La casta e le caste

Paolo Bonetti
www.italialaica.it

06.01.2012 – Prendere le difese della classe politica, pur con tutte le riserve del caso, nel periodo travagliato che stiamo vivendo, con i molti sacrifici che incombono sui comuni cittadini, è impresa temeraria e pressoché disperata. Ormai la classe politica italiana, di destra, di sinistra e di centro, senza eccezione alcuna, è diventata la casta in cui si annidano tutti i vizi e tutti i privilegi. C’è molto di vero in queste accuse, ma c’è anche un grave difetto di semplificazione, perché, in realtà, non esiste la casta a cui si contrappone una società civile integralmente composta di cittadini rispettosi delle leggi e pronti a compiere i loro doveri, a cominciare da quello fiscale, ma ci sono le caste, ad ogni livello della vita sociale ed economica.

In un paese in cui il cosiddetto senso dello Stato o del bene pubblico è sempre stato debolissimo, e in cui la prevalente morale del cattolicesimo controriformistico ha sempre cercato di svalutare Cesare per innalzare Dio o, meglio, i suoi vicari in terra, si è diffusa nei secoli una morale familista, lassista e corporativa su cui sono state scritte migliaia di pagine, fino a solidificarsi in luogo comune. Ma non è detto che i luoghi comuni siano sempre falsi; spesso sono veri e ritraggono un costume che è diventato tradizione e abitudine e viene vissuto da tutti senza troppo riflettere su quello che si sta facendo. Lo fanno tutti, e quindi perché non dovrei farlo anch’io?

Quello che intendo dire è che in Italia c’è la casta politica con tutti i suoi privilegi, perché nella società civile che la elegge, ci sono le caste, le corporazioni, i gruppi di interesse, le lobby, che predicano incessantemente contro i privilegi altrui e difendono tenacemente i propri. La casta politica finge, ogni tanto, di combattere questa o quella casta civile, minaccia provvedimenti, annuncia liberalizzazioni, ma poi, al primo insorgere delle proteste degli interessi organizzati, rimette nel cassetto e lascia morire lentamente nel silenzio i tanto strombazzati provvedimenti anticorporativi.

La casta politica, divisa negli schieramenti partitici, si unifica sempre nella difesa di quei gruppi sociali che sono il riferimento elettorale di ciascun partito. M’impegno a non toccare i tuoi, se tu ti astieni dal dar fastidio ai miei. In tanto parlare che si fa di bene comune, in mezzo a tante declamazioni sulla necessità di guardare agli interessi del paese, riemerge sempre l’interesse non dico di classe, ma di ceto e di professione. Ci sono in Italia delle professioni che lucrano rendite di posizione del tutto ingiustificate.

Pensate, tanto per fare un esempio, alla potentissima corporazione dei notai, che rende complicate e costose operazioni che altrimenti sarebbero semplicissime (come dimostra la legislazione di altri paesi) e di nessun costo per il cittadino utente. Ma le professioni rinserrate nella loro armatura corporativa ed ermeticamente chiuse ad ogni tentativo di liberalizzazione, sono in Italia numerosissime. Anche in questo periodo si parla molto di farmacisti e taxisti, assai meno di altre categorie che da decenni si sottraggono ad ogni effettiva concorrenza e ad ogni efficace controllo fiscale.

Si prenda il caso davvero indicativo dei controlli che l’Agenzia delle entrate ha fatto a Cortina d’Ampezzo nel periodo di fine anno. Si è scoperto quello che tutti noi sappiamo da sempre, che ci sono non singoli cittadini, ma intere categorie professionali che evadono allegramente il fisco e si sottraggono, senza patemi, a quei sacrifici a cui altre categorie non sono oggettivamente in grado di sottrarsi.

L’aspetto buffo ma anche desolante di tutta la vicenda è che ci sono stati esponenti politici che hanno gridato al populismo demagogico e alla bieca persecuzione dei poveri ricchi, mentre si è fatto, una volta tanto, quello che ogni Stato serio dovrebbe fare quotidianamente: combattere la piaga dell’evasione e costringere a pagare chi conduce una vita a cui non corrisponde il reddito dichiarato. Saprà il cosiddetto governo tecnico perseguire senza troppi riguardi una politica di equità fiscale e di lotta all’evasione?

La democrazia dei partiti non c’è riuscita e questo fallimento è particolarmente preoccupante, perché fa dubitare della capacità dello Stato democratico di sconfiggere la selva di privilegi, grandi e piccoli, che tendono a disgregarlo. Ma sarebbe pericoloso e ingiusto attribuire soltanto alla casta dei politici la causa dei molti malanni che ci affliggono. Purtroppo è l’intera società che si è strutturata in caste e il mondo politico è lo specchio di un paese in cui la morale civile è poco radicata nel costume collettivo.

Lo Stato laico – lo abbiamo detto più volte – non è lo Stato etico, non pretende di indicarci autoritariamente le vie del bene, ma è necessario che definisca regole certe e valide per tutti e ne sanzioni le violazioni con un’adeguata severità. Al centro di una moderna laicità c’è la questione educativa, il buon funzionamento della scuola pubblica, che è l’unica in grado di frantumare le incrostazioni familiste e corporative, anche se la strada da percorrere è molto lunga e difficile.

Molti anni fa un noto giornalista disse che sulla bandiera italiana bisognava incidere questo motto: tengo famiglia. Il guaio è che gli italiani, oltre a tenere famiglia, tengono anche la corporazione, a cui si sentono legati assai più che al simbolo dell’unità nazionale. Per troppi l’Italia ancora non s’è desta.