Garuti
www.ilmondodiannibale.it

L’analisi delle violenze scoppiate durante la manifestazione degli indignati da parte di Paolo Garuti, sacerdote domenicano, che ne è stato testimone diretto.

Ero a piazza San Giovanni: ci sono arrivato da una stradina verso le 17, dopo aver cercato di raggiungerla da via Labicana, in un primo tempo, e in seguito da via Merulana. Ho visto poi perché i due ingressi alla piazza erano bloccati dai mezzi della polizia e dei carabinieri: la piazza era tranquilla e gremita, ma stava per succedere anche lì, dopo via Cavour, quel che tutti si aspettavano. Perché questa è l’unica idea che ho in testa questa notte. Tutti lo sapevano (pure il priore del mio convento, che ha imposto la serrata dei cancelli dalle 13 e 30, anche se siamo lontani dal percorso della manifestazione).

Ci sono due sole spiegazioni, a mio avviso, del fatto che la violenza di questa sera fosse ampliamente prevista. La prima: si è trattato di un copione già scritto e perfettamente eseguito da attori ormai noti al pubblico affezionato. È stata questa la mia sensazione quando ho visto (e in parte subìto) le «cariche di alleggerimento», quando ho scorto sbucare dai vicoli e dal fondo di via Emanuele Filiberto una decina di enormi blindati, quando ho sentito il lezzo dei cassonetti dati alle fiamme. Soprattutto quando, in un bar, ho sentito la diretta d’una emittente della Famiglia: il giornalista ripeteva come un ritornello «per fortuna non c’è il morto», che è un modo per evocarlo e stamparlo nella mente del pubblico sanfedista (quello che crede che Fede sia un santo, per capirci).

Il dietrologo che dorme in me s’è detto che modo migliore non c’era per far tacere le giuste proteste dei tanti che manifestavano, per ricacciare nel qualunquismo quanti di loro timidamente s’affacciavano alla piazza spinti dalla crisi e non da ideologie, per far tollerare ancora per un po’ i liquami che riversa sul paese una politica in avanzata decomposizione. Temo, però, che questa non sia che una teoria camomilla: se tutto era previsto e tutto è successo come da programma, allora posso stare tranquillo. Tutto tornerà nel solito chiacchericcio giornalistico, già pronto a dar voce alle opinioni premasticate dai capi testata.

La seconda possibilità mi terrorizza: la possibilità che, invece, la violenza di stasera fosse prevedibile perché tutti sentiamo che questa crisi economica e politica ha come sbocco naturale la rabbia impotente dei turlupinati e la risposta poliziesca degli stati. Molti incominciano a dubitare che possa continuare il gioco per cui i governi devono prelevare soldi dai cittadini per salvare le banche che hanno rovinato i cittadini (giocando i loro soldi a strappetto) perché se no i cittadini perdono anche quel poco di danaro che ancora hanno nelle banche o investito nelle opere dei governi. Molti pensano che modificare questo equilibrio sia impensabile, come era impensabile che gli aristocratici della corte di Luigi XVI accorciassero i fiocchi dei loro codini.

A meno di non tagliare con la parrucca quel che c’era sotto. Si poteva fare e fu fatto. Non lo dico per terrorizzare, ma perché la mancanza di fantasia affila le ghigliottine e perché, se chi chiede il potere per risolvere una situazione poi non lo fa, potrà almeno servire da capro espiatorio. Su queste acque oscure, la violenza di ieri ad Atene e d’oggi a Roma è solo la punta dell’iceberg.

Lo dico anche perché da un po’ i giornali della borghesia italiana (Corriere e Stampa, in testa, e Repubblica al seguito) ripetono un terribile mantra: «tutto va male, anzi malissimo, ma non c’è alternativa». B. è un pericoloso egocentrico vittimista? Sì, ma non si vede nell’opposizione una leadership credibile. Si potevano isolare i violenti di piazza San Giovanni? Sì, ma è difficile. Si può immaginare un mondo diverso da questo che, non pago d’affamare i negretti, ha gettato e getterà sul lastrico stimati professionisti ed azionisti occidentali? Sì, ma bisogna essere pragmatici e non francescani. Ecc.

Anche questo nihilismo dell’alternativa mi fa pensare alle scorse rivoluzioni violente, piccole e grandi. Per tornare a Luigi XVI: i tentativi di migliorare (in senso illuministico, o cattolico, o inglese) l’aristocrazia francese non furono presi sul serio, non li si credette realizzabili. Il sistema esisteva dai tempi di Carlo Magno, perbacco. Qualcosa di analogo successe a Mosca un secolo dopo. Messi contro il muro della non alternativa ad una situazione insostenibile, si pensò bene – intanto – di scorciare gli irreformabili, gli inesorabili, i di diritto divino. Poi, uno Stalin o un Napoleone lo si trova sempre per creare una nuova oligarchia, ma, se non altro, indietro nessuno vorrà tornare davvero.

Se però deve essere anarchia violenta o rivoluzione, temo che l’azione dei teppisti di piazza San Giovanni sia arcaica come i loro accenti. Il vero assalto agli sportelli bancari si fa ogni secondo sul web: credo che questa crisi finanziaria, in buona parte, non sia controllabile anche perché le autorità preposte non riescono neppure a ipotizzare quante attività lucrative si possano fare negli spazi lasciati dalle ignare legislazioni nazionali. Non immaginano quanta «violenza» esprimano gli scugnizzi della tastiera, non rubando i segreti dei governi e degli eserciti, ma giocando sui cambi, comprando e rivendendo scommesse effettuate mentre passano sulla rete, creando o contraendo una liquidità inesistente fuori dai circuiti elettronici, anticipando e dirigendo ciecamente, in notti di insonnia, quello che altri sono obbligati a fare solo in orario d’ufficio ed in ossequio a leggi protezioniste.

Dal 26 settembre circola sul web l’intervista della BBC ad un trader, tale Alessio Rastani: questo giovane porta la cravatta e guarda fisso lo schermo. Chi non l’ha vista la cerchi su youtube. L’apocalisse ha molti volti: questo parla come i nostri vecchi, sembra uno spot per il dollaro e i buoni del tesoro, ma sprizza violenza e zero senso del bene comune. Non è credibile, senz’altro è un mitomane, ma esiste e non è detto sia solo.