La deriva politica e il pericolo dello Stato etico

Guido Rossi
Il Sole 24 Ore

Il disfacimento dei valori fondamentali della civiltà occidentale è improvvisamente emerso in modo dirompente. Due recentissime manifestazioni ne sono la prova. La prima è la dichiarazione del primo ministro greco Antonis Samaras, il quale ha dichiarato nell’intervista del 4 ottobre al quotidiano Handelsblatt che la disoccupazione crescente in Grecia mette in pericolo la tenuta della società, come già successe in Germania alla fine della Repubblica di Weimar, sicché la Grecia rischia il nazismo. La seconda è l’accorato appello del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a rinnovare il senso dell’etica nella nostra comunità nazionale, di fronte all’inadeguatezza del quadro politico e a fenomeni di degrado del costume e di scivolamento nell’illegalità.

Le due manifestazioni, apparentemente diverse, hanno tuttavia delle profonde radici comuni. La prima di esse, e la più grave, riguarda il sempre più diffuso pericoloso scetticismo e disprezzo nei confronti della politica, e sostanzialmente della democrazia per la soluzione dei problemi, quando si verificano conflitti di valori e crisi apparentemente senza soluzione. Correttamente già anche nel nostro Paese la “questione morale” era stata posta in altri momenti di grave difficoltà da Enrico Berlinguer.

Ma i principi della morale sono per loro natura incerti e non sempre rappresentanti valori condivisi, proprio perché fra loro conflittuali: si pensi a quelli della vita, della morte dignitosa e della scienza. Eppure i principi della morale, benché riguardino solo la sfera individuale, secondo l’insegnamento di Benedetto Croce sono ben superiori a quelli della politica, con la quale non possono essere confusi; né tantomeno possono essere accostati al diritto, il cui scopo non è la disciplina della morale alla quale, salvo ambigui richiami, rimane del tutto indifferente.

Lo stesso Hegel, che pur aveva influenzato Croce, al contrario riteneva la politica superiore alla morale individuale, poiché lo Stato era da lui considerato l’unica realtà etica nella cui eticità si attuava la libertà del cittadino. E non è da questa stessa ideologia, che pur usava l’etica come fece Giovanni Gentile per giustificare la sua adesione al fascismo, che hanno origine malauguratamente tutti i sistemi autoritari, sia che poi l’etica derivi da credenze religiose come nei regimi clericali del tipo della Spagna del generale Franco, piuttosto che da interpretazioni storiche come nelle teorie marxiste e nei regimi comunisti, o da teorie razziali come nelle dottrine naziste hitleriane, ricordate con angoscia dal primo ministro Samaras?

Il pericolo sembra a me che purtroppo l’ingresso dei valori etici abbia, nella gestione delle crisi internazionali, giustificato spesso il ricorso all’uso della forza e della guerra sicché il pur apprezzabile e necessario richiamo ai principi morali, quantomeno di quella morale universale di cui già parlava Giambattista Vico, non sia sufficiente a riconquistare i valori laici e condivisi delle democrazie costituzionali, indispensabili per risolvere la crisi.

Il vero obiettivo della politica deve essere allora quello di impedire che l’ideologia del liberismo sfrenato dell’economia globalizzata porti, oltre a disoccupazione, miserie e rivolte sociali, come non solo la Grecia sta sperimentando, ma anche la Spagna e l’Italia, anche al pericolo di un individualismo eccessivo, magari ispirato al relativismo di principi morali. L’esasperazione dell’individualismo, come unico riferimento culturale, conduce necessariamente ad un disperato isolamento, governato dal conformismo, trasformando i cittadini in sudditi dipendenti da autorità non da loro scelte, che ne determinano la vita, non solo economica, ma anche intellettuale ed emotiva.

È tempo di contrastare l’anarco-capitalismo, basato su teorie filosofiche libertarie, inconsciamente avallate dalla maggior parte degli economisti, secondo le quali, come sostiene il loro più autorevole teorico Robert Nozick, non è affatto necessaria l’istituzione di un governo politico. Inoltre ogni tentativo di colmare le diseguaglianze sempre più profonde nella moderna civiltà sarebbe un’ingiustificata estensione dello Stato (e quindi della politica) in violazione dei diritti della persona a fare i propri interessi.

La politica e le istituzioni devono dunque reagire, sia in Italia, sia in Europa e nell’intero mondo globalizzato, contro l’eccesso di privatizzazione dei beni comuni e l’introduzione di un nuovo ordine dell’egoismo che, con l’alibi di alimentare la costante vitalità dell’economia capitalistica, hanno invece provocato la diffusa corruzione delle classi politiche e minato le basi stesse della democrazia. Questa è diventata l’opposto di come la rappresentò, proprio nell’Etica, il grande Spinoza, quando ne indicò la funzione «per evitare forme deteriori di cupidigia e di avidità».

La soluzione alla crisi si sostanzia, dunque, in una riforma che preveda un programma di controllo e di direzione delle forze, non solo politiche, ma anche economiche, nell’interesse della giustizia, della stabilità sociale, e dei diritti fondamentali dei cittadini, che invece sono stati trascurati e continuano ad esserlo, invocando lo stato di eccezione e di paura, che propone nella politica economica assai spesso solo strumenti di austerità, favorevoli agli ingiusti poteri e allo sfrenato arricchimento dei pochi che governano attraverso le degenerazioni del capitalismo finanziario.

Contro la perduta sovranità e il degrado della politica non possono servire certo né il pericoloso Stato etico, o una sua versione neofeudale, né il solo ricorso alla morale individuale.