L’ottica dell’evoluzione cosmica rimanda “speranza” di L.Boff

Leonardo Boff, Teologo/Filosofo
Ricevuto dall’autore e tradotto da Romano Baraglia

Dimentichiamo per un momento la nostra visione quotidiana delle cose e tentiamo una lettura della nostra crisi attuale col metro del tempo cosmico. Così forse possiamo capirla meglio, relativizzarla e guadagnare in profondità in funzione della speranza.

Il tempo del cosmo

Immaginiamo che più o meno 13 miliardi di anni di storia dell’universo siano condensati in un unico secolo. Ogni «anno cosmico» sarebbe equivalente a 113 milioni di anni terrestri. Da questo punto di vista, la terra nasce nell’anno 70 del secolo cosmico e la vita compare negli oceani, con nostra sorpresa, poco dopo, nell’anno 73. Durante quasi due decenni cosmici essa rimane praticamente limitata ai batteri unicellulari. Nell’anno 93, una nuova fase creativa s’inaugura con l’apparizione della riproduzione sessuale degli organismi vivi.

Questi, insieme ad altre forze, furono responsabili del cambiamento della faccia del pianeta, visto che sono stati loro a trasformare radicalmente l’atmosfera, gli oceani, la geologia della Terra. Tutto ciò ha permesso al nostro pianeta di sostenere forme di vita più complesse. Gran parte della biosfera è creazione di questi microorganismi. In questa nuova fase il processo evolutivo si accelera rapidamente. Due anni più tardi, nell’anno 95, compaiono i primi organismi pluricellulari. Un anno più tardi, nel 96, assistiamo all’apparizione dei sistemi nervosi e nell’anno 97alla nascita dei primi organismi invertebrati. I mammiferi appariranno verso la metà dell’anno 98, ossia due mesi dopo i dinosauri e un’immensa varietà di piante.

Cinque mesi cosmici fa, gli asteroidi cominciano a cadere sulla Terra distruggendo molte specie, compresi i dinosauri. Tuttavia, un poco dopo, la Terra, come per vendetta, produce una diversità di vita come mai prima di allora. È in questa era, quando sono apparsi i fiori, che i nostri lontani antenati entrano nello scenario dell’evoluzione. Subito diventano bipedi (12 giorni cosmici fa), e con l’homo habilis cominciano a usare strumenti (circa sei giorni cosmici fa), mentre l’homo herectus conquista il fuoco (soltanto un giorno cosmico fa). Dodici ore cosmiche fa, appaiono gli umani moderni (homo sapiens). Verso sera e durante la notte di questo primo giorno cosmico noi siamo vissuti in armonia con la natura e attenti ai suoi ritmi e pericoli. Fino a 40 minuti fa, la nostra presenza ha avuto pochissimo impatto sulla comunità biotica, momento in cui abbiamo cominciato a domesticare piante e animali e a sviluppare l’agricoltura.

A partire da allora, gli interventi sulla natura sono diventati sempre più intensi fino a quando, 20 minuti fa, abbiamo cominciato a costruire e ad abitare città. Soltanto due minuti fa l’impatto è diventato realmente minaccioso. L’Europa si è trasformata in una città tecnologica e ha dilatato il suo potere attraverso lo sfruttamento colonialista. In questa fase si è formato il progetto-mondo creando un centro con varie periferie e un fossato tra ricchi e poveri. Negli ultimi 12 secondi (a partire dal 1950) il ritmo dello sfruttamento e distruzione ecologica si è accelerato drammaticamente. In questo breve periodo di tempo, abbiamo abbattuto quasi metà delle grandi foreste. Nei prossimi 20 secondi cosmici, le temperature della Terra salgono di 0,5°C e possono, tra poco, arrivare fino a 5°C, mettendo a rischio gran parte della biosfera e milioni di persone.

