Chiesa, la sfida degli atei deboli

Franco Garelli
La Stampa | 19.06.2012

Quanto sono veritieri i dati sulla religiosità in Italia? Che valore dare alle dichiarazioni di molti italiani che ancor oggi continuano a definirsi cattolici? Perché tante persone sembrano di fatto indifferenti nei confronti della religione anche se non hanno il coraggio di definirsi atei o agnostici?

Ecco alcuni interrogativi su cui ruota il dibattito pubblico sulle sorti della religione nella società avanzata, che appassiona sia gli studiosi dei fenomeni religiosi sia gli uomini di chiesa. Perché al di là delle apparenze, oltre la superficie, si coglie in ampie quote di popolazione una distanza tra le intenzioni e il vissuto religioso che pone non pochi problemi di interpretazione.

Proprio questo tema è al centro della recente e interessante indagine che Massimo Introvigne e Pierluigi Zoccatelli (che dirigono il Centro Studi sulle Nuove Religioni di Torino) hanno condotto in un’area del Sud, che si presenta come un caso studio emblematico di ciò che accade non solo in quella regione ma in tutto il Paese. In effetti, i dati sulla religiosità di quell’ambiente (la Diocesi di Piazza Armerina, una delle 18 diocesi della Sicilia, che si estende tra le province di Enna e Caltanissetta) riflettono la geografia religiosa di molte province italiane. Ancor oggi, pur in un contesto in cui crescono le altre fedi religiose, oltre l’85% della popolazione continua a definirsi cattolica, 1/3 della gente va regolarmente in chiesa tutte le domeniche, più della metà dichiara un’elevata fiducia nella chiesa.

Ovviamente il legame religioso di molti non è particolarmente costringente e rispecchia quell’individualismo del credere (o quel «fai da te» religioso) che è tipico dell’epoca attuale. Tuttavia è assai più diffusa la propensione a «pensarsi» come persone religiose che a ritenersi distanti o estranei dai valori religiosi. In effetti, gli atei o gli agnostici dichiarati sono un’esigua minoranza, circa l’8% dei casi.

La novità del lavoro di Introvigne e Zoccatelli è di andar oltre questo scenario, chiedendosi quanto siano lontane dalla fede e dalla chiesa molte persone che pur continuano a mantenere un qualche legame con la religione della tradizione. In altri termini, il panorama nostrano non si compone soltanto di «atei forti», palesemente ostili o indifferenti alla religione, vuoi per ragioni ideologiche vuoi per deficit ecclesiali (oggi ingigantiti dallo scandalo dei preti pedofili).

A fianco dei non credenti incalliti e di vecchio stampo, vi è la categoria molto più estesa degli «atei deboli», disinteressati o apatici nei confronti di un orizzonte di fede nonostante che alcuni di essi non siano privi di dubbi e di crucci esistenziali. Questo «ateismo pratico» (o ateismo «di fatto») sarebbe – a detta dei due autori – assai più esteso nel paese di quanto rilevato dalle statistiche, dal momento che tracce di esso si riscontrano in quella maggioranza di italiani che non spezza il legame con la religione cattolica pur standosene ai margini. Gente, dunque, «lontana» dagli ambienti ecclesiali, non ostile nei confronti della religione, ma mai coinvolta; la cui indifferenza religiosa è perlopiù legata al fardello della vita o all’eccessiva attenzione dedicata al successo personale e ai bisogni materiali. Si tratta di soggetti che spesso affermano cinicamente che denaro, amore e carriera sono obiettivi ben più importanti della religione.

La grande sfida per il cattolicesimo (ma anche per altre religioni storiche) è dunque rappresentata dalle nuove forme di ateismo e di indifferenza religiosa. Ecco il messaggio del lavoro di Introvigne e Zoccatelli, a cui essi giungono anche guardando a ciò che avviene in altre nazioni europee. La quota degli atei (forti e deboli) è in sensibile diminuzione in Russia, mentre si mantiene elevata nella Repubblica Ceca e in Germania Est; ma essa risulta in aumento non soltanto nelle società europee più laiche (come la Francia) ma anche in quelle nazioni – come l’Italia – in cui la religione è interpretata da molti più come un retaggio della tradizione che come una risorsa spirituale.

