Quando ha ancora un senso scrivere di teologia di M.Vigli

Marcello Vigli

Elio Rindone, Chi è Gesù di Nazareth? Idee nuove dopo il Concilio, Ilmiolibro Editore, Roma 2011, pag. 240, € 15,00

Elio Rindone,  nel suo ultimo libroguida con acume e ampia documentazione il lettore a scoprire il risultato della rivoluzione – qualunque termine sarebbe inadeguato ad esprimere la realtà dei fatti – che si è verificata nell’ambito del pensiero cattolico nei decenni che precedono e seguono il grande evento del concilio Vaticano II, e che nel corso del pontificato di Giovanni Paolo II come di quello di Benedetto XVI, si fa di tutto per dimenticare. Essa è frutto di rigorose analisi scientifiche che hanno indotto anche numerosi teologi cattolici a sostenere  che l’interpretazione tradizionale della figura di Gesù è un travisamento del vangelo. Non  si tratta di una conclusione di poco momento perché la rappresentazione di Gesù, uomo e Dio, costituisce l’architrave dell’intera teologia cattolica.

L’intento dell’autore non è, però, quello di escludere Gesù dall’orizzonte della cultura contemporanea, ma di dare della sua figura una lettura praticabile nel nostro tempo, pur senza la pretesa di presentarla come l’unica valida lasciando alle successive generazioni la libertà di ritradurne il senso entro modelli culturali nuovi e per noi inimmaginabili.

Il libro si divide così in due parti: la ricca e convincente analisi della crisi del procedimento dimostrativo dell’apologetica classica e la presentazione di nuove prospettive cristologiche.

Per un procedimento dimostrativo impegnato a razionalizzare una verità data, centrale è il problema dell’attendibilità delle fonti in cui è essa è rivelata. Di qui la crisi della teologia tradizionale provocata dall’avanzamento degli studi filologici  e storici che hanno messo in dubbio l’attendibilità dei vangeli rileggendoli attraverso le categorie interpretative elaborate dalle nuove scuole: delle Forme e delle Redazioni L’autore ripercorre il cammino che porta al ribaltamento della interpretazione tradizionale della persona  e dell’opera di Gesù con l’ausilio di numerose citazioni e pertinenti riferimenti a testi di autorevoli critici, che hanno usato tali categorie nella lettura del Nuovo Testamento. Se ne ricava che i vangeli sono il frutto della rielaborazione di ricordi trasmessi dai testimoni alle comunità dei primi seguaci e costituiscono non tanto una narrazioni di eventi, ma piuttosto un annuncio di fede finalizzato a provocare una decisione esistenziale. Sono perciò da leggere solo  in una prospettiva teologica in un intreccio inestricabile fra fede e storia. Impossibile quindi conoscere il “Gesù storico”: non si può ammettere una perfetta identità tra il Gesù della Storia e il Cristo della fede, predicato dalla chiesa primitiva

La perfezione morale, che i Vangeli gli attribuiscono, è frutto dell’ammirazione dei discepoli nei confronti del Maestro, così come la coscienza che aveva di se stesso è quella che gli attribuirono i suoi seguaci e ancor più quella che costruirono i teologi successivi giungendo alle definizioni dogmatiche dei primi concili, frutto di trasferimento su un registro metafisico di proposizioni appartenenti a un ben diverso codice linguistico. Valutate con questo criterio le enunciazioni e le definizioni sulla natura e le opere di Gesù appaiono insufficienti per fondare la cristologia codificata nel patrimonio teologico della Chiesa. Tanto meno possono essere addotte come prova su cui fondare la fede: L’opinione che la resurrezione sia non prova ma oggetto della fede è oggi sempre più condivisa e, anche in questo caso  è stata la nuova chiave di lettura proposta dagli esegeti contemporanei che, consentendo una migliore intelligenza dei testo ha permesso di evitare gli abbagli dell’apologetica tradizionale.  

Conclude così l’autore la prima parte del suo lavoro aprendo la via alla presentazione delle nuove prospettive cristologiche.

Nell’introdurle  muove dal riconoscimento che sono destinati al fallimento i tentativi di conciliare l’esegesi storico-critica con le tesi dogmatiche tradizionali. Questa impossibilità sta creando e ancor più creerà grossi problemi al magistero ecclesiastico impegnato ad ammodernare il linguaggio teologico, attento, però, a non mutare la sostanza del suo insegnamento.

A ritrovare l’essenziale del messaggio evangelico si sono, invece, cimentati esegeti e teologi che hanno scelto di assumere come prospettiva di una nuova cristologia la dimensione storica dell’esperienza umana e in essa di quella religiosa. A quest’ultima essi attribuiscono una valenza particolare nel dare una risposta all’interrogativo sul senso della storia al quale la scienza non può dare una risposta mentre può darla il linguaggio evocativo e simbolico della religione. Esso da un lato evita ogni tentazione di tematizzare una storia universale filosoficamente interpretata e dall’altro nutre la speranza che la storia abbia un senso.  All’interno di questa concezione può ritrovare credibilità il messaggio di salvezza di cui Gesù è portatore se, però, si rinuncia a pretendere, in presenza dei successi conseguiti dai movimenti di liberazione del nostro tempo, che lui solo ne abbia il monopolio esclusivo, e si libera il suo messaggio dal linguaggio delle immagini con cui è presentato nei testi.

