La messa del prete assassino

Maurizio Chierici
il Fatto Quotidiano, 31.01.2012

Nei giorni della memoria, la Chiesa argentina dimentica la sua “piccola” Shoah: 30 mila morti, come gli ebrei scelti uno per uno, quasi sempre ragazzi. Giovani madri uccise nei lager segreti
appena mettevano al mondo la creatura. Bambini da vendere alle coppie sterili o regalati se il capo famiglia era in divisa. Le nonne di piazza di Maggio hanno restituito la memoria rubata a più di cento adulti cresciuti nell’inganno da chi aveva ucciso i genitori. E la ricerca continua. Ma se fra i protagonisti del genocidio c’è un sacerdote sepolto dalla giustizia dietro le sbarre, i vescovi discutono e non trovano l’accordo: sospenderlo a divinis o lasciar maturare chissà quale pentimento?

E il prete resta prete. Può confessare e dir messa come ogni sacerdote dal cuore innocente. Confessa e assolve assassini che gli somigliano. Marcos Paz è un carcere speciale attorno a Buenos Aires. Gli ospiti fanno la differenza con ogni altra prigione. Paga l’ergastolo il capitano Astiz, angelo della morte: due religiose francesi violentate e strangolate. C’è Luis Alberto Patti,
maestro nell’arte orribile della “picana”, tortura alla quale nessuno sapeva resistere. E, nella cella accanto, Christian von Wernich, sacerdote che “consolava” gli studenti destinati a sparire nei sotterranei segreti della Scuola Meccanica della Marina. Anni della dittatura militare: 1977, 1983.

Proprio nei giorni della memoria, Von Wernich scrive ai giornali: “Sono vittima di una persecuzione rivoltante. Mi è proibito dir messa nella cappella dove si raccolgono i prigionieri. La colpa? Aver combattuto l’eversione sacrilega del marxismo”. Von Wermich sconta l’ergastolo per aver ingannato con trappole sacrileghe 34 ragazzi: 7 non sono mai tornati. Ha partecipato alla tortura di 32 prigionieri. I sopravvissuti lo hanno riconosciuto in tribunale. Jacopo Timerman ricorda nel suo libro: “Assisteva ai miei interrogatori. Ero bendato, ma quando la benda si è abbassata per il sussulto della scossa elettrica, l’ho visto seduto accanto al capo della polizia Ramos Camps. Mi guardava come si guarda un cane che sta per morire”.

La sua trappola era la confessione. Consolava i prigionieri che non si arrendevano alla violenza. Parole di speranza: “Se pensi che i tuoi amici siano in pericolo, dimmi chi sono: corro a metterli in salvo”. E mandava la polizia. Accompagnava le vittime a morire invitando alla serenità “perché Dio lo sa”. Dopo l’ergastolo si attendeva la sospensione dai ministeri religiosi, competenza della Chiesa argentina. Sono passati 4 anni, i vescovi non riescono a mettersi d’accordo. Nessun provvedimento. Sacerdote come prima. Sul poeta Ernesto Cardenal, trappista, e Miguel D’Escoto, domenicano, entrati in politica nel Nicaragua liberato dalla dittatura di Somoza, papa Woytila alza l’indice dell’esclusione: proibita per sempre la
messa. E Ferdinando Cardenal, gesuita, ministro della scuola, fratello di Ernesto, a 70 anni torna a fare il noviziato con l’umiltà di un adolescente. È andata meglio a Gianni Baget Bozzo, deputato europeo nel nome di Craxi: benevolmente gli si è concesso di celebrare, ma non in pubblico.

Entrare in politica può essere considerato un peccato più odioso dell’omicidio e della tortura? Christian von Wermich non si accontenta. “La Chiesa conferma la mia piena dignità sacerdotale, perché il direttore del carcere mi impedisce di esercitarla?”. Si lamenta per la costrizione del dir messa “nella solitudine della cella”. Si lamenta del divieto a partecipare “come chierico d’aiuto al celebrante” nella cappella dei reclusi. “Violenza della politica”. Non ha mai chiesto perdono alle vittime. Anche il comunicato della Conferenza episcopale argentina se n’è dimenticato. Immagino che il nunzio di Buenos Aires abbia riferito a Roma. Perché anche il Vaticano non decide?