Il bene comune dell’Umanità

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Report dal Convegno tenutosi a Roma il 29-30 marzo 2012 presso il Centro Frentani

François Houtart ha focalizzato il suo intervento su una nuova metodologia basata su una visione olistica della realtà, dobbiamo collegare e connettere i differenti aspetti della crisi e della ricostruzione dei beni comuni. La natura deve essere posta in relazione con l’organizzazione sociale e la cultura.

Non possiamo separarle, dobbiamo opporci alla segmentazione della realtà. In questo senso la visione del bene comune deve essere dinamica, non predefinita. Il lavoro di definizione e costruzione non deve essere esclusivamente appannaggio di pochi intellettuali illuminati, ma un lavoro comune per intellettuali e movimenti sociali. Tutto questo deve portare alla possibilità per gli esseri umani di sviluppare un’etica di vita a livello personale e collettivo.

Brigitte Deiber ha posto la questione dell’inclusione della natura come soggetto legale, come risalta nella costituzione boliviana del 2009. Questo deve portare a conseguenze fondamentali per l’Europa e tutti i nostri paesi. È necessario guardare in faccia alle contraddizioni dei movimenti e delle lotte, impararle a capire, a partire da quelle indigene che si stanno sviluppando nell’America meridionale.

Riccardo Petrella ha posto l’accento sul concetto di re-costruzione. Questo termine è corretto accettando che il sistema di welfare abbia costituito un attacco sostanziale al capitalismo di mercato. Dobbiamo ragionare sul fatto che ad esempio il welfare scandinavo abbia bilanciato le dicotomie capitale-lavoro e capitale-vita a favore di questi ultimi. Questo welfare è stato smantellato e c’è ora bisogno di una re-costruzione. Bisogna partire da un nuovo oggetto: il bene comune dell’umanità. Questo non è mai esistito, serve quindi sul tema dei beni comuni non una re-costruzione ma una costruzione. Ha voluto però precisare il concetto di umanità. Deve partire una nuova lotta di classe dell’umanità contro il capitale. La lotta passa per il riconoscimento giuridico e politico dell’umanità come soggetto portatore di diritti e responsabilità. Solo in questo modo i beni comuni possono diventare base materiale e immateriale della capacità dell’umanità di rappresentare la vita.

Tina Ebro ha analizzato le caratteristiche della crisi odierna, definendola prima di tutto come una crisi ambientale. L’espansione capitalistica ha raggiunto un limite, e il sistema del capitale come l’abbiamo conosciuto è giunto ad una crisi terminale.

Mamdouh Habashi si è detto scettico sulla questione, dichiarando di non sapere se questa crisi sia terminale o no. Le contraddizioni, ha detto, sono molto più complesse di quanto si creda, e siamo di fronte ad una crescente consapevolezza della domanda sociale verso il livello politico. Anche la parte più impoverita della popolazione sta cominciando a stabilire nuove connessioni di lotta verso il sistema politico dominante. Il capitalismo, però, non è ancora delegittimato, nemmeno nelle zone più povere del pianeta. Non si fanno strada, per ora, soluzioni differenti. Doppiamo superare questa empasse, ma sarà complicato e dovremmo riuscire ad essere uniti in questo processo.

Pedro Paéz Pérez è intervenuto analizzando le forme di lotta che devono, secondo la sua opinione, concentrarsi sul processo di arricchimento della formazione dell’uomo nuovo, di una nuova forma di società e coscienza, superando le contraddizioni interne. Il pensiero è spesso condizionato dall’imperialismo della scienza economica dominante. Il pensiero neoclassico ci viene imposta come unica forma razionale e ragionevole. Sappiamo che questa crisi è terminale nel senso “civilizzatorio” della crisi. I meccanismi che avevano dato risultati si sono inceppati e si sono rivelati disfunzionali. Per questo la mobilitazione popolare deve rompere le catene del pensiero dominante. La gente ha la necessità di essere felice. L’idea del mercato e del capitale come regolatori è recente, non è mica un fatto storico. Adesso può terminare. Non sono stati i comunisti o i talebani a distruggere la proprietà privata, è stato il capitalismo finanziario. Per questo è necessario reclamare altri tipi di razionalità e ragionamento. Una nuova forma di organizzazione che garantisca il buen vivir.

