I cappellani e il paese da vivere

Roberto Rivosecchi
www.italialaica.it

Ne è passata di acqua sotto i ponti dalla lettera ai cappellani militari toscani di don Milani, dalle condanne per apologia di reato, difesa dell’obiezione di coscienza, di padre Balducci e dello stesso don Milani, già morto, dalle lotte di monsignor Tonino Bello e di Pax Christi contro la militarizzazione della assistenza religiosa. I cappellani, con multiformi funzioni, sono ancora lì a presidiare il territorio e lo spirito. Ma soprattutto i cappellani militari continuano ad essere militari. Tutti rigorosamente cattolici e tutti rigorosamente ben retribuiti.

Non abbiamo nulla contro le forme di assistenza spirituale. Tutti ne abbiamo avuto esperienza e il più delle volte anche positiva. Si tratta di aggiornarle alla società globalizzata che va incontro inevitabilmente al pluralismo religioso. Quello che respingiamo per principio è la valutazione mercantile della prestazione, che oltretutto va a ricadere sulle casse dello Stato. Vien da dire che tutta l’impalcatura riferendosi ad un bene immateriale dovrebbe essere egualmente retribuita in modo immateriale. Più concretamente dovrebbe pensarci la Chiesa stessa con il suo otto per mille o facendo ricadere questo tipo di interventi nell’ambito delle parrocchie di competenza. Ma vaglielo a dire. Non bastano i richiami al vangelo o ai sopramenzionati religiosi che hanno fatto la storia di una certa Chiesa, purtroppo minoritaria.

La recente interrogazione dei radicali sulla smilitarizzazione dei cappellani militari e l’appello, in occasione dell’anniversario della revisione del Concordato, “No al Concordato, no ai cappellani militari”, hanno fatto ritornare di attualità questi aspetti della Chiesa trionfante e -mai termine fu più azzeccato- militante. L’interrogazione, cui ha dato risalto l’Espresso, “Santissime pensioni”, denuncia come i cappellani ricevano stipendi e pensioni dallo Stato. Pensioni, tra l’altro, maturate con largo anticipo, al di fuori di ogni regola per i comuni mortali. Solo gli onorevoli vengono santificati in eguale misura. Sembrerebbe un costo insopportabile in questi tempi di vacche magre, tanto più che il ministero della difesa prevede tagli sostanziosi al personale militare e civile. Ma le prebende di questi santi cappellani nessuno pensa di metterle in discussione. L’appello poi delle varie associazioni civili e religiose, tra cui Cipax e Pax Christi, sul no al concordato e ai cappellani cattolici vuol chiamare tutti, Chiesa romana in particolare, a fare sacrifici e rinunciare a diritti acquisiti. In tale contesto, precisa l’appello, l’istituto dei cappellani militari stride con la laicità dello Stato e con lo spirito dell’Evangelo.

Vediamo la situazione: i cappellani più numerosi sono quelli degli ospedali, circa 750. A retribuirli sono le Regioni o le Asl, che stipulano apposite convenzioni con le Conferenze episcopali regionali. La qualifica è corrispondente a quella di un infermiere laureato. In media abbiamo un cappellano ospedaliero ogni trecento posti letto. Il costo annuale si aggira attorno ai cinquanta milioni di euro. Nelle carceri operano circa 240 cappellani, per una spesa dell’amministrazione penitenziaria di quindici milioni l’anno. Infine i cappellani militari: sono 184, tutti inquadrati con gradi e stipendi da ufficiali. L’ordinario militare, vale a dire il vescovo che presiede la diocesi castrense, ha il grado di generale di corpo d’armata. Per la precisione Giovanni Paolo II nel 1986 ha elevato al rango di diocesi tutti gli ordinariati militari e nel 1997 il governo Prodi ha aumentato i gradi a tutti i pastori, pardon cappellani.

L’onere finanziario a carico dello Stato salì a più di dieci milioni l’anno. Sono da aggiungere le pensioni, che abbiamo visto maturare in fretta ed essere assai cospicue. Sul loro importo il ministro della difesa non riesce a fornire cifre precise in quanto rientrano nel calderone complessivo dell’esercito. Sappiamo solo che i quattro ordinari attualmente in pensione percepiscono circa quattromila euro al mese. Per uno dei quattro, il Cardinal Bagnasco, dobbiamo fidarci sulla parola quando afferma che non percepisce alcuna pensione e i suoi contributi sono stati trasferiti dall’Inps all’Istituto del Clero. Non basta, attualmente alla Cecchignola c’è un seminario cattolico per otto seminaristi. Si tratta della Scuola allievi cappellani militari, fa parte dell’ordinariato militare. A pagare è sempre lo Stato italiano.

