Fare politica come uomini e donne di buona volontà di G.Codrignani

Giancarla Codrignani
www.viandanti.org, 1 dicembre 2011

I “Viandanti” sono dei credenti che si sentono laici e vorrebbero ragionare sulla missione della loro Chiesa in un mondo proiettato verso un futuro ancora sconosciuto e, forse, minaccioso. Si sentono un po’ infastiditi quando si trovano davanti vecchie ipotesi di utilizzo politico dei cattolici.

Il forum di Todi e la presenza nel governo Monti di persone altamente qualificate, in parte di notoria appartenenza confessionale, hanno prodotto un perdurante interesse dei media e il sospetto che l’Italia sia alla vigilia di una riconfessionalizzazione democristiana della politica. Tuttavia, se anche la Chiesa si impegna in prima persona per il bene della società civile, proprio perché responsabilmente cristiani, siamo pronti a contribuire al recupero in dignità e bellezza della parola “politica”.

Ripresa del collateralismo?

Una prima osservazione parte dalla palese constatazione che i cattolici non parlano con una voce sola: l’essere “sale della terra” per qualcuno non è complementare al creare “la città collocata sopra un monte”. Vale a dire: dai “cristiani adulti” ai “teocon” le differenze non mancano. L’attuale governo è certamente politico, ma non è direttamente partitico e l’essere “tecnico” lo fa supporre autonomo; tuttavia, anche in conseguenza del poco avveduto sostegno dato alla destra berlusconiana dal Vaticano, il cattolico che abbia preso posizione, per esempio, per il Partito Democratico non torna indietro.

Tuttavia, le sollecitazioni di Bagnasco e Crociata prima dell’incontro di Todi hanno segnato la fine dell’appoggio non disinteressato al governo Berlusconi oppure la ripresa della delega a laici qualificati del tradizionale collateralismo? Auspicando “un soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica”, la Cei probabilmente non intendeva riferirsi ad una “forma partito”, bensì orientare una società secolarizzata, e, da un lato sconfortata e passiva, dall’altro “indignata”, a ritrovare nella Chiesa un sostegno morale e una più aggiornata autorità per fedeli sempre più dimentichi della dottrina.

Una cristianità politicamente plurale

Ha prodotto meno rumore, ma, sempre in novembre, alla Domus Pacis si è autoconvocata l’Assemblea dei Cattolici Democratici (è intervenuto, tra l’altro, anche il ministro Andrea Riccardi). Il documento che ne è uscito, ricordate le “inedite opportunità” del nostro difficile tempo per chi faccia riferimento valoriale “alla Costituzione, al Concilio, alla nuova cittadinanza democratica”, indica alcune “idee-forza”, che si concretizzano, oltre che nella “difesa tenace della democrazia, …in un modello di società aperta, inclusiva e partecipata, nella visione conciliare della Chiesa come popolo di Dio pellegrinante nella storia, nella rinnovata opzione per i valori della laicità e dell’autonomia laicale nelle scelte politiche”.

Se fosse per caso in atto un’operazione ecclesiastica di restaurazione preconciliare politicamente favorevole a nuovi indirizzi di un centro-destra, sensibile più ai valori non negoziabili che alla perdita di diritti dei più svantaggiati, il Vaticano non dovrebbe illudersi: l’antica “cristianità” si è fatta plurale e i cattolici, disseminati nelle varie forze politiche, non sono più recuperabili all’ubbidienza. Non sono i tempi del Patto Gentiloni e probabilmente neppure l’Ulivo di Prodi – che non era piaciuto alla Cei – sarebbe ripetibile.

Recuperare la dignità della politica

All’udienza del Pontificio Consiglio per i Laici, Benedetto XVI ha riconosciuto che “ci si è adoperati perché la presenza dei cristiani nel sociale, nella politica e nell’economia risultasse più incisiva, e forse non ci si è altrettanto preoccupati della solidità della loro fede”.

Questo è il proprio della Chiesa: infatti, il mondo ha molto parlato – e continua a parlare – di Cristo, ma non è assolutamente cristiano. Altrimenti avrebbe ragione Raniero La Valle a ricordare che, se il Vangelo risultasse unificante, la presenza cristiana in politica “sarebbe una festa per gli otto milioni e mezzo di poveri che secondo l’Istat ci sono in Italia”. E i governanti negozierebbero sugli interessi del mercato senza regole per vincere il mammona che abita ancora la storia.

Per recuperare con giuste misure la dignità della cosa bella che è la politica (non dimentichiamo che sono le istituzioni e la stessa Costituzione a correr pericolo nel populismo dilagante), meglio rifarsi alla coscienza responsabile dei figli di Dio che cercano di riconoscersi nella sua parola. Anche se, con quella che – secondo don Milani – è “l’aggravante della buona fede”, ci sono i fondamentalisti sostenitori della conservazione, perfino irrispettosa dell’uguaglianza, della legalità e perfino dell’etica, potenzialmente sono molti di più quelli che fanno e fanno rispettare le leggi perché non valgono soltanto per loro e testimoniano i valori e i diritti umani senza ritenersi relativisti solo perché politicamente non dogmatici: è la polis che vive di convivenze democratiche.

Non riaprire “la questione cattolica”

Questi cattolici faranno politica in quanto donne e uomini di buona volontà, senza condizionare la loro offerta alla presunzione di essere “in missione” per conto di Dio. Tanto più che riconoscere la libertà religiosa altrui, ospitare lo straniero, accettare la presenza parimenti autorevole delle donne, accompagnare – come fanno le chiese cristiane (cattolica in testa) in Germania – l’inizio e il fine vita al rispetto dell’umanità, accogliere chi sia stato colpevolizzato per una diversità uguale nei diritti, sono riconoscimenti assolutamente compatibili con le scelte del maestro che ha prosciolto l’adultera, privilegiato il samaritano e, soprattutto (per il significato teologico), “la” samaritana.

La stessa pericolosa situazione economica internazionale richiede cautele nel farsi portatori di proposte veritative e l’evidente epoché della storia contemporanea comporta esigenze di nuove competenze, strategie che tengano conto dei mutamenti sociali e dei nuovi saperi e verifichino l’impatto delle riforme sulla nuda vita del mondo. Non conviene assolutamente riaprire “la questione cattolica”: la Chiesa, che non può chiamarsi fuori dal contagio della crisi e che darebbe un grande esempio proprio nell’essere-Chiesa e nel fare qualche passo indietro di fronte alle interferenze di potere, ne riceverebbe solo impoverimento.