Quel che resta dei cattolici in Italia

Ileana Montini
www.italialaica.it| 22.06.2012

Un giorno mi venne fatto questo racconto. Una donna ritrovò un’amica appartenente, come lei stessa in un passato remoto, a uno dei rami della famiglia religiosa fondata da Renè Voillaume sull’ispirazione di Charles de Foucauld. Ci fu uno scambio epistolare di due sole lettere, bruscamente interrotto con la motivazione che erano avvenuti dei cambiamenti e, quindi, delle differenze intollerabili. Chi interruppe lo scambio epistolare è “sorella” del piccolo fratello Arturo Paoli che sta per compiere cento anni. Nella prefazione al suo libretto appena uscito (La pazienza del nulla, ed.Chiarelettere) Silvia Pettiti ricorda il “carisma” dei Piccoli fratelli di Charles de Foucauld con queste parole: “vivere con gli ultimi ‘come loro’, per praticare la fraternità e l’uguaglianza, affidando al vivere la testimonianza evangelica“. La “spiritualità” dei Piccoli fratelli e delle Piccole sorelle, come degli altri rami, si fondava con la volontà di coniugare il “come loro” sulle “strade del mondo“ (libri di R. Voillaume) con la dimensione contemplativa propria dei claustrali. Arturo Paoli, prete toscano impegnato a livelli nazionali nell’A.C., attivo nella salvezza degli ebrei italiani durante l’occupazione nazista, decise di entrare nella congregazione dei Piccoli fratelli che, dopo il tradizionale noviziato nel deserto algerino e marocchino, lo inviarono in America Latina dove s’impegnò anche contro la dittatura argentina. Negli anni post conciliari le sue lettere, debitamente ciclostilate, circolavano nella grande famiglia; oggetto di attente e meditate letture.

Nel libretto appena uscito, Arturo Paoli racconta l’amicizia con una differente, ma da lui non respinta. Nelly, argentina diventata desaparecida nel 1977, la descrive come un’atea “contemplativa maturata nell’esperienza del nulla, una sorella di Giovanni della Croce”. Addirittura sostiene che la donna è stata un modello, “della compassione o comprensione o comunione.”

Mi pare che il centenario Piccolo fratello di Gesù sia ancora pienamente nella spiritualità del Piccolo fratello che condivise la vita dei musulmani. Allora, forse, era più facile ma oggi certamente il ritorno alla Chiesa tridentina, sta segnando anche la grande “famiglia” che si ispira a Charles de Foucauld. Il monaco che agli inizi del ‘900, nel deserto ai confini tra Algeria e Marocco, cercò di condividere la vita dei beduini senza tentare di catturarli nella fede cattolica, vivendo una vita da contemplativo. Al monastero quattrocentesco di Spello i Piccoli fratelli del Vangelo avevano il loro noviziato e chi partecipava alle liturgie si doveva disporre per terra secondo la postura dei musulmani. In seguito furono disposti i tradizionali banchi occidentali. Mutamento eloquente.

Ma allora dove va il cattolicesimo italiano? A questa domanda ha cercato di rispondere il sociologo Marco Marzano in una ricerca appena data alle stampe (Quel che resta dei cattolici, inchiesta sulla crisi della Chiesa in Italia, ed. Feltrinelli).

Le statistiche frettolose danno quasi trenta per cento di frequentanti le chiese la domenica. La ricerca Marzano mette in crisi questo dato e ci rivela una situazione assai critica. Una situazione di declino simile a quella di altri Paesi.

Il praticante regolare tende a scomparire diventando l’emblema di una civiltà parrocchiale tradizionale, con il prete al centro e i fedeli a lui sottomessi. E cosa ne è in definitiva dei sacramenti, della catechesi? Inarrestabile è la diminuzione delle “vocazioni” al sacerdozio e alla vita religiosa consacrata; facendo diventare l’Italia, un Paese d’importazione di presbiteri e suore di altri Paesi del pianeta come se fosse una terra di missione, di evangelizzazione. Prendiamo la confessione. Secondo Marzano è stata ampiamente soppiantata dal trionfo di generi concorrenti, a cominciare dal colloquio psicologico. La malattia ha occupato il posto del peccato e la guarigione quello dell’assoluzione. Siamo, in effetti, nel bel mezzo della “cultura della terapia”, dell’eclisse dell’idea di peccato sostituita dal disagio psicologico. Il sacramento della cresima è diventato il sacramento dell’addio, perché dopo ragazzi e ragazze svaniscono nel nulla per le chiese e le parrocchie. I corsi prematrimoniali sono considerati dai futuri sposi degli impicci da cui liberarsi possibilmente con il minor spreco di tempo possibile. Interessa curare la cerimonia, l’abito bianco che le spose mettono senza conoscerne il significato religioso originario, la festa sontuosa come status simbol, la lista di nozze e il servizio fotografico.

