Renovatio ecclesiae e riforma politica

Walter Tocci (*)
http://www.tamtamdemocratico.it/ n.4/2011

Da Todi viene la buona notizia di una nuova responsabilità politica dei cattolici. Stupisce che sia avvertita come una novità poiché da almeno venti anni la Chiesa italiana ha insistito sulla “presenza cattolica”. Eppure, alla fine della Seconda Repubblica ha ottenuto una “doppia assenza”: politica senza cattolici e cattolici senza politica. Sui motivi di questo deludente bilancio dovrebbero riflettere i protagonisti di Todi.

Il cattolicesimo italiano può riconquistare un ruolo politico non per improbabili alchimie partitiche e neppure per la nomina di ministri importanti, ma solo come rinnovamento religioso che influisce sulla ricostruzione civile e morale del Paese. I cattolici pesano in politica quando hanno la forza di mettersi in discussione. C’è un forte nesso tra renovatio ecclesiae e riforma politica. Il travaglio religioso suscita sempre una volontà integrale, cioè un desiderio insopprimibile di estendere la conquista di una fede nuova al rinnovamento della società. I passaggi più significativi della politica nazionale sono sempre stati accompagnati da momenti di discontinuità della coscienza religiosa: la Costituente e il dossettismo, il centrosinistra e il Concilio, la questione comunista e i cattolici del No, il CAF e i movimenti di revisione conciliare degli anni Ottanta.

Nella Seconda Repubblica i cattolici sono stati irrilevanti perché non avevano alcuna renovatio da rappresentare nello spazio pubblico. Si è ritenuto che la fine dell’unità politica dei cattolici dovesse essere compensata dal conformismo religioso. Ma il cattolicesimo stazionario non inventa nuove politiche, può solo legittimare il potere dominante.

La Chiesa ruiniana ha insistito sulla questione antropologica, di cui già molto sappiamo sia dalle scienze umane sia dal buon senso popolare che avvertono in modi diversi il cambiamento epocale. Dai cardinali ci si aspetterebbe una parola in più su ciò che viene prima, cioè sulla crisi spirituale della società, italiana in particolare. Il senso morale della società viene travolto dalla volontà di potenza che scaturisce dall’alleanza tra il capitalismo globalizzato, il dominio della tecnica e il nichilismo moderno, come ci spiega la migliore sociologia cattolica (M. Magatti, Libertà Immaginaria, Feltrinelli, 2010).

Come accade per la singola persona, l’organismo sociale riesce a dominare gli eventi solo se dispone di una sfera interiore alimentata da culture, associazioni e istituzioni. Merito dell’incontro di Todi è aver sottolineato proprio la dimensione sociale, al di là della vecchia querelle tra sfera personale e pubblica della religiosità. Negli ultimi venti anni, però, questa interiorità è stata indebolita dal dominio dell’esteriorità nelle relazioni sociali, negli stili di vita e nella discussione pubblica. La carnevalizzazione della politica di Berlusconi non è stato un accidente, ma l’effetto di una mutazione più profonda. Nel Carnevale senza Quaresima cambiano radicalmente i rapporti tra il sacro e il potere.

Il sacro non è stato scacciato dalla modernità, qui c’è un abbaglio frequente sia dei laici sia dei clericali, è solo diventato invisibile perché immanente alle istituzioni politiche e ed economiche. La sovranità dello Stato e la mano invisibile del mercato non sono altro che forme secolarizzate del Regno di Dio. E come tali hanno contribuito a creare un’interiorità sociale, cioè quell’etica della democrazia e del capitalismo di cui il pensiero sociologico classico ha saputo svelare la radice religiosa. Ci sono voluti secoli per compiere questo cammino, ma sono bastati i pochi anni della nostra generazione per invertirlo. Nel trionfo dell’esteriorità, infatti, il potere ha perduto quell’aura di significati morali: la democrazia si è ridotta a mera procedura e il capitalismo ha rotto gli argini della propria etica, come si è visto nelle crisi finanziarie.

Ma il potere è sempre alla ricerca della legittimazione e non trovandola più nel sacro interiorizzato del moderno l’ha cercata nell’esteriorità del sacro del postmoderno, cioè nella politicizzazione delle fedi, nei conflitti religiosi come trama delle relazioni internazionali e nell’uso identitario dei simboli religiosi. Non si tratta di un ritorno del religioso – altro equivoco di questi anni – che anzi viene smentito, soprattutto in Europa, dalla crisi delle vocazioni, dalla scarsa partecipazione liturgica e dall’incipiente relativismo dei comportamenti. Qui si è consumata l’inversione di ruoli.