Negli ultimi cinque secondi cosmici la Terra ha perso una quantità di suolo equivalente a tutta la terra coltivabile della Francia e della Cina ed è stata inondata da decine di migliaia di nuovi prodotti chimici, molti dei quali altamente tossici, che minacciano le basi della vita. Già adesso stiamo decimando tra 27-100.000 specie di esseri viventi ogni anno. Nei prossimi sette secondi cosmici, alcuni scienziati stimano che tra il 20 e il 50% di tutte le specie spariranno. Quando è che si fermerà questo processo? Perché tanta devastazione? Rispondiamo: affinché una piccola porzione dell’umanità potesse o privatamente o in modo corporativo sfruttare i benefici di questo progetto di civiltà. Il 20% dei più ricchi guadagna attualmente 200 volte più che il 20% dei poveri. All’inizio del 2008, prima della crisi economico finanziaria attuale, c’erano 1195 miliardari che possedevano insieme 4,4 trilioni di dollari, ossia più o meno il doppio della rendita annuale del 50% dei più poveri. In termini di rendita l’1% più ricco dell’umanità guadagnava l’equivalente del 57% dei più poveri.

Il tempo della Terra

Il nostro pianeta, frutto di più di 4 miliardi di anni di evoluzione viene divorato da una relativa minoranza umana. Per la prima volta nella storia dell’evoluzione dell’umanità, i problemi riferiti sopra sono precisamente causati da questa minoranza e, pure, in minor proporzione, da tutti noi. I pericoli creati mettono in scacco il futuro del nostro modo di vivere. Eppure, se da un lato enfatizziamo la gravità della crisi, d’altra parte, non vogliamo diffondere visioni apocalittiche che ci causerebbero soltanto paralisi e disperazione. Se questi problemi sono stati creati da noi, potranno pure essere risolti da noi, anche se alcuni sono già in uno stadio irreversibile. Questo significa che c’è speranza di arrivare a una soluzione in modo soddisfacente.

Effettivamente chi ha seguito la Cupola dei Popoli nel giugno scorso a Rio de Janeiro o ha partecipato ai Forum Sociali Mondiali, si rende conto che ci sono migliaia e migliaia di persone coscienti e creative, provenienti dal mondo intero, e che lavorano nella formulazione di alternative pratiche che possono permettere all’umanità di vivere con dignità e senza incidere sulla salute degli ecosistemi e della Madre Terra. Abbiamo le informazioni e conoscenze necessarie per risolvere l’attuale crisi. Quello che ci manca è l’attivazione dell’intelligenza emozionale cordiale che suscita in noi sogni di salvezza, solidarietà, compassione, sentimenti di interdipendenza e di responsabilità universale.

Occorre riconoscere che tutte le minacce che affrontiamo, appaiono come sintomi di una malattia cronica culturale e spirituale. Essa colpisce tutti ma principalmente il 20% che consumano la maggior parte di ricchezza del mondo. Questa crisi ci obbliga a pensare a un altro paradigma di civiltà, perché l’attuale è eccessivamente distruttivo. È quanto siamo venuti scrivendo con frequenza nei nostri articoli. I tempi di crisi possono essere pure tempi di creatività, tempi nei quali nuovi approcci e nuove opportunità appaiono. Il kanji cinese per la crisi, wei-ji, è il risultato della combinazione dei kanjis per il pericolo e per l’opportunità (rappresentati da una poderosa lancia e da uno scudo impenetrabile). Questo non è una semplice contraddizione o un paradosso; i pericoli reali ci spingono a cercare le cause profonde e a procurare alternative per non sciupare l’opportunità.

Per la nostra cultura, la crisi deriva dalla parola sanscrita kri che significa purificare e passare al crogiolo. Pertanto si tratta di un processo, certamente doloroso, ma altamente positivo di purificazione delle nostre visioni e che funziona come un crogiolo per i nostri atteggiamenti etico-spirituali. Tutti e due i significati, quello cinese e quello sanscrito, sono illuminanti.

