Commento al Vangelo nell’eucarestia di domenica 27 novembre di CdB San Paolo

CdB di San Paolo (Roma) – Gruppo Marconi

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!». (Marco 13,33-37)

Oggi è la prima domenica di Avvento. Da varie domeniche siamo invitati a confrontarci con quelle che il gruppo ha chiamato le “parabole della crisi”, quella del fico (Mc 13, 28), quella dei talenti (Mt 25, 14-30) (ma anche quella delle dieci vergini, Mt 25, 1-13), parabole, cioè, che sembrano prefigurare le vicende dei tempi ultimi ed il verificarsi di un giudizio.

Una riflessione sulle vicende storiche di quel periodo (il dominio oppressore di Roma, la distruzione del tempio nel 70), ci convince che queste visioni che prefigurano scenari apocalittici sono avvertimenti di chi ha steso l’evangelo, ovviamente dopo questi fatti, per rassicurare la propria comunità che viveva quei tempi, che Gesù aveva previsto quelle disgrazie e che esse sarebbero state brevi. “Quando vedrete l’abominevole devastatore (alla lettera “l’abominio della desolazione”) stare là dove non si conviene – chi legge (!?) intenda! – allora tutti quelli che saranno in Giudea fuggano sui monti; e chi è sulla terrazza non scenda né entri in casa sua… guai alle donne incinte… giorni di una tribolazione come non ve ne fu mai dal principio del mondo” (Mc 13 passim).

Questi avvenimenti sono legati alla venuta del Figlio dell’Uomo, che per secoli nella tradizione cristiana è stata letta come la fine del mondo, il giorno del giudizio (ed anche nel nostro foglietto si parla di “venuta finale” del Signore). Ma oggi preferiamo leggere queste pagine interpretandole come allusioni alla costruzione del Regno di Dio, già qui, sulla terra. La venuta di Cristo è dunque il kairòs, il momento da non perdere; la shekinà, la presenza femminile del Signore, va cercata nel mondo.

In effetti, l’incertezza sui tempi ultimi doveva essere pure in Gesù se afferma: “Quanto poi a quel giorno e a quell’ora, nessuno ne sa nulla, neppure gli angeli nel cielo, né il Figlio, ma solo il Padre. E su questo versetto si sono scatenate le divisioni all’interno della chiesa primitiva, lo scisma dell’arianesimo che partendo da queste parole ha dedotto una natura meno potente (umana) del figlio rispetto al padre.

D’altra parte un argomento che ha interessato il gruppo è stato il parallelo tra cristianesimo ed ebraismo perché l’attesa del Messia o del ritorno del Messia è presente in entrambe le religioni. Qui è riportato un passo di Isaia che invoca un intervento del Signore che dovrebbe squarciare i cieli (come lo strappo pirandelliano nel cielo di carta del teatro) e scendere sulla terra. Ma il brano di Marco si ispira chiaramente a Daniele, in cui troviamo questa espressione Figlio dell’uomo, che Gesù fa sua (cfr. Mc. 14, 62).

Recensendo la pubblicazione di una raccolta di storie e leggende chassidiche dei secoli XVIII e XIX in Polonia Pietro Citati scrive: “Ogni villaggio chassidico ferveva di vita religiosa, attendendo l´arrivo del Messia, che ritardava da migliaia d’anni. Il Messia poteva arrivare, inaspettato, ogni momento. Se il mercante ebreo sentiva qualche trambusto per la strada del paese, si agitava, usciva di casa, domandava cosa accadesse: ogni sera, prima di addormentarsi, ordinava al servitore di svegliarlo all´istante, se fosse giunto il messaggero lungamente atteso”.

Gesù avverte: “Molti verranno nel mio nome dicendo: ‘Sono io’… Quando sentirete rumori di guerre, non vi turbate; è necessario che queste cose avvengano, ma non è ancora la fine … Badate a voi stessi! Vi tradurranno nei sinedri, e nelle sinagoghe sarete percossi” (Mc 13, 5-9 passim).

All’inizio, i cristiani non si sentivano e non erano separati dai giudei. Queste ultime parole testimoniano del distacco che a poco a poco si viene a creare tra vecchia e nuova religione: le sinagoghe, dove Gesù ha potuto insegnare, dove i discepoli hanno potuto esporre le loro professioni di fede (Atti) diventano luogo di persecuzione.

Infine una riflessione sul significato di queste parabole. Esse sono minacce od opportunità? Atterriscono l’uomo e lo raggelano in una dimensione sterile di attesa o lo chiamano alla vigilanza e all’utilizzo dei propri talenti? Oggi come allora, cosa deve fare l’uomo di fronte ad un’oppressione. Claudio, all’interno del gruppo ha detto: “è qui che c’è un bivio: se fermarsi preganti e adoranti nell’attesa oppure ?… oppure correre il rischio della presunzione tutta umana di poter cambiare la realtà!”

Proviamo allora a riscrivere la parabola. Chi è che ti sveglia? Samuel Ruiz diceva: io sono stato nel Chiapas e non mi ero mai accorto dell’oppressione dei poveri: i popoli mi hanno svegliato. Oppure una vecchietta alle Piagge (Firenze): “Alessandro Santoro ci ha aperto gli occhi!”