Tra esultanza e speranze: e i nodi da sciogliere? di A.Simoni

p. Alberto Simoni
Koinonia Forum 317, www.koinonia-online.it

Cari amici,
come si può vedere, nel logo di “Chiesa di tutti, chiesa dei poveri” non figura solo la data 2012, ma anche quella del 2015 che segna il cinquantesimo della chiusura del Vaticano II: vuol dire che abbiamo davanti un cammino più che mai aperto. Ecco perché, dopo l’assemblea di Roma dell’altro ieri, la preoccupazione dominante è come dare seguito a questo evento, piccolo “segno” da cogliere con lo spirito del grande evento originario del 1962. E’ per questa ragione che proporrei come prospettiva del nostro lavoro e dei nostri incontri proprio quella di “Chiesa di tutti, chiesa dei poveri”: per dirci cosa possiamo e vogliamo fare noi per questa chiesa, secondo l’invito del Card. Martini!
Un primo piccolo passo in questa ottica – che è ormai di riferimento comune – sono le osservazioni a caldo buttate giù in treno, tornando dall’assemblea di Roma del 15 settembre: vogliono dire la rafforzata convinzione che per poter dare sviluppo e forma a tante potenzialità esistenti è necessario individuare e sciogliere alcuni nodi di fondo, che hanno ritardato e forse bloccano la maturazione del messaggio conciliare in questi anni.
La necessità di un discorso critico sulle forze votate al rinnovamento dopo il Concilio è stata adombrata da Cettina Militello, ma non saprei dire quanto questo spunto sia stato colto e valutato dall’assemblea, forse troppo attenta a se stessa piuttosto che a battersi il petto! Non è proprio lì –e cioè nelle proprie membra – che un corpo ecclesiale radunato per incarnare il Concilio dovrebbe operare con lucida coscienza di chiesa?
In ogni caso, prima di future analisi più attente, ecco quanto per ora mi son sentito di dire, mentre un vivo ringraziamento va ancora una volta a Raniero La Valle per il testo del suo intervento, che ci ha fatto avere subito e che va meditato insieme.
Siamo chiamati a ricreare quella attitudine di attesa e di impegno che ha dato vita al Concilio e che sembra essere venuta meno lasciando spazio a tecnicismi o – come dice Raniero – ad ermeneutiche del Concilio a scapito del Concilio come nuova ermeneutica o interpretazione in atto della fede che salva, anche oggi!
Se davvero il Concilio è più che mai nelle nostre mani, possiamo continuare a darci una mano?

Dopo una giornata di esultanza generale e di interrogativi lasciati in sospeso, ritengo che il miglior modo per assicurare una ricaduta nel tempo di “Chiesa di tutti chiesa dei poveri” sia quello di scendere da questo Tabor del Concilio e alla sua luce riprendere il cammino con consapevolezza nuova di ciò che ci richiede e ci riserva. In effetti, ritrovarci in tanti da tutti gli angoli d’Italia sarebbe valso a poco, se fosse solo per celebrare e celebrarsi e non invece per trovare il passo giusto per andare avanti.

Chi avesse partecipato a questa assemblea e leggesse poi Koinonia di ottobre già pronto, forse vi troverebbe già indicazioni per rispondere alle sollecitazioni e alle istanze emerse, alla ricerca di un percorso convergente nell’ottica del Concilio. Volendo andare all’anima di questo evento, infatti, si potrebbe parlare di “comunicazione nella fede, comunicazione della fede” come modo di essere di una “chiesa dei poveri” e pertanto di tutti. All’interno delle diverse prospettive di discorso, una “questione fede” è apparsa centrale in tutte le sue implicazioni. Quindi una chiesa non più soltanto per i poveri, ma “dei poveri” nel senso biblico di “questi piccoli che credono” (Mt 18,6; Mc 9,42)) e a cui “è annunciata la buona novella” (Lc 7,22). E qui, in fondo, tutti d’accordo, sia pure con sfumature diverse!

Ma quando poi si passa a materializzare il discorso e a parlare di strategie di “comunicazione nella fede e della fede”, siamo di nuovo vittime di riflessi condizionati rispetto a soluzioni già date in un certo modo e ritenute valide per sempre: come quando si evocano iniziative e forme di impegno apprezzabili quanto si vuole, ma non tali da ridare sapore ad una fede che l’abbia perso.

Ed è qui, a mio parere, che l’assemblea, pur offrendo motivi di esultanza e di speranza, evidenzia un limite e dei nodi irrisolti: tra i diversi cantieri da aprire o mantenere aperti – per la salvaguardia del creato, per la giustizia, per la pace, per nuovi stili di vita ecc… – non si prevede un cantiere-chiesa in quanto tale. Tale cioè che incarni quel modo di essere chiesa prospettato dal Concilio, capace di essere il soggetto primario (rispetto ad iniziative specifiche e per addetti) della giustizia e della pace nel mondo e pronto al confronto interno con la chiesa-sistema.

Un problema aperto che viene sottaciuto è, infatti, quello del rapporto tra questa manifestazione variegata di chiesa nell’assemblea e la struttura di chiesa che si penserebbe di soppiantare. Dal non detto si intuisce che o si parte dal presupposto che sia in fondo la stessa cosa, pur affermando la propria diversità, o si dà per scontato che sia qualcosa di diverso e basta, per cui si avverte una incomunicabilità di mondi chiusi tra i quali c’è un muro di separazione da abbattere.

Sia dunque che si tratti di varianti della stessa chiesa che di chiesa diversa, all’interno di questo raggruppamento rimane aperta una contraddizione che non è sufficientemente emersa in un clima di unanimismo e di entusiasmo, ma che ha fatto capolino da qualche intervento. Mentre emergeva la giusta e incondizionata apertura verso il mondo dei non credenti e delle diverse religioni e fedi, quale era la disponibilità a chiarire e risolvere un conflitto domestico all’interno della medesima fede e chiesa, senza rimuoverlo con troppa sufficienza? È il punto interrogativo che gravava in quell’aula e che potrebbe condizionare gli ulteriori sviluppi di questo evento se, come si usava dire una volta, non si fanno “esplodere tutte le contraddizioni”!

Certamente queste affermazioni andrebbero corredate di riferimenti a discorsi fatti e a persone intervenute, che da una parte prospettavano immagini di chiesa condivisibili e affascinanti in linea di principio, ma dall’altra omettevano di fare i conti col contesto ecclesiale attuale, così come invece il Concilio ha fatto con lo stato delle cose di quel tempo. Come rifare ora dalla base quel che il Concilio ha fatto allora come vertice?

Il discorso conclusivo di Raniero La Valle ha senz’altro offerto indicazioni e spunti per sciogliere questi nodi e venire a capo di questioni spinose che richiedono sì passione, ma che non possono essere risolte solo sull’onda dell’entusiasmo. Quando avremo modo di riprendere in mano questo discorso, potremo avere la riprova che si tratta di quanto sommessamente stiamo cercando di fare da tempo. E ci sentiamo incoraggiati a fare!