Il nostro tempo

Dobbiamo rivisitare le fonti della sapienza delle molte culture dell’umanità. Alcune sono ancestrali e arrivano a noi attraverso le più diverse tradizioni culturali e spirituali. Fondamentale la categoria del «ben vivere» delle culture andine.

Altre sono più moderne come l’ecologia profonda, il femminismo e l’ecofemminismo, la psicologia transpersonale e la nuova cosmologia, derivata dalle scienze della complessità, dall’astrofisica e dai nuovi saperi della vita e della Terra.

Termino con la testimonianza di due note ecologiste e educatrici nordamericane, Macy e Brown che affermano: “La caratteristica più straordinaria dell’attuale momento storico della Terra non è che stiamo in cammino verso la devastazione del nostro pianeta, visto che la stiamo facendo già da molto tempo; è che stiamo cominciando a svegliarci da un sonno millenario, per un nuovo tipo di relazione verso la natura, la vita, la Terra, gli altri e con noi stessi. Questa nuova comprensione renderà possibile la tanto desiderata Grande Trasformazione” (Macy e Brown, La nostra vita come Gaia, 2004,37). Essa verrà grazie all’evoluzione e a Dio.

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Che cosa esigere dal capitalismo neo liberale in crisi

Leonardo Boff, Teologo/Filosofo
Ricevuto dall’autore e tradotto da Romano Baraglia

La crisi del neoliberismo ha raggiunto il cuore dei paesi centrali che si arrogavano il diritto di guidare non solo i processi economico-finanziari, ma perfino il corso della storia umana.

In crisi è l’ideologia politica dello Stato minimo e delle privatizzazioni dei beni pubblici, ma anche il modo di produzione capitalistica, estremamente esacerbato dalla concentrazione del potere come mai si era visto prima nella storia. Il nostro parere è che questa crisi ha carattere sistemico e terminal.

Sempre il genio del capitalismo ha scoperto vie d’uscita favorevoli al suo proposito di accumulazione illimitata. Per questo usava tutti i mezzi, compresa la guerra. Guadagnava distruggendo e guadagnava ricostruendo. La crisi del 1929 si è risolta non attraverso l’economia ma attraverso la seconda guerra mondiale. Oggigiorno non pare praticabile il ricorso alla guerra, che sarebbe talmente distruttiva da estinguere la vita umana e gran parte della biosfera. Comunque non è proprio certissimo che il capitalismo nella sua pazzia non arrivi a servirsi anche di questo mezzo. Questa volta si frappongono due limiti insormontabili, il che giustifica l’opinione che il capitalismo sta concludendo il suo compito storico.

Il primo è il mondo saturo, cioè, il capitalismo ha occupato tutti gli spazi per la sua espansione a livello planetario. L’altro, veramente insormontabile, è il limite del pianeta Terra. I suoi beni e servizi sono limitati e molti non rinnovabili. Durante l’ultima generazione, abbiamo bruciato più risorse energetiche di quanto non avessimo fatto nell’insieme delle generazioni anteriori, come ci garantisce l’analista culturale italiano Luigi Soja. Che cosa faremo quando queste raggiungeranno un punto critico, oppure semplicemente saranno esaurite? La scarsità di acqua potabile può mettere l’ Umanità di fronte a una decimazione di milioni di vite.

I controlli e i correttivi proposti finora sono stati semplicemente ignorati. La Commissione delle Nazioni Unite sulla Crisi Finanziaria e Monetaria Internazionale, il cui coordinatore e era il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz (chiamata CommissioneStiglitz) si proponeva un grande sforzo per presentare, a partire dal gennaio 2009, riforme intrasistemiche di tipo keneysiano isieme alla proposta di una riforma degli organismi finanziari internazionali (FMI, Banca Mondiale) e della Organizzazione Mondiale de Commercio (OMC). Si prevedeva la creazione di un Consiglio di Coordinamento Economico Globale allo stesso livello del Consiglio di Sicurezza, la costituzione di un sistema di riserve globali, per controbilanciare l’egemonia del dollaro come moneta di riferimento, la istituzione di una fiscalizzazione internazionale, l’abolizione dei paradisi fiscali e delle Agenzie di certificazione. Nulla è stato accettato. Soltanto l’ Onu ha accolto la costituzione permanente di un Gruppo Esperti per la Prevenzione delle Crisi, a cui nessuno dà importanza perché quello che realmente conta sono le borse e la speculazione finanziaria.

