Ostellino: solo la Chiesa può difenderci dalla politica

Paolo Nessi
http://www.ilsussidiario.net/ 30 agosto 2012

L’entità delle incertezze e dei loro effetti sul tessuto collettivo è di gran lunga superiore a quella che politici ed economisti pensavano di aver definito; mentre buona parte di essi si ostina nel credere che poche ricette saranno sufficienti a salvarci dalla crisi, il capo della Cei, il cardinal Angelo Bagnasco, ha prospettato un quadro decisamente più drammatico. Secondo il vescovo di Genova, infatti, nella prassi economica la logica del profitto si è ormai sostituita pressoché ovunque alla ricerca del bene dell’uomo mentre, sul fronte politico, la ricerca del consenso ha prodotto il prevalere di interessi settari e distorti. Le conseguenze di tutto ciò, «sono devastanti e la società si sfalda», ha dichiarato nell’omelia in occasione dell’apparizione della Madonna della Guardia. Secondo il cardinale, quindi, «è l’ora di una solidarietà lungimirante, dell’assoluta concentrazione sui problemi prioritari dell’economia e del lavoro, della rifondazione della politica e della partecipazione, della riforma dello Stato».
Le valutazioni di Piero Ostellino, editorialista del Corriere della Sera.

Perché, secondo lei, in via del tutto inedita, il presidente della Cei si è spinto a chiedere la riforma dello Stato?

Se interpreto le parole di Bagnasco secondo il mio sentire liberale, credo che non si possa fare altro che giungere ad una conclusione: lo Stato va riformato perché è molto meno laico della Chiesa. Essa, infatti, sostiene e introduce il libero arbitrio e la responsabilità individuale. Ciascuno è libero di peccare. Ne pagherà le conseguenze. Lo Stato, invece, cerca di mettere la tassa sulle bevande gassate nel tentativo di eliminare il “peccato” stesso. La riforma auspicata dal capo della Cei credo che consista, quindi, nel riposizionamento dell’individuo al centro; nient’altro, cioè, che la riproposta del messaggio cristiano.

Eppure, qualsivoglia riforma, tanto meno quella dello Stato, è ben lungi dall’essere realizzata. Ieri, tanto per cambiare, dalla riunione del Comitato ristretto sulla legge elettorale è emerso l’ennesimo nulla di fatto. Cosa manca ai partiti per pronunciarsi sul minimo indispensabile?

Parliamo di crisi della politica ma, in realtà, dovremmo parlare della crisi della cultura politica che sin qui è stata egemone ma, ormai, è stata sconfessata dalla storia; mi riferisco all’idea secondo cui lo Stato sia assimilabile ad un padre che fa il bene dei suoi figli. Esso, tuttavia, dovrebbe limitarsi a creare le condizioni per consentire a ciascun cittadino di ricercare la felicità e il benessere come meglio crede. All’assenza, quindi, di qualsiasi cultura politica si aggiunge l’assenza di leader in grado di trascinarci fuori dalla sacche della crisi, come quelli che operarono nell’immediato dopo guerra.

Tutto questo, manca nei partiti o in assoluto?

In assoluto. La cultura politica egemone ha reso i cittadini dei mendicanti sociali che si aspettano tutto dallo Stato, e analfabeti politici, inconsapevoli dei connotati della democrazia liberale.

Quindi?

Siamo destinati alla decadenza. Che non avverrà con un trauma, ma attraverso una lunghissima agonia. L’uscita dalla crisi è una menzogna inventata e fatta circolare dal governo in maniera analoga a quanto fece la nomenclatura sovietica mentre l’Urrs si stava dissolvendo. E si stava dissolvendo per le stesse ragioni italiane: non funzionava più nulla.

Bagnasco, in effetti, ha paventato il rischio del disfacimento della coesione sociale

Beh, del resto come può esserci coesione sociale in un Paese la cui imposizione fiscale è la più alta al mondo? E dove non è possibile creare un’impresa se non sovvenzionata dalla Stato. In un Paese normale, chi vuole fare imprenditoria, i soldi ce li mette di tasca sua, mentre in una società libera, la società civile ha una sua piena autonomia rispetto a quella politica; essa, infatti, produce ricchezza affrontando i rischi dell’impresa. Il sussidio dello Stato, invece, riduce gli imprenditori ad essere dei mendicanti e disincentiva quella competitività sana che consente di migliorare.

La Corte di Strasburgo ha bocciato parte della legge 40 benché il ricorso non abbia affrontato i gradi di giudizio prevista in Italia, come prassi vorrebbe. Per questo, il cardinale ha denunciato il surclassamento della nostra magistratura

Come le iniziative della Bce di sostegno agli Stati indebitati rappresentano forme di statalismo che contribuiranno a rendere i cittadini dei mendicanti, così le sovrastrutture tecnocratiche hanno dato forma ad una sorta di statalismo morale. Anche in tal caso, tali strutture dimostrano di essere meno laiche della chiesa. L’ombrello etico europeo non farà altro che renderci ancora meno liberi e meno responsabili.