In questa operazione si cimentano i teologi della nuova cristologia impegnandosi nel difficile lavoro ermeneutico di rileggere e interpretare i dati della fede per ripresentarli  in un linguaggio attuale. Le loro soluzioni Rindone analizza e ripropone in una chiara sintesi realizzando così l’obiettivo, che si era posto, di renderle fruibili anche per i non addetti  ai lavori.

Ne emerge che centrale nel messaggio di Gesù è l’annuncio dell’avvento del Regno di Dio, che ormai per i biblisti non riguarda l’aldilà. Alla sua costruzione sono chiamati i suoi seguaci  attraverso l’impegno nell’azione tesa a istaurare sulla terra un regno di giustizia e di pace. Ad essa è finalizzata la Chiesa come emerge, specie dagli scritti di Schillebeeckx, che l’autore privilegia perché a suo avviso ha saputo ripensare in profondità il problema cristologico così da offrire il contributo forse più originale  più stimolante al pensiero cattolico post-conciliare.

Essa ne è, infatti, la prefigurazione; suo compito avrebbe dovuto essere l’annuncio di quello.

Nel riflettere su questo rapporto Chiesa/Regno l’autore si preoccupa di chiarire che queste nuove prospettive non vogliono operare una riduzione del vangelo alla dimensione puramente orizzontale, mentre, in realtà è proprio la Scrittura che dà rilevante spazio a tale dimensione.

Lo conferma con citazioni di Isaia e di Luca, confrontando i poveri delle Beatitudini di questo con il riferimento ai miseri di quello, e insistendo che nel messaggio di Gesù resta centrale l’inscindibilità del rapporto fede in Dio e solidarietà con gli uomini. Quei cristiani, che intendessero dimenticarlo preoccupandosi solo dei problemi temporali e considerando l’idea di Dio un  residuo di mentalità precritica, tradirebbero, perciò, sia le esigenze dell’uomo sia l’autentico messaggio di Gesù, che colloca proprio in Dio il fondamento della speranza della venuta del Regno.

Emerge da queste conclusioni che centrale diventa l’interrogativo se la Chiesa così come si è configurata nel tempo è in grado oggi di annunciare il Regno in un mondo complesso e senza confini.

Il libro di Rindone ha così il merito di porre le premesse per poterlo affrontare correttamente .

Pur con i vizi e le virtù di una qualunque istituzione umana questa chiesa sempre uguale eppure mutevole ha veicolato attraverso diverse vicissitudini il messaggio di uno sconosciuto ebreo di Palestina, come Barbaglio definisce Gesù, fino ai  nostri giorni.  Creata dal nulla dai suoi seguaci come struttura sociale non integrata in un’etnia o in una cultura, si è conservata nel tempo adattandosi alle diverse condizioni storiche in cui si è trovata a vivere, coinvolgendo sempre nuovi popoli e le loro diverse culture, restando autonoma: né separata né pienamente assimilata nelle diverse società.

In questa prospettiva come può adattarsi al nostro tempo per testimoniare una fede comune a donne e uomini diverse/i per cultura, etnia, condizioni sociali distribuiti fra sette miliardi di abitanti di un pianeta, che sta diventando sempre più piccolo,  per di più chiamati almeno formalmente a considerarsi tutti uguali e padroni del proprio destino?

Deve, prioritariamente, essere ripensato e ristrutturato il rapporto fra istituzione e comunità ereditato dal passato.

Il Concilio ha tentato di avviare un processo di cambiamento che però è stato ben presto abbandonato. Si sono assunta la responsabilità di riprenderlo gruppi di cristiani di base. Molti si sono dispersi o hanno ceduto allo scoraggiamento altri non si sono arresi. Fra questi le Comunità cristiane di base tentando, ancor oggi fra grandi difficoltà, di sperimentare la possibilità di essere chiesa come Popolo di Dio, fatta cioè di cittadini responsabili e non sudditi …. fedeli. Tentano di recuperare la funzione di quando la comunità agiva da soggetto teologico ispirando, come ricorda l’autore, gli evangelisti ad intrecciare fede e storia indissolubilmente, così che non è facile dire dove ha termine l’una e inizio l’altra.

Dalla loro esperienza si può trarre materiale anche per rispondere ad un altro interrogativo sul soggetto chiamato ad elaborare la nuova teologia per evitare che torni a ripetere gli errori della  vecchia preoccupata di conquistarsi uno spazio fra gli intellettuali del tempo piuttosto che dar voce alle esperienze di fede delle Comunità razionalizzandone  i contenuti.

La comunità diventa il soggetto teologico che rende comunicabile le motivazioni che animano la vita di relazione maturata e sviluppata al suo interno in rapporto all’ambiente esterno, a partire dai comportamenti ispirati ai suoi membri dalla fede nel messaggio di Gesù di Nazareth così come lo ha ricevuto dai testi fondamento della continuità di Chiesa alla quale partecipa, ma riletti alla luce delle novità del’oggi in cui vivono.

Sganciata dalla loro esperienza la teologia diventò una forma, per di più spuria, di filosofia, anche se venne il tempo in cui pretese di considerarla sua “ancilla” quando la gerarchia ecclesiastica fu assunta alla pari ai vertici del potere.  Elaborata al di fuori di concrete esperienze di vita comunitaria, si può tradurre oggi in una “narrazione” fra le altre  con forti connotazioni ideologiche, per di più priva del diretto riferimento ad un gruppo sociale definito che ha caratterizzato e caratterizza le altre ideologie.

Solo da un Gesù quotidianamente vivente in quelli che si riconoscono nel suo messaggio può nascere una cristologia adeguata al nostro tempo.