Contributo all’incontro di Brescia “Il Vangelo che abbiamo ricevuto”

Gruppo biblico della CdB di S. Paolo – Roma

Abbiamo ricevuto con piacere l’”annuncio” che il vostro gruppo ha in programma un nuovo incontro, a Brescia, sulle tematiche che da sempre lo caratterizzano e nelle quali ci sentiamo coinvolti. E’ come un ritrovarsi tra amici e amiche che perseguono, sia pure per strade a volte diverse, la stessa meta e si narrano delle esperienze fatte e degli eventi sopravvenuti. Accogliamo quindi volentieri l’invito a contribuire alla sua preparazione con qualche nostra riflessione.

Condividiamo pienamente lo spirito e le motivazioni della “Lettera annuncio” e se qualche osservazione facciamo è nell’intento di potenziare taluni significati che a noi sembrano in essa impliciti ed iniziare un approfondimento che naturalmente potrà svilupparsi pienamente solo a Brescia e dopo aver ascoltato tutte le voci che vorranno intervenire in merito.

E’ chiaro, ad esempio, ad un sempre maggior numero di persone, che si è passati, come dice la lettera, “da una Chiesa preoccupata soprattutto di ascoltare (quella che programmaticamente era uscita dal Concilio (…) ad una Chiesa che solo parla”. Va de plano aggiungere che questo parlare è quasi solo per dire no , per contrastare, sopprimere ed emarginare le voci preoccupate di questa deriva oppure si esprime in modo troppo generico e debole, senza far seguire fatti concreti ed esemplari quali sarebbero necessari in una situazione di degrado sociale nella quale ci troviamo. Il rapporto tra vangelo, povertà e potere è un problema che ha sempre travagliato la Chiesa e del quale bisognerà ancora discutere.

E’ anche vero che “si assiste attualmente al parcellizzarsi delle esperienze di prassi di fede: una somma di solitudini (simili o “gruppi di simili”) a loro volta generative di paure e chiusure da cui sovente rifluisce un’aggressività di linguaggio”. Ma, se da un lato dobbiamo con soddisfazione rilevare anche che questi gruppi e persone critiche sono in continuo aumento e fermento, molto più di quanto appaia dai mezzi di comunicazione di massa, distratti o complici della strategia del silenzio, dall’altro dobbiamo confessare una certa nostra inerzia a costituirci in “rete”, come pure si auspica che avvenga nella parte finale della lettera. E bisognerà indagare le cause di questa riluttanza. Farsi “rete” non significa naturalmente con-fondersi, ma agire insieme, quando occorre, per importanti eventi o progetti comuni. Una occasione è data dalle iniziative che nascono dalla “base” per ricordare opportunamente e liberamente il prossimo 50° anniversario dell’apertura del Concilio. Quella sarà un’occasione di unità nel pluralismo e sarebbe un peccato farsela sfuggire. Auspichiamo quindi che tra i molti gruppi e associazioni (circa 80 finora) che hanno co-organizzato e/o aderito a questo evento compaiano anche i patrocinatori dell’incontro di Brescia, per dare un segno che superi lo stallo della parcellizzazione da essi stessi denunciato.

Infatti, cosa vuol dire “essere accettati nel cammino che andiamo dipanando”? Essere accettati da chi? Di chi è la responsabilità della evidente latitanza dai nostri incontri e convegni non solo dei vescovi, ma anche di ogni persona che nella Chiesa ricopra un incarico ufficiale (parroci, superiori religiosi ecc.- a meno che non vengano in incognito) anche solo per criticare. Cosa dobbiamo fare? Attenuare il linguaggio? Astenerci da quelle iniziative alle quali aderisca, tra i tanti, anche uno solo dei gruppi o associazioni iscritti tra i “cattivi”? Ma allora dov’è il pluralismo? Dov’è la “franchezza”, quella parresìa che una volta era una virtù, anzi un modo imprescindibile per annunciare il vangelo? Certo, il “raccolto è a lungo termine” e non bisogna avere impazienze. Ma fino a quando, chiedendo pane, continueremo, secondo l’efficace espressione usata della Perroni a Roma, a ricevere pietre tacendo? Certo, sappiamo che “Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce, come, egli stesso non lo sa…” (Mc. 4, 26sgg.). Ma l’”uomo” dovrà pure aver arato la terra, e seminato, e concimato. Quindi la vita non è solo un fatale attendere, bensì un impegno quotidiano senza pretese di immediato successo, ma nutrito di speranze. Per questo l’invito, contenuto nella chiusura della lettera, “ a porci interrogativi piuttosto che tentare risposte” ci pare che sia condivisibile se con la parola “risposta” intendiamo posizioni di rigidità contrapposte ad altre rigidità che critichiamo, ma non nel senso che dobbiamo rinunciare alle nostre esperienze e a proclamarle, pur nella loro precarietà e parzialità.

Un’ultima osservazione è richiesta dal “titolo” dell’incontro: “Il Regno di Dio è vicino”. Esso è supportato all’inizio, quindi in posizione enfatica, dal rinvio a Mc 1,15, del quale è una citazione letterale. Più avanti, nella fase propositiva della lettera, si aggiunge a questa la citazione di Lc 17,21 il quale invece precisa che “il Regno di Dio è in mezzo a voi”. In entrambi i casi si tratta di parole attribuite a Gesù e non vi sono motivi per contestare tale attribuzione. La prima, ci sembra, è usata da Gesù in modo programmatico, all’inizio del suo insegnamento e riprende alla lettera lo slogan di Giovanni il Battista (Mt 3,2); la seconda, confermata da Mt 28,12, si riferisce probabilmente ad una fase più matura del suo annuncio, che tocca il tema dell’impegno e dell’attesa in modo del tutto nuovo. (Si pensi all’apocrifo, ma molto accreditato, “Vangelo apocrifo di Tommaso”, dove (3) la frase attribuita a Gesù è: “Il Regno di Dio è dentro e fuori di voi”). Auspichiamo che il titolo dell’incontro contenga sempre entrambi i riferimento testuali, per evitare di dare al termine “vicino” un valore temporale e fatalistico che attenui il nostro impegno.