Roberto Musacchio ha collegato i ragionamenti precedenti col problema e la lotta che riguarda il lavoro. In questo senso esemplificativo è lo slogan che il sindacato italiano della FIOM ha coniato nelle sue ultime manifestazioni: “Lavoro come bene comune”. In una politica soprattutto europea nella quale il capitale sta decidendo i nostri destini anche attraverso i governi tecnici, questo legame deve essere tenuto in mente e rafforzato.

Riccardo Petrella ha aperto la sessione successiva del convegno. Il primo concetto affrontato è quello della definizione di “Nord del mondo”. Il concetto è variegato, bisogna capire di quale “nord” vogliamo parlare. Secondo Petrella, i 300 milioni di cinesi ricchi fanno parte del nord. I 200 milioni di ricchi indiani, i 30 milioni di brasiliani anche. Sono integrati nei sistemi finanziari e nelle grandi compagnie multinazionali. Il secondo elemento che ci disegna un nord variegato è che i movimenti alternativi del nord non hanno creato un movimento compatto e coerente. Il movimento di opposizione è estremamente localizzato.

Siamo in una fase storica in cui il nord da solo non potrà portarci coerentemente al post-capitalismo. La transizione si sta rivelando nel passaggio da una carbon base economy ad una low carbon base economy. Questa è la green economy. Il passaggio da una società capitalista distruttrice della natura ad un post capitalismo di valorizzazione di mercato della natura, come dicono i teorici. Monetizzazione della natura. Se noi accettiamo questo concetto di transizione, siamo dipendenti dalle teorie dominanti. È la grande innovazione capitalista che internalizza la natura nel mercato. Devono cambiare i principi fondatori del mutamento, mutamento, non transizione. Mutamento sociale e di sistema, con nuovi principi.

Principio di umanità, non come insieme degli esseri umani, ma degli esseri umani che vogliono vivere insieme, il cosiddetto buen vivir y convivir per i sudamericani. Vita, umanità, vivere insieme, tutto questo porta all’idea dei beni comuni. Ecco perché è l’idea centrale in questo momento. Perché diventa condizione per la democrazia, la rappresentanza e la partecipazione. Concepire un’utopia per realizzare la realtà del futuro. Quindi nella marcia verso una nuova società dobbiamo organizzare differenti campi di attacco: attaccare la ricchezza ed il suo fondamento nel sistema capitalistico. Secondo tema, la sicurezza. Se noi accettiamo la sicurezza come è concepita oggi non andiamo avanti. La pace e il buen vivir devono essere il fondamento del sistema, contro i valori della competizione per le risorse limitate, la guerra. Non bisogna opporre la comunità all’umanità.

L’umanità non deve essere opposta al locale, si deve articolare invece a partire dalla polis e dal cittadino.

Tommaso Fattori ha raccontato i nuovi Movimenti per i commons. Questi hanno messo assieme realtà sociali molto diverse, dagli indigeni delle ande ai movimenti digitali di Berlino e New York, da quelli agricoli dell’America Latina ai movimenti sull’acqua in Europa. I successi potranno arrivare legando la giustizia ambientale a quella sociale. Devono essere riconnessi i due temi. L’idea centrale è quella della condivisione. I nuovi movimenti provano a ragionare su questo. Il paradigma dei beni comuni è un nuovo orizzonte di senso, essere interni a questo orizzonte dà più efficacia alle singole lotte. C’è da sottolineare un elemento: il paradigma dei beni comuni non è occidentale.

