Il crocifisso di Stato

Paolo Fai
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Il fuoco incrociato che su giornali e riviste e ancor più sul web da qualche tempo si sta abbattendo sulla Chiesa cattolica per i privilegi di cui ampiamente gode in fatto di esenzione dal pagamento dell’Ici sugli edifici non adibiti al culto, riporta in primo piano un’altra polemica: quella sulla presenza del crocifisso sui muri delle scuole, dei tribunali, degli ospedali, insomma dei luoghi pubblici.

A dare centralità ad uno dei più intricati e insolubili nodi della politica italiana è un libretto, apparso nella collana “Vele” di Einaudi già qualche mese fa, intitolato Il crocifisso di Stato (10 euro), scritto dallo storico Sergio Luzzatto, che insegna Storia moderna all’università di Torino. Luzzatto articola la sua indagine lungo un centinaio di pagine, nel corso delle quali dimostra come e per quali ragioni l’Italia non sia riuscita, fino ad oggi, a recepire la novità rappresentata dal nuovo Concordato del febbraio 1984, quello, per intenderci, firmato da Bettino Craxi, presidente del Consiglio di quel tempo, e il cardinale Agostino Casaroli, Segretario di Stato del Vaticano. Il protocollo addizionale recita esplicitamente che «si considera non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano».

È proprio a partire da questa svolta radicale nei rapporti tra Stato e Chiesa cattolica che il professor Marcello Montagnana, il 26 marzo 1994, durante la costituzione di un seggio elettorale all’interno dell’ospedale santa Croce a Cuneo, in qualità di scrutatore «si sentì autorizzato a contestare la presenza del crocifisso nello spazio pubblico» e a «tutelare il dettato costituzionale sulla neutralità religiosa dello Stato». Siccome il Montagnana, ebreo, si rifiuta di fare lo scrutatore, se ne torna a casa e, per questo, nel 1996 subisce un processo. Ma la Corte di Cassazione nel 2000 non solo lo assolse definitivamente per il caso del seggio elettorale da lui abbandonato nel 1994, ma gli diede anche ragione, con la motivazione che «l’esposizione del crocifisso nelle sedi della pubblica amministrazione – scuole, tribunali, carceri – è illegittima, perché incompatibile con quanto stipulato dalla Costituzione in materia di uguaglianza, di laicità, di libertà di coscienza».

Ma, nonostante questa sentenza, quella per la rimozione del crocifisso dai luoghi pubblici resta una battaglia, ancorché nobile perché di principio, votata allo scacco. Luzzatto ne rintraccia le ragioni profonde nella storia, perché «la storia non è acqua. E la storia – merita ricordarlo, mentre rimbomba intorno a noi la grancassa del 150° anniversario dell’Unità – è segnata da una sorta di peccato originale che ci rende diversi da ogni altro paese cattolico: l’Italia è nata non soltanto senza il papa di Roma, ma contro il papa di Roma». Per questo, Luzzatto intitola un capitolo «L’utopia di Cavour» e scrive che «dopo la morte improvvisa di Cavour gli uomini della Destra storica rinunciarono a realizzare pienamente l’ideale cavouriano della “libera Chiesa in libero Stato” (una Chiesa libera, cioè, entro i limiti che lo Stato le riconosce e le consente)».

La sconfitta di Cavour ha avuto «conseguenze epocali sulla vita italiana del secolo e mezzo successivo», e segnatamente «l’ingerenza del Vaticano nella nostra vita pubblica». Allora, in una società che, come quella italiana, al pari delle altre società europee, tende a diventare sempre più multietnica e pluriconfessionale, Sergio Luzzatto fa sue, in conclusione, le parole che Amos Luzzatto, da presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, pronunciò in un’intervista del settembre del 2002: «Cosa metterei nelle aule delle scuole italiane? La doppia elica del Dna, l’unico simbolo del genere umano punto e basta. A prescindere dal colore della pelle, della lingua, della religione, insomma da tutto quello che dovrebbe essere solo un particolare».

Con buona pace degli “atei devoti”, che Luzzatto definisce “prigionieri del Vaticano” non tanto perché la loro «tutela a oltranza della Chiesa per ragioni di realismo politico [è] senza intima adesione alla fede cattolica, ma soprattutto perché «uomini senza Dio cercano un rapporto di dipendenza funzionale con il papa e con il Vaticano, persuasi che l’Italia si governi così: facendosi strumenti tanto fedeli quanto informali dell’augusto inquilino d’Oltretevere».