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Così gli italiani sono diventati un popolo di fedeli “fai da te”

Andrea Tornielli
http://vaticaninsider.lastampa.it

Gli atei sono fermi all’8 per cento ma il 70 va in chiesa solo per matrimoni e funerali. Un’analisi sui dati che emergono dalla ricerca condotta da Massimo Introvigne, fondatore del Cesnur e Pierluigi Zoccatelli

Gli atei veri e propri, in Italia, non arrivano all’8 per cento. E più del 70 della popolazione frequenta la messa soltanto in occasione di matrimoni e funerali e può essere quindi qualificata come «lontana» dalla Chiesa.

È la via italiana alla secolarizzazione quella che emerge da una ricerca curata dal sociologo Massimo Introvigne, fondatore del Cesnur, insieme a Pierluigi Zoccatelli, intitolata «Gentili senza cortile. “Atei forti” e “atei deboli” nella Sicilia centrale».

Si tratta della quarta ricerca sull’indifferenza religiosa che il gruppo di lavoro ha prodotto monitorando con sondaggi e analisi un’area della Sicilia corrispondente alla diocesi di Piazza Armerina e comprendente città e paesi delle province di Enna e Caltanissetta. Un territorio variegato di duemila chilometri quadrati, dove si trovano centri industriali e aree rurali, e che i parametri confermano essere rappresentativo della realtà italiana.

Il dato più significativo della ricerca riguarda la mancata crescita, negli ultimi vent’anni, degli atei: sono fermi al 7,4 per cento. Di questi, solo il 2,4 per cento possono essere definiti «atei forti», cioè in grado di motivare il loro ateismo con ragioni ideologiche: sono più presenti «tra le persone più anziane e meno istruite, dove sorprendentemente è ancora forte anche un ricordo dell’ateismo comunista».

Il rimanente 5 per cento, gli «atei deboli», sono meno ideologici ma considerano comunque Dio e la religione come irrilevanti in un mondo dove contano il lavoro, il denaro e le relazioni affettive: sono più numerosi fra i più giovani, in quella che don Armando Matteo ha chiamato «la prima generazione incredula», e fra le persone più colte. Se si proietta il numero degli atei sul totale della popolazione italiana, si può affermare che si tratta di circa tre milioni di persone. Il loro numero però rimane pressoché costante dal 1990 a oggi.
Oltre agli atei «forti» e «deboli», esistono «i lontani dalle forme istituzionali della religione», che non si proclamano atei, ma si dichiarano credenti o anche cattolici. Sono il 63,4 per cento e si tratta di persone che professano un cattolicesimo meramente culturale, dato per scontato senza porsi ulteriori interrogativi sui contenuti della fede e senza preoccuparsi dell’incoerenza sul piano della pratica.

Questi «lontani»riuniscono le persone che si dichiarano «spirituali ma non religiose», con posizioni influenzate anche da mode culturali come quella del New Age o di filosofie orientali; e quanti «credono, ma non partecipano attivamente alla vita religiosa». Se sommati agli atei veri e propri, arrivano al 70,8 per cento. Esiste dunque una solida maggioranza di italiani che o professano l’ateismo, o sono indifferenti alla religione, o professano una fede fai-da-te mettendo insieme diverse credenze.

Nella ricerca si è cercato di indagare anche sulle cause che hanno fatto a poco a poco allontanare così tanti italiani dalla religione e in particolare dalla Chiesa cattolica. Dai risultati emerge che le ragioni ideologiche, come ad esempio l’idea che la scienza renda superata la religione, sono assolutamente minoritarie. Mentre ai primi posti nelle risposte c’è la sensazione che la religione abbia poco da dire sui problemi concreti della vita di ogni giorno. Come pure è presente il rifiuto degli insegnamenti morali delle confessioni religiose. Mentre appare particolarmente significativa la crescita di un’ostilità verso il cattolicesimo motivata dagli scandali della pedofilia dei preti e dalle ricorrenti polemiche sulle ricchezze e sui privilegi fiscali della Chiesa.
La ricerca ripropone anche un dato che mostra la discrepanza tra le dichiarazioni rese durante le interviste telefoniche circa la partecipazione alla messa domenicale e la partecipazione effettiva, che i ricercatori hanno potuto sondare monitorando tutte le celebrazioni nell’area interessata in un determinato giorno. A fronte di un 30,1 per cento di dichiarazioni, si è riscontrata una presenza reale nelle chiese del 18,5 per cento