Il tutto fa riferimento agli uffici romani siti in “Salita del Grillo”. Per la loro gestione annuale sembra che occorrano due milioni di euro. Su quanto ci costano poi i cappellani in missione di ”pace” non è dato sapere. Si adombra addirittura (dall’Espresso, fonte Luca Comellini partito per la tutela dei diritti dei militari) la casistica di lavoro straordinario domenicale, suscettibile di adeguato compenso, per la celebrazione della Eucarestia. La notizia meriterebbe un approfondimento. Con i dati ufficiali di spesa arriviamo dunque a un totale di ottanta milioni l’anno, con capitolo pensioni non quantificabile, avvolto nelle nebbie di una burocrazia poco solerte nei confronti dei diritti democratici all’informazione.

Lunga la storia e la diatriba sui cappellani militari: prima, vedi quelli toscani, più aggressivi, ora più diplomatici e sulla difensiva. Sempre comunque impegnati a difendere il regime di monopolio e i diritti acquisiti. Con tanti paladini pronti a scendere in campo ad ogni proposta di smilitarizzazione. Il vestire la divisa tra i militari in divisa diventa un principio irrinunciabile. Quasi un valore non negoziabile. L’esercito di pace, costituzionalmente difensivo, non può essere definito altro rispetto al messaggio cristiano: così il direttore di Avvenire nel 2007 sulla proposta di disegno di legge che richiedeva la smilitarizzazione dei cappellani. Peccato che il tempo e gli eventi ci hanno fatto capire che le missioni e l’esercito di pace non erano e non sono poi tanto di pace. E che quindi hanno realmente poco a che fare col messaggio di cui sopra e con la diffusione della democrazia.

Oltretutto col DL 107/2011 inerente il rifinanziamento delle missioni militari di pace viene a cadere anche la foglia di fico dell’approccio umanitario. Il decreto prevede infatti il taglio di tutti i progetti di sviluppo in campo civile abbinati all’intervento militare nelle aree di conflitto. Come dice il generale Calligaris non potremo mai avere la meglio su un popolo che ci percepisce come “altri” ed invasori. La via da percorrere non è quella militare ma quella della cooperazione, nel senso di infrastrutture, ospedali, scuole, aiuti umanitari in genere. Che invece affossiamo e comunque non sosteniamo nell’ambito della coalizione. Se i cappellani fossero meno inseriti nella struttura militare e più nella società civile forse sarebbero in grado di esercitare meglio e con uno spettro più ampio di competenze il loro ministero all’interno della stessa struttura militare.

Infine scendono in campo anche i giuristi cattolici della LUMSA, università cattolica, forse in conflitto d’interessi: il diritto alla libertà religiosa prevede che lo Stato renda effettivamente praticabile questo diritto e quindi si faccia carico degli oneri finanziari. Ma l’esercito non è più di leva ed è composto di specialisti volontari, un po’ come la Polizia che non necessita di cappellani militarizzati all’interno. Quanto poi alla sensibilità nei confronti della libertà religiosa è chiaro che si tratta di libertà religiosa cattolica a senso unico e che il regime di monopolio continua ed è sempre più pervasivo, calpestando la laicità dello Stato. Tra l’altro senza attrezzarsi a far fronte alla possibile pluralità di professioni religiose.

Un po’ come nella scuola che a fatica propone insegnamenti alternativi alla religione, ma questa continua ad essere insegnata a senso unico. Nella pratica continuiamo cioè a considerare la religione cattolica come religione di Stato. Siamo così fuori dal Concordato e dalla Costituzione: l’accordo di revisione del Concordato ha eliminato infatti il principio del cattolicesimo come religione di Stato. Quanto poi alla Costituzione va ricordato che la disciplina della libertà religiosa è collegata ad altri principi costituzionali, quali la libertà e l’uguaglianza delle religioni professate.

Anche tralasciando la drammaticità della crisi economica, non è un bel paese da vivere.