Chiesa elemosiniere dello Stato?

Vittorino Merinas
27 Dicembre 2011

“I poveri li avete sempre con voi; invece non avete sempre me”. Così Gesù giustificò l’atto di Maria di ungergli i piedi con un costoso profumo, condannato da Giuda come spreco di soldi destinabili agli indigenti. Che i poveri siano stati e siano una presenza costante è la peggior vergogna dell’umanità, essendone causa non tanto la natura quanto l’uomo che ha ben presto imparato, praticato e legalizzato l’accaparramento personale, marginalizzando la socializzazione dei beni. Oggi questa bruttura è tale da creare sgomento. L’enorme massa di ricchezza socialmente accumulata è tosto artigliata da poche mani rapaci che la sottraggono ai bisogni, anche primari, della maggioranza.

Quale fosse il rapporto di Gesù coi poveri è noto anche a coloro che solo spizzicano nei vangeli. A chi gli aveva espresso la volontà di seguirlo, Gesù rispose senza illuderlo: “Le volpi hanno tane e gli uccelli nidi, ma il figlio dell’uomo -lui- non ha dove posare il capo”. Povero tra i poveri, nulla da offrire se non la sua parola. Il distacco dalla ricchezza fu anche la ricchezza dei primi suoi seguaci. “Non c’era nessun bisognoso tra loro, perché tutti quelli che possedevo poderi o case li vendevano e deponevano l’importo ai piedi degli apostoli che poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno.” Moltiplicandosi i credenti tale incombenza fu affidata a sette ‘diaconi-servi’ dei bisognosi della comunità. Premessa, questa, all’abbandono dell’originaria comunità di vita e quindi di beni, trasformatasi nel tempo in un’attività di soccorso degli indigenti. Ai ricchi la loro ricchezza con l’invito al dono caritatevole:.l’elemosina, rito comune a qualsiasi raggruppamento religioso.

La “Carità”, virtù centrale della fede nella fraternità umana radicata nella comune figliolanza di Dio Padre, per i più si banalizzò nella carità-elemosina, potenziatasi nelle sue disponibilità dall’arruolamento della chiesa, ormai istituzionalizzata, al servizio dello Stato nel IV secolo. L’impero romano in piena crisi, l’accolse per goderne l’appoggio, largheggiando in favori e denaro, di fatto trasformandola in suo elemosiniere. Funzione che giustificò l’accumularsi nei secoli di una ricchezza smisurata in flagrante contraddizione con le sue radici. Giustificazione tuttora ritenuta valida e comunemente invocata a difesa di comportamenti che oggi stanno sollevando sconcerto e ribellione.

Imposte esentate o evase, 8-per-mille che desta sospetti nel modo e nell’uso, unitamente ad altre disparate elargizioni, causano crescenti accuse sia dal mondo laico che dall’aria cattolica più consapevole. E la gerarchia? Si assolve affermando, col cardinal Bertone, la loro destinazione alle fasce sociali più deboli. La bussola quotidiana, online cattolico, lamenta che non si vuole comprendere quanto la chiesa intervenga “dove lo Stato non riesce ad arrivare…Costruisce ospedali, orfanotrofi, mense per i poveri in Italia e nei paesi del Terzo Mondo”. Su La repubblica Michel Gotor scrive che la chiesa “svolge una funzione di supplenza preziosa laddove la mano pubblica non riesce ad arrivare”. Nel 1996 alla proposta della ministra Livia Turco di destinare l’8-per-mille affidato allo Stato all’infanzia bisognosa, l’allora cassiere della CEI, Nicora, si ribellò affermando che “lo Stato non deve fare concorrenza scorretta nei confronti della chiesa”!

Perché la chiesa deve essere il braccio elemosinante dello Stato? Così dio si fa complice dell’astuto cesare che largheggia con la chiesa per goderne il favore e esonerarsi dalla responsabilità di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e la eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana…” Così dice la Costituzione italiana. Lo Stato democratico è altro da quello medievale in cui ineguaglianza e ingiustizia venivano malamente silenziate con l’elemosina ecclesiastica. Certo la pienezza della democrazia è ancora un miraggio e la chiesa povera deve condividere tutto il “suo” coi poveri. Ma perché è nella sua natura e non per supplire e assolvere le negligenze dello Stato. E con i diseredati non dovrebbe solo spartire il pane, ma lottare al loro fianco per la giustizia e l’eguaglianza. La serenità dei cuori e delle menti non faciliterebbe più della croce la ricerca di Dio?