Cultura laica

Paolo Bonetti
www.italialaica.it, 27 aprile 2012

Italialaica vuol essere, lo dice la testata, il giornale dei laici italiani, espressione quindi di un valore, la laicità, che noi riteniamo debba stare a fondamento delle istituzioni repubblicane, così come sono state concepite dalla nostra carta costituzionale. Quello della laicità dovrebbe essere un valore comune, a cui nessuno, in linea di principio rimane estraneo. Ma è poi così? Davvero il valore della laicità, che rimanda a una certa cultura, a una certa tradizione filosofica e politica, può essere fatto proprio anche da quei cittadini che, per le loro convinzioni morali e religiose, si sentono estranei a questa cultura? In realtà, è già discutibile che, quando si parla di cultura laica, ci si possa riferire con precisione ad un’unica corrente di pensiero filosofico e politico.

Anche sul nostro giornale, tanto per fare un esempio che ogni lettore può facilmente verificare, si intrecciano voci talora assai differenti, voci di credenti in una qualche rivelazione religiosa e voci che appartengono a tradizioni filosofiche del tutto aliene da una qualsiasi fede. Capita di leggere interventi di agnostici e di atei, di materialisti e di spiritualisti, di persone che concepiscono la fede al di fuori di ogni confessione religiosa e di altre che manifestano una religiosità profonda ma che nulla ha a che vedere con una qualsivoglia confessione. Eppure tutti si proclamano laici e non c’è motivo di dubitare della sincerità di questa loro rivendicazione di laicità. Si tratta, allora, di cercare di cogliere quali sono i differenti significati da dare alla parola “laico” e di vedere se ce n’è qualcuno sul quale possiamo convergere, anche per condurre assieme quelle battaglie che riteniamo indispensabili per garantire quei diritti umani che soltanto la laicità può rendere davvero universali.

Qualche anno fa il filosofo e bioeticista Giovanni Fornero propose, in alcune sue opere, di distinguere fra due significati di laicità, uno cosiddetto “debole” e l’altro, invece, “forte”, senza dare a queste due parole nessuna connotazione positiva o negativa. Si tratta semplicemente di stabilire chiare e precise distinzioni concettuali, altrimenti il rischio è quello di avviare un infecondo dialogo fra sordi. Il significato “forte” della laicità dovrebbe essere quello che indica una visione del mondo e dei rapporti sociali che si sottrae ad ogni rivelazione religiosa e considera la ragione umana in grado di raggiungere da sola, attraverso la riflessione filosofica e i saperi scientifici, quelle verità (sempre ipotetiche, sempre provvisorie e rivedibili) che alla nostra limitatezza umana è dato raggiungere. Freud diceva che la ragione umana è soltanto un lumicino, un debole fascio di luce che ci permette di addentrarci nelle tenebre, ma è anche l’unico di cui disponiamo, mentre la fede religiosa, qualunque fede, gli appariva come un’illusione destinata progressivamente ad estinguersi.

No so se questa previsione di Freud potrà mai avverarsi o se la religione non sia, invece, una costante antropologica nella storia dell’umanità, generata e sorretta da potenti spinte emozionali e unica in grado di affrontare l’angoscia della morte e del dolore che tocca a ciascuno di noi, anche alle vite più fortunate. Resta il fatto che le filosofie non religiose sono molteplici e spesso in radicale contrasto fra di loro e che, da questo punto di vista, se intendiamo la laicità come rifiuto di qualsiasi rivelazione, dobbiamo concludere che la cultura della laicità è varia e spesso fortemente conflittuale. Ci sono, inoltre, filosofie, che, pur rifiutando rivelazioni e trascendenze, sono animate da un profondo sentimento religioso e colgono il divino nella struttura stessa dell’universo o nella coscienza di ogni uomo.

Il secondo significato di laicità, quello che per comodità possiamo anche noi chiamare “debole”, non consiste tanto nella particolare fisionomia della nostra concezione del mondo, ma nell’atteggiamento che noi assumiamo nei confronti delle religioni, filosofie ed etiche altrui. Questo secondo significato può forse consentirci di dare alla laicità quel significato almeno potenzialmente universale di cui parlavo all’inizio di questo articolo. Non si è laici perché non si crede nella trascendenza e nei valori che da essa deriverebbero e perché ci si costruisce un sistema morale che può fare a meno di Dio e fonda i propri valori su una ricerca razionale del tutto autonoma da ogni rivelazione, ma si è laici perché si adotta verso gli altri, verso la loro particolare concezione del mondo e i valori su cui cercano di modellare la propria vita, un atteggiamento di rispetto, quello stesso rispetto che abbiamo diritto di pretendere per i nostri.

Le istituzioni e le leggi hanno il compito di garantire, sotto il profilo giuridico, questo reciproco rispetto e non debbono mai favorire una certa religione, filosofia o morale a scapito delle altre. Siamo concretamente ed effettivamente laici, non per i principi che astrattamente proclamiamo, ma per i comportamenti che assumiamo nella quotidiana vita di relazione. E laico è solo quello Stato che non professa nessuna particolare religione o filosofia, che non impone nessuna morale pubblica, se non quella che consente la libera e rispettosa convivenza delle differenti morali. Si dirà che questa è un’utopia difficile e forse impossibile da realizzare, ma chi non s’impegna per avvicinare in qualche misura questo ideale, non può certo definirsi laico, credente o non credente che sia.