Questa constatazione scoraggiante ci convince che la logica di questo sistema egemonico può rendere il pianeta non più amichevole per noi, può portare a catastrofi socio ecologiche così gravi al punto di costituire una minaccia per la nostra civiltà e per la specie umana. Certo è che questo tipo di capitalismo che durante la Rio +20 si è rivestito di verde con l’intenzione di mettere un prezzo a tutti beni e servizi naturali e comuni dell’ Umanità, non mostra condizioni a medio e a lungo termine di assicurare la sua egemonia.

Dovrà sorgere un’altra forma di abitare il pianeta Terra è di utilizzare i suoi beni e servizi. La grande sfida consiste nel modo di guidare il processo di transizione in direzione di un mondo post capitalista liberale. Questo avrà come centro il Bene Comune dell’Umanità e della Terra e sarà un sistema di sostegno di ogni tipo di vita, che esprima una nuova relazione di appartenenza e di sinergia con la natura e con la Terra. Produrre è necessario, ma rispettando le possibilità e i limiti di ogni ecosistema, non per accumulare e basta, ma per venire incontro, in forma sufficiente e decente alle richieste umane.

Importante è pure aver cura di ogni forma di vita e cercare l’equilibrio sociale, senza lasciare di pensare alle future generazioni che hanno diritto a una Terra conservata e abitabile. Non è in questo spazio che dobbiamo spiegare alternative in corso. Ci atterremo a quello che può essere fatto intrasistemicamente, visto che è non è possibile uscirne a breve scadenza.

Assistiamo al fatto che l’America Latina e il Brasile, nella divisione internazionale del lavoro, sono condannati a esportare minerali e commodities, beni naturali come alimenti, granaglie e carne. Per fare fronte a questo tipo di imposizione, dovremmo seguire i passi già suggeriti da vari analisti, specialmente da un grande amico del Brasile Francois Houtard nei suoi scritti e nel suo recente libro con altri collaboratori: «Un paradigma poscapitalista: el Bien Común de la Humanidad» (Panama, 2012).

In primo luogo, dentro al sistema, lottare per norme ecologiche e regolamenti internazionali che abbiano cura il più possibile dei beni e dei servizi naturali importati dai nostri paesi; che trattino della loro utilizzazione in forma socialmente responsabile e ecologicamente corretta. La soja è innanzitutto un alimento degli umani e solo ‘dopo’ degli animali. In secondo luogo, aver cura della nostra autonomia, rifiutando le imposizioni del neocolonialismo da parte dei paesi centrali che ci tengono come un tempo, ai margini, subalterni, servi, puri fornitori di quello che manca loro in beni naturali. Innanzitutto dobbiamo aver cura di incorporare tecnologie che diano valore aggiunto ai nostri prodotti, creiamo innovazioni tecnologiche e orientiamo l’economia, prima di tutto verso il mercato interno e solo dopo verso quello esterno; in terzo luogo, esigere dai paesi importatori che inquinino il meno possibile nei loro ambienti è che contribuiscano finanziariamente al risanamento e alla rigenerazione ecologica degli ecosistemi da cui importano beni naturali specialmente, nel caso del Brasile, dell’Amazzonia e del Cerrado. Si tratta di riforme, non ancora di rivoluzioni. Ma indicano la direzione del nuovo e aiutano a creare le basi per proporre un altro paradigma che non sia il prolungamento dell’attuale, perverso e decadente.