Non sono state poche le coppie che gli hanno raccontato di essersi sposati in una chiesa per la pressione dei parenti. Il sociologo ha partecipato a messe, riti vari e intervistato preti e parroci per comprendere bene la reale situazione dei cattolici italiani. Ha incontrato preti che gli hanno raccontato la loro stanchezza e la frustrazione continua, per dover celebrare riti ai quali i “fedeli” partecipano senza sapere più rispondere con il linguaggio della liturgia. Ha scoperto che l’assidua presenza alle messe appartiene quasi esclusivamente ai vecchi e alle vecchie. Anche il funerale non è più un rito consapevolmente religioso, cioè vissuto come “passaggio”, come “ritorno alla casa del Padre”. Scompare l’escatologia, scrive, perché trionfa la biografia. I parenti e gli amici dei defunti chiedono omelie soltanto per ricordare qualche aspetto della vita dei morti. Emerge la crisi di una cultura, l’eclissi di un mondo, “quello millenario del cristianesimo”, ma anche l’emersione “di una nuova configurazione di convinzioni e credenze profonde. Quella ritagliata sui valori della ‘società degli individui ”.

Il sociologo è sicuro: esaurita negli anni settanta la timida onda riformatrice seguita al Concilio Vaticano II, le gerarchie cattoliche hanno risposto alle sfide della secolarizzazione con un convinto conservatorismo volto a difesa della sua tradizione. Sono state rigettate ipotesi di riforma del sacerdozio rispetto al celibato come libera scelta, è stata ripetutamente negata l’ipotesi del sacerdozio alle donne in nome di una presunta specifica volontà di Cristo e l’omosessualità continua a essere condannata. Aggiungerei, di mio, l’intransigente difesa della cosiddetta legge naturale che la Chiesa deve difendere a tutti i costi; posizione che serve a sostenere il no all’uso degli anticoncezionali, come il no sulla fine vita.

La Chiesa ha reagito alla fine della Democrazia Cristiana assegnando priorità al rapporto diretto con il potere politico. Una Chiesa, insiste l’autore della ricerca, che è diventata al tempo stesso più monarchica e più militaresca. Segue una denuncia pesante: “ il crollo delle vocazioni al sacerdozio ha reso la disponibilità a farsi prete una merce sempre più preziosa e rara per un’organizzazione che non vuole riformarsi e ha di conseguenza obbligato la gerarchia a usare, sia durante il periodo di formazione nei seminari sia in quello successivo, una maggiore tolleranza verso comportamenti scorretti o immorali dei preti: non solo ‘passando sopra’ a tante deviazioni , ma spesso ‘coprendole’ con una complicità al limite della connivenza.”

Al tempo spesso la repressione di ogni dissenso è sistematica. La ricerca finisce, peccato, senza aver dedicato una sola parola, alla situazione delle donne che operano nella Chiesa con compiti specifici come le suore.

Ci ha pensato un lungo e dettagliato articolo pubblicato dal quotidiano La Repubblica a firma di Jennier Meletti (12 giu 2012) con il titolo: “Ora la suora arriva con l’aereo in Italia 7 su 10 sono straniere”.

Madre Viviana Ballarin, presidente dell’ Usmi (Unione delle Superiori maggiori d’Italia) si è quasi docilmente lasciata intervistare.

Attualmente in Italia, dice la presidente, ci sono 967 novizie, ma solo 288 sono italiane. Le altre raggiungono i noviziati italiani delle varie congregazioni e ordini monastici, dall’Asia, dall’America Latina e dall’Africa. Le donne consacrate non italiane che svolgono servizio pastorale sono 8.736 a fronte delle religiose italiane impegnate nelle missioni (8.030).

Nel 1988 le religiose italiane erano 121.183, ma nel 2001 erano scese a 81.916. Attualmente si aggirano intorno alle 70.000 unità.

La denuncia è di quelle che fanno accapponare la pelle: suore partite dal Ghana per entrare in un convento di clausura che sono state spedite a fare le badanti di suore anziane. Novizie chiamate per motivi di studio sono diventate assistenti e infermiere nelle case di riposo. Il peggio è accaduto a tre suore missionarie di Santa Gemma, inviate nel 2007 nella diocesi di Albano per essere impegnate nella catechesi e nella pastorale giovanile, cacciate dal vescovo perché non hanno accettato di fare le colf a due anziani sacerdoti. E che dire poi di quanto accade alle suore straniere quando intendono uscire dalle congregazioni e dagli ordini? Il permesso per culto, una volta abbandonati i conventi, non è valido per il lavoro facendo precipitare nello status di clandestine. I vescovi filippini già nel 1994 denunciarono l’invasione di congregazioni femminili e maschili in gran parte italiane, che aprivano “filiali” per procedere al reclutamento di vocazioni.

Una domanda: ma le superiori del monachesimo femminile italiano hanno mai commissionato una ricerca per capire, per esempio, in base a quali criteri ci si faceva suora negli anni cinquanta, sessanta , settanta e come mai oggi la “vocazione” Dio la somministra in modo così stentato?

Per concludere vorrei riprendere il libretto di don Arturo Paoli che citando la filosofa marxista Agnes Seller per la sua tesi sui “bisogni radicali”, racconta la visita che fece a un religioso in compagnia dell’amica Nelly. Lei ne uscì sconvolta e non perché il religioso l’avesse scandalizzata con parole o atteggiamenti criticabili: “lei lo aveva visto sepolto da necessità non radicali, non era riuscita a vederlo se non attraverso il modulo spaziale con cui si presentava e attraverso cui parlava e comunicava.”

Se fosse venuta in Italia, sarebbe stata ancora più sconvolta.