Nella modernità il sacro è stato la forma del potere, nella postmodernità il potere diventa la forma del sacro. Nella modernità il sacro è stato l’interiorità del sociale che contiene la potenza di trasformazione. Nella postmodernità il sacro diventa l’esteriorità del sociale che perde ogni energia di contenimento e viene travolto dalla potenza del capitalismo tecno-nichilista. L’epicentro della crisi spirituale è collocato proprio nella dimensione religiosa e di questo dovrebbero preoccuparsi le Chiese. La stessa laicità inverte il significato. Ieri serviva a frenare il movimento della sacralizzazione immanente delle istituzioni. Oggi diventa una tutela della fede dal pericolo di esteriorizzazione del sacro, reso evidente in Italia dall’idolatria consumistica berlusconiana e dal neopaganesimo leghista. La religione rischia di allontanarsi dal cuore dell’organismo sociale per sventolare negli stendardi delle masse popolari.

Forse oggi si può dire che c’è stato un certo autolesionismo del cattolicesimo italiano a sbilanciarsi in un rapporto forte tra Chiesa e Stato, cioè verso il luogo più segnato dall’inversione tra sacro e potere. È una postura scomoda soprattutto per la fede. La espone all’esteriorità religiosa che la politica di oggi tende a strumentalizzare. Soprattutto, la tenta a scrivere in norme statali quelle intenzioni che dovrebbero vivere nei legami sociali, non solo nell’animo delle persone.

Eppure, il cristianesimo avrebbe ben altre risorse per contrastare l’esteriorità del sacro. Romano Guardini parlava di fede nuda. Nuda perché spogliata di tutte le idolatrie anche ecclesiastiche, perché a contatto di pelle con il mistero della vita, perché tanto inerme e impudica da contestare radicalmente la volontà di potenza. La fede nuda è la forza della pietà, della grazia e del perdono. E non si tratta solo di una dimensione interiore delle persone, ma di una risorsa spirituale del cattolicesimo italiano che opera quotidianamente nell’organizzazione sociale. A Todi se ne è avuta finalmente una testimonianza, anche se con una parzialità che ha rinunciato a rappresentare tutta la ricchezza e la creatività delle multiformi esperienze cattoliche.

Queste differenze sono oscurate dall’esteriorità del rapporto Stato-Chiesa, in cui invece prevale una fede calcolante che ha la pretesa di dedurre logicamente dai principi non negoziabili il mistero cristiano e rischia di ridursi a guida tecnica del credente di fronte ai dilemmi morali del nostro tempo. La fede calcolante contesta ideologicamente il dominio della tecnica nichilista, ma ne rimane subalterna sul piano ontologico e quindi anche teologico. Solo la nuda fede è capace di combattere spiritualmente l’esteriorità tecno-nichilista. Il bivio è diventato chiaro nel caso Englaro quando la Chiesa ha preferito affidare la decisione sulla morte alla norma statale piuttosto che alimentare spiritualmente la pietas della comunità familiare. Non a caso sui tecnicismi dei principi non negoziabili la saggezza del popolo cattolico si mostra meno entusiasta delle gerarchie ecclesiastiche, come dimostrano tutti i sondaggi di opinione.

Ma il movimento della nuda fede riguarda anche la cultura di sinistra. Non solo per una comunanza di problemi: la cura della vita umana, il contrasto spirituale alla volontà di potenza, la misura morale degli ultimi. La crisi mondiale restituisce all’eguaglianza il rango di questione dirimente dell’epoca. Eppure, la sinistra europea balbetta, sembra quasi presa alla sprovvista dal ritorno delle proprie bandiere, non ha elaborato nuovi strumenti per le soluzioni adatte al XXI secolo. Trovare risposte inedite ad un problema antico significa rielaborare il proprio inizio, cioè ritrovare la fede nuda. Al di là dei diversi linguaggi c’è un isomorfismo tra il problema della sinistra e quello del mondo cattolico. La crisi del capitalismo tecno-nichilista chiama entrambi a costruire l’avvenire tramite una rielaborazione dei propri fondamenti.

Grande occasione per il PD che si alimenta di entrambe le linfe morali. Occasione non ancora colta, perché finora nel contenitore si sono incontrati gli esiti decadenti della sinistra e del cattolicesimo. Eppure, il PD è lo spazio politico in cui queste forze possono trovare l’energia delle rispettive nude fedi.

(*) deputato PD