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Niente partito, la chiesa resta lobby

Marco Politi
il Fatto Quotidiano | 30.08.2012

Svanisce il sogno del partito cattolico. Un anno dopo il convegno di Todi la Chiesa preferisce attestarsi sul suo ruolo di “forza sociale”, mentre appare chiaro che non nascerà un partito degli ideali cristiani. Fervono, invece, le manovre per rilanciare un partito neocentrista in grado di praticare l’andreottiana politica dei due forni. E questo, in fondo, piace alla gerarchia ecclesiastica, perché le offre il modo di esercitare in parlamento la sua pressione di lobby per la difesa degli interessi che maggiormente le stanno a cuore. Le ultime uscite del cardinale Bagnasco, presidente della Cei, sono significative. Se all’inizio di agosto batteva ancora il tasto dell’urgenza dell’impegno politico dei fedeli, evidenziando il dovere che “nella vita pubblica i cattolici siano sempre più numerosi e ben formati”, nel suo ultimo discorso il porporato ha scelto di indicare obiettivi di priorità nazionale, mostrando la Chiesa come fattore di coesione del Paese. All’ottimismo incauto del premier e di alcuni suoi ministri il cardinale contrappone l’esigenza di guardare alla “vita della gente”, aggravata in modo preoccupante e con rischi di “tenuta sociale”. Bagnasco insiste sull’assoluta necessità di dare una riposta positiva ai problemi dell’economia e del lavoro, condannando le posizioni di chi “per interessi economici” fa sì che “sull’uomo prevale il profitto” e denunciando quanti, per visione particolaristica, non si curano dello sfaldarsi della società. Sviluppo, solidarietà, riforma dello Stato e della politica sono le parolechiave del porporato. Politicamente l’obiettivo è di rafforzare la coesione intorno al governo Monti. Spingono il cardinale l’esigenza di salvaguardia del tessuto sociale del Paese. Ma non c’è dubbio che durante l’anno il premier abbia fatto regali importanti all’istituzione ecclesiastica in un’ottica di compromesso con i poteri forti e niente affatto in una visione degasperiana del bene comune. Monti – per motivi incomprensibili a qualsiasi economista di stampo europeo – ha deciso che solo per la l’istituzione ecclesiastica le nuove regole di pagamento dell’Ici (per gli edifici in cui si esercitano attività economiche) partano dal 2013. In nessuna nazione europea questa parzialità sarebbe possibile! Il premier si è inoltre rifiutato di indicare esplicitamente uno “scopo” di interesse nazionale per l’8 per mille sull’Irpef, che va alle iniziative umanitarie dello Stato. E infine si è speso in assicurazioni per il rifinanziamento delle scuole private cattoliche, le cosiddette paritarie, a prescindere da un’analisi di sostenibilità e di utilità sociale (rimuovendo il fatto che riguardo alle scuole superiori, per esempio, l’interesse della stessa popolazione cattolica è notoriamente scarso per questo genere di istituti). In questo intreccio di manovre e mentre la gerarchia ecclesiastica – dopo un periodo in cui sembrava sospinta piuttosto al margine per gli scandali di pedofilia e la vicenda Vatileaks – cerca di recuperare il suo ruolo di pressione sul sistema politico, la carovana di Todi si è persa per strada. Dal Meeting di Rimini sono venuti segnali precisi. Non crede al partito cattolico il ministro e leader di Sant’Egidio Andrea Riccardi, ma non lo vuole nemmeno il ciellino Bernhard Scholz, presidente della Compagnia delle Opere. Il leader della Cisl Raffaele Bonanni, per parte sua, non intende impegnarsi partiticamente e ha già indicato il traguardo: Monti dopo Monti. La causa principale dell’afflosciarsi del progetto-partito risiede nella debolezza costante che l’associazionismo cattolico ha mostrato nell’ultimo anno. Non c’era bisogno di un partito perché i cattolici e i loro movimenti facessero sentire la loro voce nell’arena politica sui temi che stanno maggiormente a cuore agli italiani. Il lavoro dei giovani e l’eliminazione del precariato strutturale (su cui la riforma topolino della Fornero non ha realmente inciso). Il sostegno alle famiglie. La legge anti-corruzione. Una riforma non per castrare i giudici, ma per rendere più snelli i procedimenti e favorire così giustizia ed economia insieme. Il dimagrimentodella macchina amministrativa. Il contrasto all’evasione fiscale per abbassare le tasse. Su tutto questo non c’è stata una sola battaglia “cattolica”. Le stesse proposte di riforma sanitaria del ministro cattolico Renato Balduzzi non ricevono in queste ore nessun particolare supporto dal proprio campo. Il che, se da un lato rivela che i credenti si muovono nei diversi schieramenti al pari di tutti gli altri cittadini, dall’altro svuota qualsiasi pretesa di avere una voce collettiva. All’orizzonte si profila invece il tentativo dell’istituzione ecclesiastica di mantenere il proprio ruolo autonomo di pressione e di convogliare un po’ di voto bianco sulla formazione neo-centrista di Casini: il “Partito dei moderati” . Il Pd, abbandonata l’idea di una riforma elettorale maggioritaria basata sul doppio turno – che agli italiani andava benissimo, come dimostrano le elezioni a sindaco – sta imboccando la via di un ritorno disastroso al proporzionalismo e alle maggioranze ballerine. E allora ha ragione Buttiglione: “Mancando una maggioranza, saremo noi (i centristi) a dare le carte”.