E’ trasversale al globo e al tempo. Dalla pachamama all’Europa. Attraversa il mondo e le culture. I beni comuni contrastano il concetto di proprietà privata, l’accesso a questi è un diritto di tutti, sono un dono della natura o un dono delle generazioni precedenti, o ancora dell’operare sociale. Sono beni che collettivamente ricreiamo, come per esempio la lingua, la conoscenza. Beni primari per la vita ma anche per l’economia. Una cultura della connessione deve essere anti-atomistica e trasversale. In questo momento di crisi si riafferma la nostra visione. Con la crisi si ricorre sempre più spesso alla sostituzione con beni privati dei beni pubblici, un personale esempio locale è quello di Firenze, in Italia.

L’impossibilità degli ultimi anni di fare il bagno nel fiume cittadino ha portato alla costruzione di numerosissime piscine private. Un ultimo elemento da esporre è la de-mercificazione di tutto ciò che è essenziale alla vita per garantire un equo accesso a queste risorse. Riscontriamo l’esigenza di autogoverno per quanto riguarda un bene condiviso, attraverso una nuova forma di democrazia radicale. La ricerca di nuove forme di partecipazione più continuative per superare la democrazia rappresentativa classica.

Nell’intervento successivo Antonello Ciervo ha ricordato al convegno l’esplosione dell’utilizzo politico del concetto dei beni comuni. Un “contenitore vuoto” non in senso negativo, ma che viene riempito dalle lotte dei movimenti sociali. Il concetto di commons ha creato nuovi legami sociali. È un approccio anti-liberista. Al dibattito politico non è seguita in Europa un’adeguata riflessione giuridica sul concetto di bene comune. In America latina invece il dibattito è stato forte, la forma giuridica si è accompagnata all’uso politico.

I beni comuni devono essere visti come beni extra-commercium gestiti da enti pubblici anche non statali. Proprietà comune come terzo tipo di proprietà dopo quella pubblica e quella privata. Secondo me dovrebbe essere semplicemente letto in antitesi con gli altri due. Le costituzioni che colpiscono di più dal punto giuridico sono quella dell’Ecuador e quella della Bolivia. Quella dell’Ecuador del 2008 riconosce i diritti della pachamama, della natura. Le terre indigene sono riconosciute come non alienabili e non divisibili. Viene riconosciuto il risarcimento economico alle comunità interessate da danni ambientali di soggetti privati. Ancora più avanzata è quella della Bolivia del 2009, dove nasce una nuova categoria giuridica: i diritti fondamentalissimi. Questi sono la vita, integrità fisica, l’alimentazione, l’acqua, la casa, l’educazione e la sanità. Sono diritti che non possono essere sospesi durante lo stato di emergenza. Nel caso venissero lesi, chiunque ha la possibilità andare davanti alla corte per farli ripristinare.

Importante è anche l’esperienza brasiliana che comprende l’esproprio dei latifondi. La Costituzione del 1988 stabilisce la funzione sociale della proprietà privata e il diritto dei popoli indigeni di godere delle proprie terre. La giurisprudenza ha riconosciuto sotto questo punto di vista la legittimità delle occupazioni del movimento “Sem terra”. Quando il proprietario non dà attuazione alla costituzione, non sviluppando la funzione sociale della proprietà, le occupazioni vengono dichiarate giuste perché al contrario mettono a frutto il terreno. L’idea della tutela delle nuove generazioni è, secondo Ciervo, troppo paternalista. Una generazione non può decidere sull’altra.

In Italia l’articolo 43 della Costituzione stabilisce che i servizi pubblici con una cattiva gestione possano essere gestiti da comunità di lavoratori e cittadini. Questa dicitura potrebbe essere l’ostacolo alla privatizzazione di settori strategici e potrebbe permetterci di teorizzare una socializzazione ed una gestione pubblica non necessariamente statale. L’ente pubblico in questo caso potrebbe gestire i beni, ma al contempo dovrebbe tenere conto della volontà dei cittadini, in quanto a loro appartengono i beni stessi. Dovrebbe inoltre essere riconosciuta la possibilità di agire attraverso la Corte Costituzionale.